Un italiano, uno svedese, un egiziano e un americano si trovano a Roma. Ora ci si aspetterebbe una mirabolante barzelletta dal finale esilarante ed invece ci troviamo davanti agli Inbred Knuckelhead. Il gruppo, romano di adozione ma multietnico nella composizione, si presenta dopo tre anni di silenzio dall’album di debutto con il nuovo lavoro Family Album. Premesso che avendo un debole per i cd, nonostante faccia largo uso di musica digitale, mi sono deliziata a spulciare con attenzione quello realizzato da questi ragazzoni. La cosa più interessante e che l’esterno rispecchia molto fedelmente l’interno. Nessun inganno frutto dell’apparenza ma solo una buona dose di coerenza. A più riprese nelle molteplici sfaccettature di questa band si ritrova un legame tra la musica e il modo di presentarsi visivamente. Di primo acchito e ascolto quella più evidente è l’ironia. Questa è espressa, dal punto di vista visivo nei parossistici personaggi che compongono il personale album di famiglia del gruppo, e da quello musicale con brani che attingono a piene mani dalle sonorità indiavolate e scanzonate dello Ska e del Punk, come “Remenber When” che apre le danze o “Revolution”.
Una seconda sfaccettatura è quella della voce gutturale di Marco Vallini, delle chitarre distorte e dall’animo scuro certamente Grindcore, che troviamo in “Circus” e “Recombine”e anche qua e là sparpagliate in fugaci apparizioni. Insomma molti tratti, ben marcati e tinteggiati da colori netti sembrano rappresentare la chiave di quest’album, come il lavoro di chi con cura si dedica a realizzare scatti multipli della stessa fotografia per non perdersi nessun dettaglio. Su questa scia le prime tracce quasi volano piacevolmente finché non s’inciampa in “Gypsy Girls”, e si rimane spiazzati da un brano fatto di chitarrine, nacchere, cowboy e indiani. Non sembra nemmeno di ascoltare lo stesso gruppo se non fosse per la voce di Mike Botula. Conclusa la parentesi vado in Messico si risale la china e si ritorna ad ascoltare brani fatti da un mix di Punk e Ska alternato a giri di chitarre che rasentano sentori Metal e qualche intonazione Country Blues, per terminare con una doppietta “Transform” e “Tekkno”decisamente più dura e nera. Gli Inbred Knuckelhaed sono un gruppo interessante per composizione e per la miscela a volte esplosiva che riescono a creare, ma al tempo stesso le molteplici anime che muovono le corde del gruppo, forti e innatamente dure come nocche, lo portano a realizzare brani ibridi dal sapore un po’ incerto, dove generi diversi s’innestano l’uno sull’altro. Family Album è un lavoro curato a volte con qualche indecisione che lo fa zoppicare sullo stile perché molto focalizzato a dare voce a troppi dettagli, ma che rappresenta alla perfezione l’incontro delle anime musicali di un rapper italiano, un chitarrista Hardcore svedese, un batterista egiziano, di fatto ma non di nome e un americano della weast coast con il Funk nelle vene. Se non vi fidate schiacciate pure il tasto play.