“Dance Dance Dance” è il nuovo video degli Herba Mate, singolo estratto da Early Shapes lo split-album uscito nel 2014 e condiviso con i desertici californiani Fatso Jetson, tra i padri iniziatori dello Stoner-Rock.
Girato interamente tra Faenza (RA) ed alcune frazioni di campagna tra l’8 e il 9 luglio 2014, il video racconta una sfida “sportiva” tra i tre membri degli Herba Mate ed altrettanti pensionati del luogo: dalla preparazione e vestizione al tragitto verso il campo di gara, fino ad un epilogo assolutamente imprevedibile. La storia attraversa un’intera giornata, raccontata con immagini evocative e di grande impatto. Le riprese, effettuate a frame-rate elevato (slow-motion), contribuiscono a mettere in risalto la plasticità dei movimenti e l’espressività dei volti dei protagonisti, entrambe continuamente a cavallo tra epicità ed ironia. A fare da sfondo all’intera storia, la quieta atmosfera della campagna romagnola e le sue tradizioni, in una sottile ma continua tensione con elementi provenienti dalla cultura “yankee”: una contrapposizione, seppur più sfumata, che non a caso contraddistingue gli stessi Herba Mate, ben ancorati alle loro radici ma costantemente protesi oltre oceano, da dove provengono le loro principali influenze musicali (Desert / Stoner Rock).
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“Dance Dance Dance”: il nuovo video degli Herba Mate
Herba Mate – The Jellyfish Is Dead And The Hurricane Is Coming
Con la ristampa in 200 esemplari in vinile di questo bel disco del 2009 “The Jellyfish is dead and The Hurricane is coming” della band ravennate Herba Mate da parte della Blind Proteus di Simona Gretchen, tornano ad esalare i nuclei originari dello stoner desertico, avido di dolcezza e dipendente dalle sabbie aride e granulose di Kyuss e QOTSA, quelle belle desolazioni compresse e amplificate che evocano riti senza tempo e macerie fumanti di deliri post-qualsiasi cosa.
L’alchimia della band è insaziabile, si alimenta su basamenti ed ingredienti dilatati, massicci e stordenti, un rombo costantemente oscuro che erutta senza abbellimenti atmosfere percussive e cupi motori ipnotizzanti tra riffs e pelli esangui, un acido e sinistro incedere che è poi un crescendo inesorabile di subliminali ricerche che mordono tutta la tracklist, una sequenza di dissonanze e frequenze high level impressionante; certo è una ristampa con qualche nuovo innesto effettato, un disco da ascoltare dopo una nottata di baldoria come sustain sonoro all’infinito, privo dell’arroganza di insegnare qualcosa di nuovo, ma che tutto sommato riesce a rimettere insieme una eco degli anni Novanta inestimabile nella sua giusta devastazione d’ascolto.
Il marchio di fabbrica Herba Mate è incrollabile, avvolge arcani profondi e affascinanti, primordiale nel morso e beatificante nelle evoluzioni esplosive, buone le chitarre e il suono vintage valvolare che griffa l’orecchio e animo, animo che ribolle nelle cavalcate psichedeliche di “Imargem”, nello shuffle settantiano che corrobora “Aragosta vs Panther”, animo che si stordisce nelle allucinazioni offuscate che rimbalzano in “Nicotine” o nella tribalità malefica che echeggia tra le volte di “Bugs”; è un disco stratificato, organico e tutto d’un pezzo, perfetto nell’esprimere il sottovuoto arido delle grandi dissolvenze elettriche, e che coglie in pieno – anche da sobri – l’urgenza oppiata dello stoner più puro e della lisergia in musica “Sputnik”.
Passa il tempo ma rimane ancora bello come una tempesta di fuoco.