C’è poco da fare, buttiamo pure in pattumiera l’immagine del cantautore barbuto, pieno di banali vizi (ma che addosso a lui fanno stile), seduto sulla sua sgangherata sedia di paglia e con in mano una ancora più sgangherata chitarra acustica. Dimentichiamoci la figura della cantante con il vestito lungo e stretto con addosso l’ancora più stretto ruolo di interprete. Tutte a dar voce a poeti maledetti ispirati da troppo Lambrusco o da troppo sapore di mare.
Basta. In Italia, oggi (più di ieri), le donne scrivono canzoni, e hanno le palle di andare su un palco con chitarra legata con lo spago e magari anche un bel tacco dodici. La canzone italiana è sexy. E ci piovono addosso dolci pulzelle che sanno parlare dei loro sentimenti a cuore aperto, tenendo testa ai vari cantastorie di periferia, persi tra troppe letture del Manifesto e troppo tabacco che straborda da piccole sigarette girate.
Tra le tante “nuove proposte”, ho recentemente scoperto Erica Mou (l’unica ad avermi realmente stupito a Sanremo 2012), Elisa Casile (dalle terre astigiane) e la fanciulla in questione: Rossella Scarano.
Rossella ha origini napoletane ed è alla sua prima vera fatica discografica. Uscito da poche settimane “Guardando Fuori” pare stia riscuotendo già un buon successo.
La menestrella infatti sa sedurre, bilanciando bene questo suo charme tra poesia e chitarre elettriche, tra parole crude e soffici carezze, tra ugole d’oltreoceano (Ani DiFranco su tutte) e strade già più volte battute da maestre come Paola Turci e Cristina Donà.
“Tu chiamale se vuoi, emozioni” si diceva. Grande dote ha la fanciulla, la melodia segue sempre per filo e per segno il mood delle canzoni. Rossella è grande domatrice di voce e di sentimenti e riesce a governare con grande maestria questi due cavalli irrequieti. Forte e determinata sul soffice substrato musicale de “La cattiveria”, qui la canzone fa male tanto è schietta. E poi introspettiva e intesa nella title track: “Guardando Fuori” ci accorgiamo che tutto è leggero, e il peso relativo del macigno che ci portiamo dentro aumenta un pochino.
I cavalli però partono un po’ per la tangente quando la loro domatrice azzarda spunti più rockeggianti come nella filosofeggiante “Friedrich” (ispirata alla “Genealogia della Morale” di Nietzsche). Qui l’inglese rabbioso pare una forzatura e non si sposa troppo con le sue dolci parvenze. Il cambio di lingua si rivaluta poco dopo nella inaspettata ballata “Insensitive” che si barcamena tra melodia strappamutante (ricorda in alcuni tratti le grandi hit al pianoforte di Adele) e un allegro jazz da film di Charlie Chaplin.
Il sipario poi si chiude con la cover chitarra e voce di “Glory Box” dei Portishead, completamente spogliata dell’alone trip-hop e prepotentemente intensificata nella melodia.
Dirò una banalità, ma per me il primo teorema del pop è: spoglia una canzone di tutto, se è ancora meravigliosa è una grande canzone pop. Insieme a questo ultimo episodio in cui Rossella ha giocato facile, in questo album le canzoni sono molto spesso nude e crude, prive di inutili abbellimenti e soddisfano così pienamente il primo teorema.
Cari maschietti, la quota rosa sta aumentando. Sfregatevi per bene la barba e cercate nella salsedine o in nuovi inserti del Manifesto qualche idea che non sia la solita agonizzante minestra riscaldata di De Gregori, Guccini e Rino Gaetano.