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Annot Rhul – Leviathan
Ebbene, Annot Rhul, la creatura del polistrumentalista Sigurd Luhr Tonna, si è concretizzata, ha avuto la sua benedizione ed è pronta a far sognare. Tonna sforna Leviathan, un disco dalle varie sfumature che a tratti omaggia gli Anathema, a tratti pilastri come i Tool, i Goblin o i Porcupine Tree. Anche questo è un lavoro che solo una label come la mastodontica Black Widow Records poteva promuovere. Parliamo di un disco che è capace di far viaggiare e creare sottili momenti di riflessione attraverso le sue soavi atmosfere. E’ un lavoro a tinte Ambient, Gothic e Progressive. Leviathan è di facile ascolto, riesce a trascinarti con la mente in posti bui ma candidi al tempo stesso: un cielo stellato, un bosco ricoperto da lucciole o un mare tagliato a metà dal riflesso della luna. Sono pratici esempi dell’ espressione del disco: il connubio tra luce ed oscurità. La tecnica di Tonna è invidiabile sia sugli strumenti che sui missaggi e le registrazioni. Leviathan si ispira ai lavori di H. P. Lovecraft e con molta probabilità l’ operato del chitarrista/tastierista norvegese potrebbe fare da colonna sonora dei racconti del grande scrittore. Il disco si poggia molto sui giochi delle tastiere e non a caso queste ultime hanno un ruolo importantissimo se non principale. Ci sono gli elementi giusti per un sound che dal Prog passa allo Psichedelico e al Gothic in stile Goblin. Un buon lavoro è stato svolto anche per l’ artwork molto suggestivo e particolare. Non solo è bella l’ immagine ma anche i colori adoperati che rappresentano al meglio la musica di Annot Rhul. E’ un disco che va assolutamente ascoltato e sono sicuro che piacerà perchè l’ operato di Tonna è davvero impeccabile.
Il Segno Del Comando – Il Volto Verde
E’ un ritorno strabiliante quello de Il Segno Del Comando, band proveniente dalla Liguria. Sono passati dieci anni dalla loro ultima apparizione, da quel disco degno di nota intitolato Der Golem. In questo decennio pare si siano caricati perchè il loro nuovo disco, Il Volto Verde, è una vera e propria chicca impregnata di sonorità particolarissime. La mente artistica è ancora una volta Diego Banchero, il talentuoso musicista pare ne sappia sempre una più del diavolo. Ma andiamo per ordine cercando di far luce sui diversi dettagli. Partiamo dal sound del disco, un Progressive Rock oscillante tra atmosfere Dark, Psichedeliche e Jazz. Anche questo lavoro in un certo senso porta avanti il discorso delle tematiche ispirate al grandioso scrittore Gustav Meyrink e la sua opera Das Grune Gesicht. Gli artisti ospiti nel disco riescono ad imprimere le proprie sonorità: troviamo il talentuoso Freddy Delirio dei Death SS, il Maestro Claudio Simonetti dei Goblin, la napoletana Sophia Baccini dei Presence, Martin Grice dei Delirium, Gianni Leone del Balletto di Bronzo, Paul Nash ed altri. Tutti questi insieme hanno contribuito a dare un’anima singolare e superba all’album. L’ascolto del disco è piacevole, si colgono comunque dei particolari nella struttura delle canzoni che svelano la grandezza di questi musicisti. Si possono percepire atmosfere tristi, sinistre, cupe se volete ma ci sono anche momenti di pura adrenalina. Il Volto Verde è un album strampalato per certi versi con la capacità di teletrasportarti con l’immaginazione: un bosco colmo di lupi e gufi, una strada buia di periferia o semplicemente all’interno di una stanza rosso sangue dove si è violentati dal rumore di una fitta pioggia. Insomma questo nuovo disco de Il Segno Del Comando ha veramente tanto da dire, è un ritorno con i fiocchi e merita per questo tutte le attenzioni. Se pensate che in Italia non ci siano più gruppi Prog con gli attributi vi sbagliate di grosso! Il Segno Del Comando è tornato per riprendere posto tra le grandi band del genere. Cosa aspettate a procurarvi questo disco?
Il Babau & i Maledetti Cretini – La Maschera della Morte Rossa
Campanacci e muggiti e poi cupe note che ricordano le più angoscianti soundtrack dei Goblin miscelate all’asprezza di Tubular Bells, il tutto in chiave ancor più tenebrosa, tetra e languida. C’è questo a introdurci nella nuova, sorprendente opera de Il Babau & i Maledetti Cretini. Rincorrono note elettroniche che paiono razziate alle avanguardie italiane d’inizio settanta e la “Danza Macabra” si compie in un sanguinolento volteggiare di note Prog, tutto risolutamente in chiave strumentale in attesa del fonodramma vero e proprio che ci narra la storia che fa da soggetto all’intero album. Il Babau & i Maledetti Cretini è un progetto artistico che mette insieme musica, teatro e letteratura e che vede la compartecipazione di Damiano Casanova (chitarre, synth, tastiere, composizione e direzione musicale), Franz Casanova (voce narrante, synth, tastiere, carabattole varie) e Andrea Dicò (batteria, percussioni, rumorismi). La formazione sorgeva a Milano a inizio millennio e inizialmente si autodefiniva quartetto di Rock regressivo e musica da cameretta il cui nome è francamente rubato a un quadro a fumetti di Dino Buzzati. Dopo le prime fasi, Il Babau diviene un duo composto dai soli fratelli Casanova. La trasformazione trasforma radicalmente anche lo stile che abbandona la canzone e si spinge verso la riscoperta del fonodramma. Da quel momento la compagine sviluppa un personale percorso artistico che la porterà all’attuale stabilità e a questo La Maschera della Morte Rossa.
La Maschera della Morte Rossa è un racconto di Edgar Allan Poe che narra di una terrificante pestilenza, la Morte Rossa appunto e delle vicende del principe Prospero, il quale insieme con amici e cortigiani, si rifugia in un palazzo per evitare il contagio. Trascorsi cinque mesi festosi e tranquilli il principe decide di indire un ballo in maschera in sette stanze allestite ciascuna di un colore diverso. Nell’ultima stanza, di tinta nera, compare però un invitato che veste un sudario macchiato di sangue e una maschera che raffigura il volto di un cadavere. La figura attraversa tutte e sette le stanze tra lo sconcerto dei presenti che si fanno da parte per evitare di toccarla. Quando ha finito la sua passeggiata, Prospero, ripresosi e oltraggiato da quello che crede un orribile scherzo, corre incontro al nuovo venuto con l’intenzione di ucciderlo ma prima di raggiungerlo cade a terra senza vita. Solo allora gli astanti riescono a togliere il costume al misterioso ospite, ma si accorgono che sotto di esso non c’è niente: è la Morte Rossa, riuscita a entrare nel palazzo. Gli occupanti cadono morti uno dopo l’altro e la Morte Rossa stabilisce il suo regno sull’edificio ormai buio e desolato.
Questa storia, ancor oggi inquietante, è messa nero su bianco nel libretto che adorna l’album, in quarantotto pagine a colori, con testo originale e tradotto, più alcune bellissime illustrazioni di Siro Garrone. Soprattutto, però, questa storia è narrata da Il Babau & i Maledetti Cretini attraverso le sei tracce che compongono l’album non a guisa di semplice reading letterario o, ancor peggio, banale e indigente audiolibro ma come se la musica che adorna e circonda la narrazione facesse da colonna sonora alla vicenda, tanto da sottolinearne i momenti più intensi e valorizzando i crescendo emotivi di cui si forgia il racconto stesso. Se dunque la traccia iniziale tutta strumentale, di cui abbiamo accennato all’inizio, ci introduce perfettamente nell’atmosfera pestilenziale di una contrada medievale, il motivo portante del brano diventa il sottofondo, quasi come una colonna dorsale, delle restanti tracce. Sostrato che miscela il Progressive al Folk, l’avanguardia alla psichedelia, arricchendo tutto con una serie di campionamenti e inserti sonori atti a ricreare l’atmosfera ideale. La grandezza del lavoro de Il Babau & i Maledetti Cretini, che oltretutto è solo il primo atto di una trilogia dedicata i Racconti del Mistero e del Terrore del genio britannico, sta non soltanto nella capacità di sviluppare la strada dello Spoken Word senza ridurre la musica a un ruolo marginale, non unicamente nel riuscire perfettamente a dare l’idea di momenti festosi o tragici secondo il minuto trattato ma soprattutto nell’attitudine a usare un’armonia guida come il tronco di un albero dal quale si dipanano le diverse ramificazioni soniche; riesce a tenere ferma l’attenzione su di sé, tanto che anche dopo diversi ascolti, il trasporto indotto proprio dalla musica, tenderà a distrarci da quello che è il significato letterale del racconto di Poe. La cosa fornisce ancor più valore all’opera perché non solo invoglia ad ascoltare più volte, ma fornisce anche diverse chiavi di lettura, difformi punti di vista dai quali ascoltare e fare proprio l’album.
La Maschera della Morte Rossa è dunque un’opera di pregevole fattura che forse poco ha da dire sotto l’aspetto prettamente stilistico e musicale, ma rappresenta anche un modo alternativo e particolarmente apprezzabile di proporre cultura, ancor più se se ne potesse godere dal vivo e se è vero che la musica è la più nobile delle arti, anche perché quella che mette più in moto il cervello nelle sue diverse parti, pensate cosa deve essere quando legata alle parole immortali di un maestro come Poe.
Daemonia – Zombi/Dawn of the Dead
I Daemonia del maestro Claudio Simonetti non hanno bisogno di presentazioni, né loro né tanto meno il memorabile tastierista (Mr. Simonetti appunto) fondatore di un gruppo che ha fatto la storia del Prog italiano, ovvero i leggendari Goblin. Aggiungete la lunga collaborazione con un professionista del Cinema Horror come Dario Argento e comprenderete, nelle colonne sonore create, l’importanza di questo sbalorditivo musicista il quale, con i Goblin, oltre che col già citato Argento ha lavorato con un certo George Romero. In questo disco dei Daemonia intitolato Zombi/Dawn of the Dead la band riprende alcuni classici dei Goblin nel loro omonimo datato 1978, arrangiando il tutto con attrezzatura di nuova generazione. Parliamo di un lavoro dal sound più limpido, pulito e senza sbavature, rinnovato riprendendo per l’appunto quelle canzoni che hanno accompagnato alcune pellicole ormai classici dell’orrore. All’interno troviamo l’oscura “L’Alba dei Morti Viventi”, la successiva “Zombi” che è un altro tormentone della band, la melodica “Oblio” padroneggiata da fantastiche chitarre; sulla stessa linea c’è “Zombi Sexy” e la conclusiva “Supermarket” dalla vaga vena Jazz. Zombi/Dawn Of The Dead è un lavoro ben riuscito, pieno di enfasi che nonostante tutto non tradisce le cupe e sinistre atmosfere delle vecchie versioni. È chiaro che un’opera del genere poteva essere promossa solo dalla Black Widow Records, un’etichetta che merita il massimo rispetto, una delle poche che suggerisce grandi classici oltre che sfornare gruppi di altissima qualità.
Claudio Simonetti è icona quanto Dario Argento, il connubio tra le due arti ha reso l’ operato di entrambi un simbolo di un certo cinema, equivalendosi sono come il Rum e il Sigaro Cubano oppure il Whiskey e una Marlboro. Ogni opera del maestro Simonetti è sempre e comunque una garanzia, questo vale per i Goblin ma anche per la nuova creatura Daemonia; i suoi lavori non stancano mai, neanche se ripresentati come in questo caso, soprattutto se dietro ci sono altri artisti di grande spessore come Titta Tani, Federico Amorosi e Giuseppe Previtali. Adesso l’unica cosa che resta da fare è procurarsi questo disco e ascoltarlo tutto a un fiato.
La Band della Settimana: Daemonia
Nati nel 1999 dalla mente di Claudio Simonetti, storico membro della band Progressive Goblin resa celebre anche dalle soundtrack di pellicole quali Suspiria, Zombi, Phenomena, i Daemonia rappresentano una prosecuzione in chiave Metal del fascino dei suddetti, continuando ad alimentarne il mito e farne rivivere le grandezze, anche attraverso la riproposizione proprio di colonne sonore celeberrime (ad esempio Profondo Rosso). Dopo diverse peripezie, la formazione attuale è composta da Claudio Simonetti alle tastiere, Bruno Previtali alla chitarra, Silvio Assaiante al basso, Titta Tani alla batteria e, in alcuni brani, Silvia Specchio alla voce. Proprio quest’anno i Daemonia tirano fuori un nuovo lavoro, Zombi/Dawn of the Dead (2013 – CD Black Widow) che presto vedrete recensito sulle pagine di Rockambula.
Elya – Il Mio Canto è Questo Rock
Poesia e rabbia nel nuovo disco del cantautore Elya. Un lavoro maturo che arriva a piantarsi come una pietra miliare nel cammino artistico di uno spirito fedele alla linea del rock d’autore. Sei brani aperti dalla hit “Il Mio Canto è Questo Rock”. Pezzo di pura espressione vocale dove il cantautore riesce a trasmettere a pelle, complice anche un testo ben calibrato, la sua carica emotiva. Capacità espressiva legata a sonorità ritmiche, calde e sempre incalzanti anche nel secondo brano, “La Luna Ora lo sa”. Più riflessiva e melodica la terza traccia “Ci Sei tu”, che denota ancora una volta, la buona fattezza dell’intero disco. Ottimi arrangiamenti e tanta cura che per l’ascoltatore, diventano un vero e proprio marchio di fabbrica. Un risultato forte, ottenuto dalla produzione artistica curata da Fabio Pignatelli, storico bassista dei Goblin earrangiatore dei maggiori cantautori italiani fra i quali Antonello Venditti. Un valore aggiunto che si somma alle collaborazioni di Toti Panzanelli (chitarrista – Ferro, Concato, Pravo, Venditti), di Alessandro Canini (batterista e produttore artistico – Fabi, Gazzè, Mengoni, Venditti) e di Fabio Colella (batterista -Molinari, Bosso, Neil Zaza). Collaborazioni arricchite dai preziosi contributi di composizione ottenuti da Elya e da Giuseppe Ferroni. Duo che insieme agli arrangiamenti di Pignatelli hanno dato vita anche alla quarta traccia “L’Incantanta”.Pezzo che parte da una rivisitazione di un antico canto della zona della città dell’Aquila, per diventare un invocazione d’amore, quello vero, che va oltre l’apparenza del corpo e del viso. Unione d’anime scolpite in poco più di tre minuti e mezzo da una ritmica coinvolgente e da un canto ispirato ed emozionante. Nel disco c’è anche spazio per una composizione di Beppe Frattaroli (compositore – Turci, Tosca e collaboratore musicale di Paola Gasmann, Montesano, Pagliai). Ritmi cadenzati nella quinta traccia: “Capita Anche a te”. Un messaggio a non lasciarsi andare e non smettere di inseguire i propri desideri. Chiude il disco, ma solo per il tempo di ricominciare l’ascolto, una riuscita cover di “Quanto t’Amo”di Johnny Hallyday scritta in italiano da Bruno Lauzi. Elya ha voluto che il ricavato ottenuto dalla distribuzione del disco venisse devoluto alle Missioni Francescane del Burkina Faso in Africa.