Esordio col botto per i Lorø, trio strumentale del padovano che ha studiato la materia e propone un ottimo disco privo di titolo in cui si miscela con potenza, gusto e inventiva tutto un insieme di stilemi rumorosi e psichedelici (in senso lato): batterie pestatissime, Elettronica Minimale, droni gonfi e chitarre granulose. Nove brani che spaziano dal sapore metallo di “Clown’s Love Ritual” ai sapori vagamente Jazz di “High Five”, fino alle alture di vuoto Post Rock spaziale e rumorista della chiusura di “A Trick Named God” o della sperimentale “ø”. Con un mix più organico dei vari elementi e con magari un immaginario più approfondito e definito si sarebbe potuto gridare al capolavoro. Rimane un disco che vale tutti i 48 minuti e rotti dell’ascolto: diverte, sorprende, appaga. Da provare, soprattutto se vi entusiasma il genere.
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Lorø – Lorø
Cranchi – Volevamo Uccidere il Re
Il cantautorato italiano può tranquillamente essere sezionato in due: quello impegnato e fatto di sognanti poesie e quello incompetente, commerciale e vergognoso. Lo spacco è talmente netto che chiunque riuscirebbe a scegliere la propria sponda (collocazione) al primo ascolto. Non per questo l’impegnato debba essere meglio del demenziale ma necessariamente superiore al vergognoso commerciale (una fetta molto ampia e diffusa della musica in circolazione oggi).
I Cranchi sono la band del musicista Massimiliano Cranchi e per nostra fortuna fanno parte dello schieramento poetico impegnato, una scelta difficile perché in questo caso bisogna dimostrare di esserne capaci e loro non senza troppe difficoltà lo sono. Il loro disco Volevamo Uccidere il Re arriva come secondo lavoro ufficiale dopo Caramelle Cinesi mantenendo costante le proprie capacità compositive che iniziano a saldarsi prepotentemente all’ossatura della musica d’autore italiana più classica. I Cranchi o Cranchi Band non nascondono mai una somiglianza vocale quasi impressionate con De Gregori, anche il modo di affrontare un brano sembra essere molto simile al vecchio cantautore, un’affinità a doppio taglio per la band, da una parte la facile digeribilità delle canzoni dall’altra un effetto cover sempre nei paraggi. Dobbiamo però considerare la poca originalità di tutto il sistema dei cantautori italiani, ascolti dieci cantanti e nessuno o quasi mette una firma inconfondibile.
Detto questo torniamo al nostro disco Volevamo Uccidere il Re e confermiamo malgrado tutto la propria bellezza, attualità e freschezza. Ho ascoltato il disco per intero almeno quattro/cinque volte prima di arrivare ad una conclusione definitiva, imparavo subito le melodie folk, canticchiavo qualche strofa ma il colpo di fulmine è arrivato per il pezzo La Primavera di Neda (e chi ha già ascoltato il disco ribadirà le proprie perplessità sulla mia critica a questo disco). Non chiedetemi come mai visto che chiaramente non è il cavallo di battaglia della band padana ma il rimanere folgorati non deve per forza avere una spiegazione logica. Forse quel testo dolce e significativo, una melodia condita nel verso giusto, non lo so ma il pezzo merita decisamente. Poi altri grandi brani come Cecilia (penso all’Alice di De Gregori) o Anni di Piombo dove la musica folkeggiante ricorda in maniera convinta Edoardo Bennato. Volevamo Uccidere il Re mantiene un buon atteggiamento positivo per tutta la durata del disco (anche pezzi come Il Cuoco Anarchico) senza mai avere picchi di superiorità o di desolazione, un giusto concentrato di musica e parole, quel cantautorato equilibrato con il quale ogni persona dovrebbe confrontarsi almeno una volta nella propria vita. I Cranchi suonano il sentimento umano di una società senza valori destinata al collasso e lo fanno sulla punta dei piedi senza infastidire niente e nessuno.