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EUA – Tanto Valeva Viver Come Bruti
Secondo disco ufficiale per i parmensi EUA, il disco chiamato Tanto Valeva Viver Come Bruti esce addirittura sei anni dopo il precedente. Quattordici canzoni (e sono tantissime) di musica irriverente e demenziale, puro divertimento per scollegare il cervello. Loro si definiscono alfieri del Folk-Punk-Swing. E di questi tempi rendersi leggeri aiuta a superare i problemi con più facilità. E non è poco. “Capolinea” inizia il disco con una simpatia intelligente, testo attuale e ricordo alla teatralità artistica di Giorgio Gaber. Ci sentiamo subito a nostro agio e Tanto Valeva Viver Come Bruti presenta tutte le buone premesse per farsi ascoltare con piacere. Tra l’altro il brano in questione rappresenta il singolo di lancio dell’intero lavoro discografico.
Ritmi caldi e solari in “Extrasistole”, sembra di trasferirsi in in sud America per il clima caldo dei riff. Ballabile. I problemi reali dell’essere umano sono considerati molto nei testi degli EUA, soprattutto la condizione psicologica ripresa in brani come “Ingranaggi”, l’alienazione è il pericolo più grande dal quale bisogna ripararsi, le macchine sostituiscono la manualità dell’uomo ma non possono certamente sostituire i sentimenti. Nei momenti successivi inizio a provare qualche difficoltà nell’ascolto, non riesco a calarmi nella demenzialità con cui vengono affrontati alcuni tipi di argomenti. Avrei preferito testi spensierati ed emotivamente poco coinvolti, non tutti possono essere Enzo Jannacci. Esiste un equilibrio sottile tra serietà e demenzialità, rimanere seri scherzando riesce soltanto ai grandi artisti. In molti casi si rischia di scendere nella banalità più assoluta, una musica piacevole che lascia il tempo che trova. Niente di più. Che poi tecnicamente è suonato egregiamente è un altro discorso. Una svolta verso il piacere arriva durante l’ascolto di “ Decalogo”, colgo molta intimità nel pezzo, qualcosa di diverso rispetto alle precedenti canzoni. “Antimondo” prende vita grazie ad una frase del fisico Stephen Hawking, brano semplice e lineare che strizza l’occhio alla classica musica leggera italiana. E fino a questo momento di Punk ne ho trovato ben poco, ma non posso certo nascondere l’animo festoso della band. “Il Mallo” parla dei sintomi post sbornia, il giorno dopo è letale per tutti, un passo ben tirato nella ritmica con concretezze sonore poco evidenti. Comunque sia divertente. Il kazoo prende il merito della diversità in “La Cena Dei Peracchi”, un basso ben assemblato ma “vecchio” decide i tempi da seguire. Un brano che vuole apparire triste, “Fuori dal Tempo” sembra appartenere a tutt’altro disco. TVVCB si chiude con la cantautorale “Storia”, molto stile Guccini nel cantato, diversamente interessante nonostante non sia nulla di così originale. Ma poi non cercavo niente di originale, avevo bisogno di divertirmi e mi sono divertito se non fosse per un durata complessiva di quattordici pezzi. Una scelta molto pesante, troppa carne gettata nel fuoco. C’è materiale per quasi due dischi distinti anche nel genere. Gli EUA sono stati dei simpatici compagni di viaggio ma subito dopo rimanevo senza la voglia di scherzarci nuovamente. La musica dovrebbe conquistare senza forzature, il secondo disco degli EUA in buona parte sembra essere forzato.
Vendemmia Tardiva – Comicità a 99 cents (umorismo spicciolo)
Partiamo con i simpatici punk-rocker della Vendemmia Tardiva: un gruppo toscano che con questo ep appena pubblicato cerca di strapparci una risata (il pogo lo lasciamo ai live, che immaginiamo sudati e molto intensi).
Come ci provano? È presto detto. Un punk rock non troppo violento, ma energico e veloce, suonato non malissimo, arrangiato in modo molto classico, ma che a qualche estimatore del genere potrebbe anche piacere. La qualità è da autoproduzione, ma si lascia ascoltare (se avete un po’ il gusto del caos lo-fi). Dunque… qual è il problema?
Il problema, alla fine, sta tutto qua: la risata non scatta (ma neanche un sorrisino, eh). Ora, questa potrebbe essere per loro anche un’ottima notizia: l’umorismo, come il senso del bello, è qualcosa di molto soggettivo, e magari ciò che non fa ridere me fa ridere tutti gli altri 59 milioni e rotti di potenziali ascoltatori italiani. Ma a me, proprio, i Vendemmia Tardiva non fanno ridere.
I testi sono deboli, di un umorismo da cazzata tra amici (“spicciolo”!), che però non tiene in piedi un disco intero (e chissà se mai potrebbe). Il problema con i gruppi “umoristico-demenziali” è che per far ridere davvero devono essere a prova di bomba, devono saper esagerare, creare un universo-barzelletta e riempirlo di storie, di invenzioni, devono sorprendere, stupire (cfr. EELST, Skiantos…). Qui si sta sul non-sense spinto de “La differenza tra Pacchia e Pacchiano”, ci si incammina verso l’angolo “satirico” (ma con veramente tremila virgolette) di “Caso nazionale”, si sterza su questioni adolescenziali come in “Rompere il ghiaccio” o “La dura realtà”, ma non si arriva mai a piegare forzatamente le labbra dell’ascoltatore in un felice e liberatorio sorriso (o sorrisino che sia). Carina l’idea di “Acquarello impressionista di un dopo-festa”, che rimane (chissà poi perché) quella che mi piace di più. “Il senso della vite” è già stato usato come calembour dai Perturbazione (qui): ecco, quello (dei Perturbazione…) è un esempio di canzone che fa “sorridere”, anche se ovviamente non è in tale direzione che vogliono andare i Vendemmia Tardiva, che sono un po’ più “grossolani” – e, in questo senso, ottima la grafica del booklet e del Bandcamp (coordinata), che rende moltissimo l’idea: colori accesi, fotomontaggi naif, un’atmosfera da discount, cheap, molto “Paint”… uno stile che sta avendo grande successo nello humour post-meme & rage-faces (avete presente Shilipoti?).
Leggere il testo di “Ironia” mi aveva fatto sperare in un colpo di coda finale, una canzone seria sul sentimento ironico che ci spinge a fare i cazzoni come ultimo sputo finale sulla faccia della Realtà… e invece il risultato è una cover di Guccini (non so quanto voluta) in cui manca completamente l’atmosfera quasi tragica che dovrebbe avere il canto solitario di un buffone che vuole sfidare la morte (bellissima e archetipica immagine). Manca l’atmosfera proprio perché ironica: si vuole sorridere esagerando una verità, gonfiandola di paroloni e vestendola di barbosa cantautoralità, con il risultato di produrre una canzone che mantiene il peggio di entrambi i mondi – il barocco del cantautorato che si sta tentando di prendere in giro e la leggerezza un po’ infantile della presa in giro stessa nei confronti di un argomento di cui si potrebbe dire moltissimo (e seriamente).
Il mio consiglio, personalissimo, è: continuate a divertirvi, se questo vi fa divertire. Spaccatevi di vino (anche per me, che ho smesso di bere), sfondatevi di concerti (c’è sempre bisogno di band come questa dopo la terza pinta) e fate uscire un ep ogni tanto come quei testoni de Le Materie Prime. Ma se avete più di vent’anni provate a sperimentare di più, ad osare di più, a “pensarla” di più. E non vogliatemi male, magari sono io quello sbagliato: a conti fatti, se Dolan continua a farmi ridere, non devo essere poi tanto normale.