Goat Tag Archive
Todays Festival | Torino 26-27-28/08/2016
E così l’autunno è arrivato, ed il TOdays festival è stato ancora un’ottima occasione per salutare l’estate in maniera degna. Il festival torinese che, tra le tante cose, mira anche a valorizzare la periferia di una città ormai sempre più ricca di architetture post-industriali soggette ad opere di riqualificazione, si è svolto in ampia parte, come l’anno scorso, in uno dei centri nevralgici della musica torinese: Lo Spazio 211. Altra sede riconfermata è quella del Museo Ettore Fico, che ha ospitato le esibizioni al chiuso di Calcutta (con coro Gospel a seguito) e AtomTM e Robin Fox in Double Vision, eventi gratuiti e a numero chiuso, in teoria accessibili a tutti coloro in grado di ritirare un biglietto in sede, nella pratica inaccessibili (causa sold out) a chi si è goduto il finale del live allo Spazio 211. Tra le nuove entrate, parlando di location, vi è l’ Ex Fabbrica Incet, edificio appartenente al patrimonio architettonico industriale ormai in disuso e riconsegnato alla popolazione quale sede di eventi all’aperto, comoda per i suoi ampi spazi e generosa per la sua acustica. E ancora il Parco Aurelio Peccei, che ha ospitato in anteprima, nella giornata di domenica 28 agosto, uno degli spettacoli più emozionanti di tutto il festival: Viaggio al Termine della Notte di Elio Germano e Teho Teardo, liberamente tratto dal capolavoro di Louis Ferdinand Céline. Spettacolo intenso, nelle musiche e nei testi (rivisitati e completamente inediti), ricco di momenti di riflessione e di introspezione, aspetti purtroppo vanificati dal forte caldo (probabilmente la causa che ha fatto slittare l’orario di inizio dalle 16.00 alle 17.00, con immensa gioia per i puntuali) e dal luogo non proprio adatto al tipo di spettacolo, (non a quell’ora, almeno), anche se le urla di sottofondo dei bambini dediti ai giochi pomeridiani sono almeno sintomo di un quartiere vivo!
Si comincia puntuali, quasi sempre (qualche ritardo nell’ultimo giorno) e la scaletta fortunatamente non prevede sovrapposizioni. Lo schema è lo stesso per le tre giornate: aprono le band del posto per poi passare ad altre realtà nazionali ed internazionali.
La prima giornata si apre con i suoni de il Pugile seguiti dall’elettronica dei Niagara, freschi di pubblicazione della loro ultima fatica, Hyperocean, e da Iosonouncane, ancora impegnato nella promozione di Die, uno dei dischi più belli del 2015 ma che purtroppo (ormai dopo 4 ascolti dal vivo posso dirlo) perde tantissimo nella bellezza del suono in versione live, ed è destinato a spezzarmi il cuore ogni volta. A chiudere la serie di concerti allo Spazio 211 ci pensa il Dream Pop degli degli M83.
Dopo il set di Calcutta al Museo Ettore Fico il festival si sposta all’Incet, dove ad attenderci ci sarà John Carpenter preceduto dalla chitarra di Paolo Spaccamonti accompagnato da Gup Alcaro (live electronics) del collettivo Superbudda, scelta a mio avviso riuscitissima, perché le cupe atmosfere e le distorsioni che la chitarra di Spaccamonti è riuscita a creare sono state il preambolo perfetto per poter entrare col cuore pronto nella musica visionaria di The Master of Horror. È incredibile pensare che John Carpenter abbia davvero quasi settant’ anni, la sua presenza scenica sul palco è enorme. Le colonne sonore dei suoi capolavori (tra i tanti: “Fuga da New York”, “Essi Vivono” e “Halloween”), rigorosamente accompagnate da video e dal conseguente boato del pubblico, si alternano ai pezzi appartenenti alla sua “nuova carriera” di musicista, sfociata nella pubblicazione prima dell’album Lost Themes e poi, nel 2016, di Lost Themes II. Si chiude così, col botto, questa prima giornata, e non meno carichi si passa alla seconda.
Il 27 agosto si comincia con i con i portentosi Stearica e con i pezzi tratti dal loro ultimo album, Fertile, che ho ascoltato diverse volte e che nella sua versione live raggiungono vette di potenza egemonica notevoli, arricchendosi di sfumature, dettagli, suoni, che lo rendono diverso di volta in volta, a dimostrazione che le loro esibizioni live sono qualcosa di prezioso e notevole.
A loro seguono i romani Giuda, acclamatissimi dal pubblico ma non di certo quanto Francesco Motta, in arte semplicemente Motta, protagonista indiscusso dei festival estivi italiani (insieme a Calcutta ed a I Cani, ovviamente). Sebbene l’ascolto de La Fine dei Vent’Anni mi abbia fatto pensare a sonorità più vicine al Pop nostrano, dal vivo la sua esibizione diventa decisamente più graffiante e godibile alla mie orecchie. Una nota di disappunto la provo quando rifletto sul fatto che sia proprio lui ad esibirsi prima degli headliner (la stessa sensazione che avrò per I Cani che si esibiranno prima dei Soulwax). In un festival di questo calibro mi sarebbe piaciuto qualche colpo di scena in più (vedi Spaccamonti che si esibisce prima di Carpenter), che venisse data ad altri artisti nostrani, probabilmente meno pubblicizzati in questo periodo ma sicuramente non meno validi, la possibilità di potersi esibire in presenza di un pubblico più corposo. La scelta dei sopra citati (Motta, I Cani), sarà pure stata strategica, ma di certo non può definirsi originale.
The Jesus and Mary Chain salgono sul palco e come spesso capita con i grandi nomi dei veterani della musica, l’attesa si carica di curiosità e aspettative che nella maggior parte dei casi si riveleranno esagerati. In questo caso ci siamo trovati davanti un live godibile, ma con moderazione, senza picchi di esaltazione.
Saltando AtomTM e Robin Fox causa sold out, ci spostiamo direttamente all’Incet per l’esibizione de I Cani e a seguire dei Soulwax, autori di uno spettacolo che difficilmente mi toglierò dalla testa. In tutto sul palco sono in sette. Tra loro, tre batterie, una delle quali suonata da Igor Cavalera dei Sepultura. Il colore predominante è il bianco ghiaccio. Il suono è un misto di elettronica e percussioni primitive. Il risultato è uno spettacolo di suoni e luci al quale l’intera Incet non può fare altro che piegarsi e cominciare a muoversi, senza sosta. E finisce così il secondo giorno.
La terza giornata vede il pubblico un po’ stanco, e lo si intuisce dal numero di coperte sul prato in notevole aumento. C’è però chi ha ancora un po’ di energia per farsi trasportare dal sound eclettico di Victor Kwality, e chi anche sotto il sole ancora cocente delle sette di sera non rinuncia a guadagnarsi le prime file per godersi The Brian Jonestown Massacre, che hanno sostenuto uno spettacolo di altissimo livello, anche se ha perso un po’ di fascino a causa dell’orario.
Abbandonate le atmosfere più cupe ci si sposta ad atmosfere più Indie e “danzerecce” prima con i Local Natives, e successivamente con i Crystal Fighters, autori di Electro-Folk che li ha portati ad addobbare il palco in modo tale da trasformarlo in una giungla. La chiusura è in bellezza con i Goat, e anche se ci si arriva un po’ stanchi e stremati, nulla può contro i loro ritmi viscerali ed il loro suono sinuoso. Finisce così il TOdays 2016, tra questi suoni e luci che sprigionano un calore che speriamo ci accompagni a lungo, almeno fino alla prossima estate.
Il TOdays vince anche quest’anno. L’offerta musicale è stata enorme e di certo questo festival, ancora molto giovane, già compete in popolarità con altri eventi (nostrani e non) di fama internazionale. I presupposti ci sono e la strada su cui ci si è incamminati è quella giusta, i progressi si sono visti. Manca ancora però un ultimo slancio finale verso l’alto, per alcuni motivi che ho citato sopra. Auguro al TOdays di arrivare ad avere gambe fortissime, di prendere la giusta rincorsa e di spiccare, infine, il volo.
Torna il TOdays Festival, a Torino dal 26 al 28 agosto 2016
L’ultimo week-end di agosto, dal primo pomeriggio a notte inoltrata, Torino passa dall’essere corpo al dare corpo a un crocevia di suoni che si propagano lungo le spine architettoniche e l’archeologia industriale riqualificata della periferia urbana che li contiene, li custodisce, li rimescola, li riverbera e lascia che si diffondano.
Aa. Vv. – The Reverb Conspiracy Vol. 3
Nuova coproduzione per la label europea Fuzz Club Records e l’americana The Reverberation Appreciation Society, fondatrice dell’Austin Psych Fest, e nuova bomba sonica che raccoglie alcuni dei nomi più interessanti della scena psichedelica del vecchio continente. Si parte con lo Space Rock di “No Place to Go” dei londinesi The Oscillation per poi volare in Spagna con “Moon” degli Holy Science. Psichedelia mantrica dal sapore Post Punk stile Soft Moon che è anche il modo più efficace, apprezzabile e diretto per introdurci a questa compilation la quale ci regalerà non poche sorprese. Si cambia completamente sound con “You Now” dei norvegesi Deathcrush; voce femminile cazzutissima e pura potenza Psych Noise per uno dei momenti più rabbiosi e violenti dell’intera raccolta, in totale contrapposizione allo Shoegaze di chiara ispirazione My Bloody Valentine della successiva “Suddenlines”, brano eccelso opera dei berlinesi The History of Colour Tv.
Con “You Drive Me Insane”, torna una nostra vecchia conoscenza, l’islandese Henrik Baldvin Bjornsson, leader anche dei mitici Dead Skeletons e qui con la storica formazione Singapore Sling, del cui ultimo lavoro vi abbiamo ampiamente parlato e tessuto le lodi. “Meltdown Corp.” Dei nostri connazionali Newcandys segna il passaggio più Stoner di questo The Reverb Conspiracy Vol. 3 e si lega perfettamente al suono sabbioso di “Death Is on the Way” dei Sound Sweet Sound e alla successiva “Green Like an Alien” degli Undisco Kidd che figura il punto centrale della tracklist. Sezione ritmica martellante, voce marcissima e riff di chitarra taglienti come rasoi sporchi di ruggine.
La seconda parte si apre con “Ausland” che aggiunge altra carne al fuoco a un’opera la quale ha già messo sul piatto una miscela di Blues, Folk, Rock’n Roll e Krautrock da farvi uscire di testa. Si sente tanto dei Neu! nel brano dei Camera e la sensazione è che si sia davanti ad una sorta di vero e proprio omaggio al capolavoro “Hallogallo”. Prima dei nuovi nomi pesanti che scopriremo in chiusura, è la volta della Darkwave “Side Effects” dei Future la quale, sempre con attitudine Psych, incorpora quel quid sintetico che sembrava essere l’unica effettiva mancanza dell’album. Fatto il giro d’Europa, si vola ancora nel Regno Unito, precisamente a Liverpool, dai grandi Mugstar che, con “Hollow Ox”, faranno traballare le pareti della vostra stanza con un cocktail lisergico di Space Rock e Stoner interamente strumentale.
Distorsioni violente, voce cupa, sommersa, affogata in un Noise aggressivo in “Tungsten” dei sempre britannici One Unique Signal. Siamo in dirittura d’arrivo e manca qualche nominativo spesso. Nessun problema perché prima è la volta di Goat con la sua “Hide from the Sun”, mixata da Anton Newcombe dei Brian Jonestown Massacre, che regala un sapore Apocalyptic Folk a quest’ultima parte e poi ai londinesi Lola Colt con “Away from the Water”, pezzo che fornisce anche il titolo all’album dello scorso anno prodotto da Jim Sclavunos di Nick Cave and the Bad Seeds, il quale ha trovato un discreto favore del pubblico anche in terra italiana. Post Punk psichedelico, vaghi accenni Hard Rock nella sezione ritmica, voce che ricorda i poetici lamenti d’una certa Patty Smith e chitarre evocative, distese ma inquietanti fino alla conclusione devastante con un minaccioso muro di suono, solo a tratti graffiato da una tastiera che ricorda il Blues dei Doors. Ottima la scelta di chiudere la tracklist con “As We’ve Been as One” di François Sky che qui vede il featuring di Jeff Levitz dei Brian Jonestown Massacre.
Il trip su e giù per l’Europa è concluso e le prime sensazioni sono quelle che ti fanno ben sperare e credere che di talento ce ne sia ancora tanto da scoprire. Qualche nome nuovo e vecchie leggende dello Psych Rock si sono alternati in un’opera che a essere sinceri ha poco senso, se si vuole analizzare oltre l’apprezzabilità dei singoli brani, specie per il fatto che siano già editi e quindi poco stimolanti per i più attenti seguaci della scena ma che, presa per quello che è, senza troppi entusiasmi, vi regalerà ore di puro godimento chimico.