Glasvegas Tag Archive
2 a.m. – Songs for Newborn to Be
2 a.m.: non si tratta di frequenze radio o cose del genere. 2 a.m. è semplicemente un duo costituito da Andrea Marcellini (notare le iniziali) e Andrea Maraschi (rinotare le iniziali) che, con queste Songs for Newborn to Be, si getta a capofitto nel mondo del Pop Rock italiano cantato rigorosamente in inglese. Un esordio che convince solo a tratti, anzi spiazza particolarmente per quanto riesce a farsi apprezzare e detestare con la stessa enfasi a ogni alternarsi di brano. Il loro stile sintetico che mostra un certo eclettismo e lascia immaginare la presenza di un ragguardevole estro compositivo, crea melodie intriganti sotto l’aspetto estetico, tutto condito però da arrangiamenti non troppo stimolanti e un programming che non convince in maniera confacente. Una sorta di Pop Wave che spazia tra Shoegaze di stampo Glasvegas (“Karmadipity”), Dream Pop e Psychedelia ma non elettrizza per nulla quando sceglie le strade più Pop, Emo, New Romantic e introspettive (“I Cannot Cry”, “Naked”, The Untold Words”, “The Magic Can’t Work”, “A Song for Newborns to Be”) e che invece trascina senza possibilità di riluttanza alcuna quando imbocca le vie della Wave sintetica e danzereccia a metà tra Thou Shalt Not, Late of the Pier e Dance Punk in pieno Franz Ferdinand style (“PG”, “Clash”, “I Wanna Make Noise (in Your Life”)). Non ci si scervelli a cercare un barlume di originalità neanche negli episodi migliori del disco ma quello che possiamo fare è godere di una carica e di una capacità di coinvolgere e far smuovere il sedere non sempre presente nelle formazioni nostrane. Alla fine resta poco di cui essere felici, ma quel poco che resta è tanto ben fatto che la speranza è di poter avere in futuro qualcosa di più che un anonimo duo che miscela Pop ed Elettronica anche se probabilmente la strada giusta per lasciare il segno è quella triviale e carnale più vicina al culo che non al cuore.
Matinèe – These Days (singolo)
A volte è difficile credere che un gruppo o un artista italiano che non sia una Laura Pausini o un Eros Ramazzotti trovi fama abbondante oltralpe. I Matinèe sono fra i pochi eletti che ce l’hanno fatta riuscendo ad aprire i concerti di The Lumineers, Doughter, Mistery Jets e Futureheads senza mai sfigurare e tenendo alta la bandiera dell’Italia musicale. Nel loro curriculum possono persino vantare esibizioni dal vivo in tutti i live clubs londinesi più importanti per le giovani band come il 100 Club e un’apparizione alla Death Disco Night di Alan McGee (fondatore della Creation Records e scopritore degli Oasis). Il nuovissimo singolo “These Days” è stato realizzato con la collaborazione di Chris Geddes dei Belle&Sebastian alle tastiere sotto gli occhi e le orecchie attenti del produttore Tony Doogan (già al lavoro con Mogwai, Carl Barat dei Libertines e Glasvegas). Il sound della band appare molto più maturo rispetto a quello degli esordi, in cui persino i Franz Ferdinand si accorsero di loro ospitandoli ad un loro concerto italiano.
Le chitarre sono molto più incisive, con i loro riff accattivanti che si incastonano alla perfezione col drumming preciso del batterista e con la voce del cantante. In poco più di duecento secondi è condensata tutta l’essenza e la purezza del Brit Pop più eclatante ed anche quella del Rock indipendente inglese, perché le radici del gruppo sono sì italiane ma ormai i Matinèe sono a tutti gli effetti trapiantati nel Regno Unito. La canzone si presta molto all’ascolto ed è facile immaginare che verrà trasmessa anche sulle frequenze delle principali stazioni radiofoniche e sarebbe bello quindi se i Matinèe riuscissero a spopolare anche qui da noi. Noi di Rockambula facciamo il tifo per loro, consci di poter scommettere su una futura promessa del Rock Italiano. Mi rimane solo da chiedermi se la loro prossima hit sarà cantata nella lingua di Dante o in un inglese perfetto quale quello esibito da Luigi Tiberio (che nel gruppo suona abitualmente anche synth e chitarra) e da Alfredo Ioannone che è tra l’altro anche un ottimo bassista.
Lactis Fever – Lactis Fever
“In provincia di Como fa freddo quasi tutto l’anno.
Non c’è molto da fare la sera.
Noi, da qualche anno, ci troviamo in una saletta prove,
beviamo e ci picchiamo.
Altre volte ci capita di immaginare posti in cui non viviamo,
gente che non conosciamo.
Che sia sempre estate.
Che sia sempre natale”
Lactis Fever
Ecco a voi la dimostrazione che la musica Pop non è necessariamente un rompimento di coglioni piano e voce oppure un’accozzaglia di banalità musicali e liriche ma qualcosa che stimola la nostra vita, la nostra anima, cercando di ridare con intelligenza, voglia di esistere e ridere, gioia, spensieratezza e voglia d’amare.
La band comasca che sta girando nel mio Hi-Fi nasce nel 2005 e dopo diverse esibizioni live, incide il primo Ep per l’etichetta romana Peteran Records. A due anni di distanza la loro carriera di poppettari incalliti e svergognati comincia a prendere una certa forma, con la partecipazione a Operazione Soundwave su Mtv nel 2007, la vittoria al Cer.Co Top Band e l’uscita, nel 2010, del primo Lp intitolato The Season We Met, registrato a La Sauna d Varese e prodotto dalla Tubular Records, che inizia a far conoscere la band ad un pubblico più ampio grazie alle positive recensioni di alcune webzine di settore. Come cantava Caparezza “il secondo album è sempre il più difficile” ed ecco a voi l’omonimo Lactis Fever, prodotto con Matteo Cantaluppi (Bugo, Edipo, The R’s, The Canadians), disco che si pone proprio l’obiettivo di lanciare uno sguardo al mondo e all’esistenza senza piangere troppo per le sue brutture ma piuttosto sorridendo alla bellezza, anche quando si analizzano con intelligenza aspetti bui della vita.
Le nove tracce composte da Luca Tommasoni (voce e chitarra), Giovanni Morganti (Basso e cori), Roberto Tagliabue (batteria) e Riccardo Borghi (chitarra e cori) sono un inno alla beatitudine ed alla purezza. Già sotto l’aspetto estetico, nel colore tenue e le forme rotonde dell’artwork rosa pastello curato da Valerio Bianchi, si evince la necessità di non aggredire il pubblico ma più che altro di cullarlo senza comunque spegnergli il cervello. I circa trenta minuti che vanno da “The Worst Thing You’ve Ever Done” a “Tomorrow” sono una cavalcata nel mondo dell’Indie Pop di lingua inglese, con infiniti rimandi alle grandi band moderne del genere (a un passo dal plagio la sezione ritmica di “Shadows Of Doubt”) senza le solite divagazioni (stra abusate) nel mondo Jangle Pop e Twee Pop di grandiose band come The Smiths o Belle And Sebastien, come accade costantemente più spesso nella scena popular nordeuropea sempre più in fermento e soprattutto senza pomposità Chamber Pop o Piano Pop ma piuttosto con un occhio di riguardo per lo spirito Rock che evidentemente pervade la mente dei quattro ragazzi e che trova riferimenti più validi nei nomi del Britpop e del pop/rock statunitense stile Killers, Glasvegas, Editors, ecc…. Il singolo di lancio “The Sun Is Shining” sembra invece un palese riferimento, specie nella parte vocale, alla maniera di Billie the Vision & The Dancers. Se è vero che si tratta di Pop, non troppo originale e con continui riferimenti, volenti omaggi o nolenti errori non sappiamo, a grandi artisti della scena, la cosa non deve assolutamente sminuire il lavoro bellissimo dei Lactis Fever che mostrano una capacità compositiva, esecutiva ma soprattutto di ricerca melodica che sarebbe invidiata da tanti di quei giganti di cui parlavamo sopra, spesso alle prede con carenze d’ispirazione demoralizzanti. L’aggiunta dei cori all’interno delle canzoni non fa che aumentare l’impatto emotivo dei pezzi dando loro una carica che solitamente solo un certo tipo di rock “da stadio” riesce ad avere. Anche quando il sound diventa più languido e intimo, come in “Oh Lord” o “To Be Loved” le note e le parole di Luca Tomassoni non scendono mai nel patetico, anzi danno ancora più cuore alla musica dei Lactis Fever.
Se devo cercare qualche difetto, oltre alla poca originalità che sfocia in alcuni passaggi nella apparente ingenua scopiazzatura, direi che puntare sulla accessibilità, anche se questo è il palese obiettivo della band, rischia di sfociare nella eccessiva appianamento del suono, che alla lunga potrebbe risultare noioso ma solo il tempo potrà dare risposta a questa critica. Forse qualche idea in più si poteva inserire, pur sempre senza dare troppa ampollosità ai pezzi e quindi distruggerne il cuore stesso. Inoltre non mi sembra ci sia niente di eccezionalmente interessante sotto l’aspetto stilistico dei quattro ma ovviamente non hanno neanche fatto molto per dimostrare il contrario perché tutto fila liscio senza nessun eccedenza ne nella sezione ritmica, ne nella parte vocale e cosi via. Se non avessi trovato nulla ma proprio nulla da ridire, se gli arrangiamenti fossero stati eccelsi e ricercati, se la voce fosse ai livelli di un Jeff Buckley, se…se…se…
Non ragionate con i se ma godetevi un disco assolutamente meritevole e soprattutto apprezzabile da chi non ama troppo le spigolature di un certo tipo di Rock eppure non vuole continuare ad ammorbarsi con le frociate del Pop, del tipo che piace anche a vostra mamma.