Hardcore Punk Tag Archive
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Continue ReadingLa Via Degli Astronauti – Dietro Ogni Memoria
Disco d’esordio per i napoletani La Via Degli Astronauti, che dopo l’EP Storie tentano qui l’approccio al full length con dodici brani di Hardcore Punk serrato e urlato, muscolare e intenso. La dimensione che a loro sta più a cuore è il live: “il Punk non va ascoltato in salotto ma respirato, ai concerti, nei locali troppo piccoli e affollati, insieme alla puzza di sudore e sigarette”. Dietro Ogni Memoria rappresenta questa filosofia in pieno: la tracklist rispetta l’ordine dell’esecuzione dal vivo dei brani, e il suono è denso e virulento, spigoloso, gonfio e distorto quanto basta per ricordarci da dove arrivano i LVDA e dove vogliono andare.
I pezzi scorrono come schiaffi, senza rimuginare troppo su eccentricità fini a sé stesse o tecnicismi. Le fughe dagli stilemi HC più consolidati ci sono, seppur brevi, ma in generale non si inventa: piuttosto si suda, si sanguina, in modo semplice ma coerente. La non eccessiva originalità sembra qui essere il sintomo di un’aderenza al genere che dimostra la loro genuina passione per (e la conoscenza di) un certo mondo e una certa scena; un mondo e una scena che sono, poi, il tema centrale di questo disco: “una testimonianza di ciò che è (e speriamo continui a essere) un’intera Scena, fatta di persone, luoghi e sensazioni, così come l’abbiamo vissuta noi”. Tutto torna.
Dietro Ogni Memoria suona compatto e sincero, ma non costruisce molto oltre l’ondata immanente d’energia e intensità, che comunque ha una sua ragione d’essere e una sua messa in scena non del tutto banale. Un giro di giostra che farà sentire a casa gli amanti del genere, senza spostare di molto l’asticella della ricerca o della fame di novità. Può anche andare bene così.
From the East Coast Fest
Ho sempre sentito parlare dell’ Hardcore SUPERBOWL del 1996 svoltosi a Pescara (qualcosa di mitologico); in molti mi hanno proferito di un certo incredibile concerto degli Slapshot e dei Misconduct; in molti mi hanno detto che quando suonavano i When Mind Reflect nella città abruzzese i kids riempivano quelle poche sale che facevano suonare fino a farle esplodere. In molti mi hanno ribadito che gli anni 90 per l’Hc Punk sono stati gloriosi a Pescara. Peccato che io fossi solo un pischello allora. Non importa perché appena arrivato davanti al Tipografia, vedendo tutti quei ragazzi e ragazze che non vedevano l’ora di entrare, ho subito avuto una bellissima sensazione, sono tornato indietro di dieci anni, nel periodo in cui la “provincia spaccava il culo alle metropoli” con il Terni o il Perugia HC FEST e tanti altri. Sì, proprio la provincia “tranquilla” e poco incline al cambiamento ma che per fortuna è composta da ragazzi che hanno ancora voglia di tirare fuori gli attributi e stupirci!
Welcome to the FROM THE EAST COAST FEST! Dunque, avete capito che questo è stato un concerto Hardcore Punk, quindi è quasi inutile parlare troppo di qualità dell’audio e vari intoppi che ci possono stare; io dico ‘sti cazzi. Riprenderò l’argomento verso la fine citando un commento scritto su FB qualche giorno fa. Iniziamo a fare sul serio: ci sono gli Xzone e gli Still Nervous che aprono la serata a suon di classico Punk Rock / Hc stile Casualties per sottolineare che ce ne sarà per tutti i gusti! Dopo di loro i Coffeeshower! Sono i nostri nonnetti d’Abruzzo ma dal vivo sono sempre tra le migliori live band del panorama italiano! Sarà perché il loro ultimo lavoro, The Glory Years, è un “best of”, tirano giù tutto con una scaletta adrenalinica composta anche dai loro mega classici! Chapeau, come sempre direi! Quindi salgono sul palco i MUD dalla provincia di Teramo. Sinceramente non li ho mai seguiti e non ho troppe info a riguardo ma a quanto pare suonano da un bel po’ anche loro e sul palco si sono fatti rispettare! Un bel set, con canzoni chiaramente influenzate dagli Hatebreed di Satisfaction Is the Death of Desire e dagli Integrity di To Die For! Molto potenti. Dopo questi ultimi due set, il pubblico è sempre più caldo e numeroso e pronto ad accogliere gli Straight Opposition padroni di casa! Ormai li conosciamo, non esistono performance fiacche di questi hardcorer pescaresi! Per quello che si sente dire in giro e per quello che ho potuto constatare con i miei occhi, dal più minuscolo squat, al club stracolmo, non ci sono differenze, salgono sul palco pronti a dare tutto e ad infuocare il pit. E lo hanno infuocato di nuovo (per fortuna non avevamo dubbi). Ecco che si apprestano a salire sul palco i loro cugini punkrocker, Radio Shakedown!!! Dopo due set hc ci stanno a pennello anche se l’intensità non cala mica, anzi. Si intravedono dei pointing finger, singalong a manetta, ragazzi e ragazze che stanno sotto al palco senza paura sudando e pogando al ritmo dei loro singoloni e delle ballate. Impeccabili!
Si apprestano a salire i co-headliner della serata, gli Strengt Approach da Roma, porta bandiera dell’Hardcore italiano nel mondo dal 1996. Qualche istante prima ho parlato con Alessandro, il cantante ed esce fuori il discorso che suoneranno dopo qualche giorno dal concerto di Pescara allo Ieper Fest in Belgio nella stessa giornata dei Gorilla Biscuits. Non c è da preoccuparsi, Pescara o Ieper Fest, Pratola Peligna o New York, il risultato è lo stesso! Sparano un set tritatutto per i kid che ormai sono belli carichi e pronti ad accogliere gli headliner. Dopo diciotto anni passati sui palchi del mondo intero gli SA ci ricordano: HARDCORE-THIS IS MY LIFE-everyday HARDCORE-THIS IS MY WAY-its running through my veins n my heart nothing has changed. Trends move but we still remain. Esemplari!
Ed ecco che si apprestano a salire sul palco gli H20! Che dire di loro. È la terza o la quarta volta che li vedo dal vivo! Gli anni passano anche per loro ma non lo fanno notare assolutamente. In questi anni ho notato una cosa, Toby Morse è un mostro nel creare dalla prima nota sintonia col pubblico; sarà una questione di sguardi o chi può dire cosa. Il bello è che per la prima volta a Pescara vedo ragazzi che fanno stagediving, che cantano a squarcia gola, che cercano il contatto vero. Il bello è che ho visto varie generazioni stare li a cantare a memoria Thicker than Water e Nothing to Prove come se non ci fosse un domani. Non è decisamente una serata per selfie, per baffetti hipster, per shopping bag fashion, etc… Qui c è solo gente pronta a dare tutto per i loro beniamini e così è stato. Ora voglio riprendere il discorso intrapreso qualche riga fa ma voglio essere breve e sintetico perché alla fine non è stato un dramma. La sfiga ha voluto che gli inconvenienti tecnici sia spuntati fuori durante il set dei Newyorkesi (salta la corrente più di una volta), lo show si blocca un attimo ma poi riprende, poi si blocca e poi riprende. Alla fine gli H20 faranno una scaletta ridotta (circa trenta minuti) e daranno il massimo per soddisfare chi era lì per loro. È successo, succede e succederà sempre un po’ ovunque. Il giorno dopo arrivano puntuali le solite polemiche da leone da tastiera, i soliti Pc Police (io li chiamo così) ma non voglio scrivere a riguardo. Voglio solo riportare quello che ha detto il cantante dei Strengt Approach su FB e chiudo: “Gli imprevisti purtroppo non hanno reso facile la cosa ma nessuno comincia conoscendo tutte le regole del gioco e c’e’ sempre modo per migliorarsi e rendere certi eventi degni di essere ripetuti!” Il To the East Coast Fest è proprio uno di questi!”
Io in primis spero in una winter edition! Mi sono divertito, credo che il 99,99% dei ragazzi presenti si siano divertiti quindi Big Up per le band che hanno suonato e per la Mutiny Crew! Alla prossima!
Mooth – Slow Sun
In un misto di riff ossessivi, frequenti cambi ritmici e una voce gridata si districa il blend sound dei Mooth. Nati dalle ceneri dei Koan, (dalle ceneri si fa per dire, in realtà hanno cambiato solo il batterista) la band, originaria di Pavia, colpisce per la particolarità del loro stile. Posizionarli, infatti, all’interno di una delle solite categorie musicali, più specificatamente del Noise Rock, risulta un’impresa abbastanza ardua. Un connubio di Sludge, Math Rock e Hardcore Punk con i classici rallentamenti del Doom crea un melting pot di suoni e generi che racchiude tutto e si colloca nel niente. Perché proprio dal niente e dal tutto si forgia la musica dei Mooth. Una mitragliata complessità strutturale impazzita, aggressiva ed energica ricca di suoni distorti e frequenze ritmiche destabilizzanti e allo stesso tempo attimi di quiete, di silenzio e di improvvise e brevissime pause che conferiscono ancora più valore all’uraganica scarica di bad vibrations.
Con Slow Sun, opera di debutto edita per la Martinè Records, sparano otto tracce che ci immergono in un’atmosfera disturbante dove paranoie, frustrazioni e problematiche giornaliere vengono scaricate con furia ossessiva grazie alla voce psicotica del cantante- chitarrista che esprime con tono il rifiuto dell’oppressione.Ottima la tecnica che i quattro musicisti dimostrano di possedere e l’intreccio qualitativo tra strumenti e voce dimostrando un’esperienza di sicura rilevanza.Tra i pezzi più significativi e meglio riusciti dell’opera possiamo indicare l’opener “Debra DeSanto Was a Heartbreaker”, “Skeletons” , la complessa “Red Carpet on the Hillside” e il tormentato brano si chiusura “Fletcher Mcgee”.
Slow Sun si dimostra in tutto il suo complesso un gran bell’esordio tant’è che a fine ascolto ci si chiede se davvero questi quattro martelloni siano di Pavia o meno (non che in Italia non ci siano mai state band di rilevanza nel mondo del Noise Rock o nel Post Hardcore, ma per ovvie ragioni i riferimenti finiscono sempre in altri stati). Un’opera originale che va premiata soprattutto per l’unicità stilistica dei Mooth che nell’amalgama di generi differenti crea il proprio ed unico stile.