Ha qualcosa di strepitoso e stupefacente questo duo di Brooklyn formato da Andrew Hock (guitar, vocals, drum programming) e Charlie Looker (bass, guitar, vocals, synthesizer, drum programming). Una cosa che sconcerta ma che tuttavia non basta a fissarsi in quella parte di memoria in cui stipiamo le cose che non vogliamo perdere per niente al mondo. Da un lato Charlie Looker quindi, già chitarra e voce negli Extra Life e chitarra in Rise Above dei Dirty Projectors e dall’altro Andrew Hock, chitarra e voce della band Black Metal dei Castevet. Dunque due anime che miscelano infiniti mondi, tanto diversi l’uno dall’altro; quello del Metal e quello dell’Art Pop/Rock e poi l’attitudine Indie e le sperimentazioni più azzardate.
Ecco spiegato da dove arriva tanta particolarità che fa di The Drain un disco che, al contrario di gran parte delle uscite che lo affiancano, pecca più sotto l’aspetto melodico e viscerale che non in termini di coraggio e originalità. Partire da tanto lontano per giungere a un punto comune attraverso strade diverse, così difformi, come pare porre l’accento la conclusiva “Manwhile”, l’apice stilistico degli Psalm Zero, quando le due voci mettono in scena una danza surreale, con un angelico cantato stile Jason Lytle (Grandaddy) a volteggiare intorno ad un violento quanto claudicante e metallico growl. Arrangiamenti Industrial impreziosiscono l’opera, gonfiandola di tensione nervosa talvolta sciolta nei synth che vanno a tagliare in maniera ancor più netta tutti i diversi mondi suggeriti dall’ascolto. La memoria dei Godflesh inizia a pulsare, con l’avanzare dell’ascolto e inizia a sorgere il dubbio di ritrovarci tra le orecchie qualcosa che non sia abbastanza e neanche abbastanza il suo contrario. Una preoccupante via di mezzo che farà fatica a imporsi come idea a sé stante, anche perché diverse sono le canzoni semplicemente antiestetiche e sgradevoli ma non di quella ripugnanza ricercata che mi piace tanto. Disarmonie che cozzano con la voglia di superare gli inestetismi del genere e finiscono per gettare The Drain in un vicolo cieco alla cui fine si erge un muro insormontabile, la barriera ricolma di schegge di vetro della normalità.