Idhea è una cantante ligure e No Chains il suo ultimo disco, presentato come melodie accattivanti, arrangiamenti taglienti, un viaggio tra il pop d’autore, la ricerca, la sperimentazione e il rock. Ora, è un mestiere anche quello di abbellire in ogni modo possibile un disco in sede di presentazione, però dai, un limite mettiamolo. La sottile linea tra il make up e la chirurgia plastica. No Chains (non ha senso girarci attorno) è un disco brutto. Esplicitiamoci meglio: è un disco immerso in un immaginario (sonoro e non) che è vecchio, stantio, odorante morte e putrefazione. Si dirà: è lo stesso immaginario che vive ogni giorno in molte delle nostre radio, delle nostre televisioni. È l’immaginario che vince sul mercato. Verissimo. Idhea e i suoi collaboratori, su questo, possono stare tranquilli: la mia profonda e insindacabile stroncatura non avrà nessun seguito sulla carriera di questa bella ragazza a cui piace cantare, con una voce molto particolare (bassa, piena), le sue canzoni Pop / finto Rock. Ma un disco così è un disco inutile, e, in quanto tale, dannoso.
Le canzoni sono trasparenti, le solite tre cose che sentiamo ovunque. Il Pop d’autore lo si cerca dalla coffa, sperando che spunti nella nebbia per gridare con sollievo “Terra!!!”, ma non accade. La ricerca e la sperimentazione, per favore, lasciamole a chi si fa il culo per uscire dal seminato dopo 60 anni e più di musica leggera (non basta un synth buttato dentro a caso). E il Rock… se Rock vuol dire una batteria in 4/4, qualche chitarra elettrica e due assoli, allora Sanremo è Woodstock e il mondo non ha più senso. E anche ad inserire questo disco nel filone del Pop italico mainstream, si fa fatica a dargli la sufficienza. Le melodie non sono poi così accattivanti come ci si vuole far credere, e la produzione, sebbene di livello, non è nello standard radiofonico che possiamo raggiungere oggi (alcuni suoni sono pugni nelle orecchie, e non riesco a farmi piacere questa voce maschile che si appoggia in ogni ritornello sulla voce principale: distrae troppo, manco fossero tutti duetti). E anche quando si tenta di fare di più, si toccano degli attimi di involontaria ilarità: sentire “No Chains” che cita “La Bamba” e “l’hit single” “Non è possibile” dove ad un certo punto si cerca il semi-Rap parlato con risultati purtroppo pessimi. Un disco da cui girare alla larga se appena appena capite la differenza tra Cristina Donà e Laura Pausini, tra Carmen Consoli e Emma Marrone. Fate voi.