Diavoli e demoni, santità di brezze rossastre tra saguari e insegne di motel. E’ questa l’immagine “calda” che questo disco, nel 1976 e tuttora , stampa nell’immaginario collettivo; gli Eagles sono già una band affermata tra gli eroismi della West Coast, ma è con Hotel California che battono cassa ai botteghini e nelle vendite in ogni dove. Non per chissà quale iper-qualità contenuta in esso – grandioso mix d’easy country dall’intrinseco flavour southern ciccano – ma più che altro per la title track che contiene uno degli assoli più strepitosi e memorabili che la scena rock mondiale abbia mai riconosciuto.
Ma anche disco vessato e osannato per via di certe dicerie circa contenuti satanici all’interno delle tracce Wasted time, paradiso d’archi e pianoforte, e Hotel California – “ho un’idea di Satana” – e nella copertina, dove qualcuno dice di aver riconosciuto – affacciato da una finestra dell’hotel raffigurato – il viso di Anton Lavey, fondatore della chiesa di Satana in California Street a San Francisco. Mentre la band è in preda ad un periodo di profonda escalation nel mondo della droga, l’album diventa vessillo del mito americano on the road, panacea sonante per le strade blù da percorrere in libertà e a tutto gas, tra metedrina e sogni Altmaniani; country-rock intrecciato a tessiture di chitarre acustiche da manuale che realmente danno l’impressione di avere il vento tra i capelli mentre si “fugge” via da chiunque senza una meta, senza un’idea, ma solo e comunque fuggire a cavallo di ballate che annientano, azzerano ogni voglia di ritorno. La California dream è tutta racchiusa in questa pietra miliare di vinile, una porzione degli strascichi della Summer e i tentacoli Sausaliti che risalgono da sud, stringono l’aura maledettamente easy che si rotola estasiata nei movimenti lenti di New kid in town e Life in the fast lane, nel running rock Victim of love. Nella seconda parte, però il disco frena, si perde nello scontato paradiso dei refrain di seconda Pretty maids all in a row, Try and love again e The last resort, ma si arriva in questi paraggi già satolli di bellezza per quello che si è ascoltato prima, abbondantemente “fuori” da non farci caso. Joe Walsh, Don Felder e Glen Frey alla chitarre, voci e tastiere, Randy Meisner e Don Henley, basso e batteria, sono aquile di razza che volano sopra il deserto di Sonora con la leggiadria di rondini che, diavolo o non diavolo, satana o balzebù che sia, trapassano la membrana d’emozione a chiunque ha avuto, ha e avrà l’occasione di chiedere informazioni alla reception di quest’indimenticabile Hotel California.