Taste Our Voodoo: dopo Twist of Fate (2010) ed In Comfort (2011), terza testimonianza tangibile del proficuo e duraturo sodalizio artistico tra la statunitense Lydia Lunch (al secolo Lydia Anne Koch, musicista No Wave, attrice, poetessa ed interprete dal curriculum pressoché sterminato), ed il poliedrico dj e sound artist d’oltralpe Philippe Petit. Il doppio LP, registrato dal vivo (Marsiglia e Berlino) nell’arco temporale di oltre due anni e mezzo, annovera al suo interno quattro suite dal sapore post-apocalittico (due per disco: “Voodoo I”, “Voodoo II”, “Voodoo III”, “Voodoo IV”), la cui durata oltrepassa prepotentemente il limite estremo dei venti minuti. Scelta in un certo senso obbligata, considerando che una segmentazione temporale “canonica” soffocherebbe inevitabilmente l’intero concept dell’album, privandolo della sua naturale impostazione progressiva e quindi della linfa vitale che lo alimenta da vicino.
Ma veniamo al dunque. Taste Our Voodoo (limitato a sole 299 copie), rappresenta quanto di più distante dall’accezione capitalistica del termine “industria” (secondo i rigidissimi dettami del manifesto No Wave, movimento artistico newyorkese nato sul finire degli anni settanta in seno alla sottocultura Punk dell’epoca con l’intento di rigettare gli elementi più spregiudicatamente commerciali troppo spesso insiti nella coeva scena musicale New Wave). A tal proposito risulta particolarmente esplicativa ed illuminante la seguente citazione, estrapolata dal pensiero della stessa Lydia Lunch: “Voglio essere umiliata se qualcosa di quello che faccio dovesse diventare un successo commerciale”). Erudita manifestazione artistica costituita da disturbanti ed ossessive textures Electro Ambient (scevre dal benché minimo accenno di struttura organica/melodica) e maniacale recitazione di stampo puramente teatralistico, complesso ed incalzante viaggio emozionale dove le armonie dissonanti ed oniriche del talentuoso Petit (ottenute mediante il sapiente utilizzo di sintetizzatori ed impulsi elettronici, strumentazione acustica – come violini e fisarmoniche, ad esempio – effettistica al limite del più fosco esoterismo e campionamenti da vinile) si intersecano alla perfezione con l’atonalità e l’isteria del nichilismo vocale, come sempre irriverente (“dio è una bomba, dio è un proiettile!”), ideologicamente rivoluzionario (“la libertà è un’allucinazione”), languido, scurrile, sognante. Un progetto alquanto esigente, prolisso ed ambizioso, geometricamente imperfetto, senza dubbio alieno per i non avvezzi a soluzioni formali sperimentali ed avanguardistiche.