Il Mercato Nero è il frutto di un ménage à trois collaudato, quello tra Manuel Fabbro, basso e voce, Matteo Dainese a completare la sezione ritmica ed Egle Sommacal, chitarrista storico dei Massimo Volume. Ex militanti negli Ulan Bator, intraprendono ora la via del Hip Hop. La scelta è apparentemente distante dalla prima esperienza insieme, ma al termine dell’ascolto di Società Drastica non lo sembrerà più tanto. Il fatto che sia suonato è già di per sé una caratteristica insolita per un disco Rap. Un’esercitazioneche rivela che una convivenza tra la buona musica e l’mcing non solo è possibile ma è anche valida.
I tre si avvicinano al genere con aria reverenziale da neofiti, tanto quanto basta a far pensare che siano stati loro i primi scettici riguardo alla convivenza di cui sopra. Dj Gruff è diventato il mio analista, dice Fabbro in “Passo Falso”, brano di intro che è una sorta di prologo dell’intero progetto. In effetti le atmosfere acide evocano gli anni 90 dei Sangue Misto. La metrica però è più torbida e il linguaggio eccessivo, lontano dallo slang americanizzato, al massimo troverete slang veneto (lo scheo di cui si parla in “Tossico” confesso di averlo googlato, e al di là del significato la scoperta più emozionante è stata che di Wikipedia esiste anche la versione in lingua veneta). L’album dipinge così, senza troppi filtri,scenari sociali disturbanti ed attuali, frammenti sin troppo comuni di quella Società Drastica che non ho capito cosa mangia ma mastica (“Esche Vive”, il singolo che accompagna l’uscita del disco).
Hip Hop old school, per le tematiche e la disillusione con cui le affronta, ma figlio del nuovo millennio, con l’elettronica che sostituisce le manipolazioni analogiche della tradizione. L’elettronica è quella di Dainese, all’attivo con un progetto solista dai connotati Alt Pop in cui è noto come Il Cane. Il cantato di Fabbro ruba la metrica al Rap ma spesso si fa cupo, perde in ritmo e muta in un fluido spoken. Sommacal lega il tutto con la persuasione evocativa del Rock. In ogni traccia l’apparato strumentale è ricco e sperimentale (la tromba sul ritornello di “Saccopelista”, la marimba in “Automobile”). Da un certo punto in poi il ritmo serrato delle prime tracce lascia spazio a sonorità più morbide. “Nduja”, dispetto del titolo, ha un sapore tutt’altro che aggressivo, un cupo rimuginare sulle contraddizioni del Bel Paese, sull’atmosfera inquieta e onirica creata da un Fender Rhodes.
Ad uno sguardo complessivo, paradossalmente,la qualità del sound penalizza l’ascolto complessivo perchè ruba la scena ai testi, chein molti frangenti non reggono il confronto e finiscono per scorrere via inosservati. Lo ribadisce al termine del disco la ghost track strumentale, fatta di archi sapientemente attorcigliati su suoni sintetici. Nonostante questo divario, Società Drastica èuna singolare declinazione del Rap che ha le carte in regola per convincere anche i meno avvezzi al genere, a tutti gli effetti un riuscito esperimento Crossover.