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Linoleum 3rd Birthday Party con Canova e Asia Ghergo @ Rocket, Milano | 24.03.2017
00:45. Quando esco dal Rocket, sudato e senza fiato, mi riprendo passeggiando sull’alzaia del Naviglio Grande e penso due cose. La prima: concerti del genere vanno vissuti con bombole per ossigeno e lorica medievale, come minimo; la seconda: l’effetto che ha su di te un concerto dipende tantissimo da che cosa ti vuoi portare a casa quando finisce (a parte sudore di estranei e struscii indesiderati sul pacco).
La Band della Settimana: I Nastri
I Nastri sono contaminazione, sono musica che ti parla da lontano mostrando tutti suoi volti, le sue storie, le sue paure. Dal 2012 I Nastri rappresentano le influenze e le esperienze artistiche maturate negli anni da Bongi, Robe e Fede: metriche progressive si fondono con l’hip hop, melodie pop sperimentali incontrano il rock e l’elettronica, testi intimisti e disillusi si alternano tra ripetizioni ossessive e toni rassicuranti. I Nastri sono dove l’analogico incontra il digitale, dove smetti di chiedere e inizi ad ascoltare. Il brano è il primo singolo estratto da “Cos’hai In Mente?”, nuovo album della band milanese prodotto insieme ad Edipo, tra melodie indie pop e sperimentazioni elettroniche, in uscita a gennaio per Costello’s Records.
Terzo Piano – Super Super
Sonorità brillanti, piglio deciso e personalità sono la forza di questo Super Super dei Terzo Piano, band di Cava de’ Tirreni che giocherella incauta sul bordo tra la minchiata nonsense (il meta-testo di “H”, parte 1 e parte 2) e il capolavoro vorticante e cosmico dove si vola a occhi chiusi, liberi, senza farsi troppe domande (“Attratti Super”, che ha anche un video bellissimo). È bello sentire, nel marasma di band che tentano di piacere a tutti i costi, qualche raro esempio di sguardo che pare limpido, che sembra guardare dove vuole, sbattendosene di sembrare più o meno “hip”, più o meno fuori di testa. Ma mi trattengo ancora, perché nelle voci e nelle melodie così Pop eppure storte, nelle ritmiche minimali eppure trascinanti, nelle canzoni così vere che sembrano finte (o così finte che sembrano vere) c’è ancora una penombra di dubbio che non mi tolgo. Ci sono o ci fanno? Follia o calcolo? C’è chi direbbe che non importa, che l’opera è l’opera e da sé parla, e non ci sono contesti o contorni che tengano quando la si assume, quando ce la si inietta nel timpano. Sarà; io un po’ ci penso, ma nel frattempo mi riascolto Super Super e ci navigo un po’ dentro, poi vedremo. Nel peggiore dei casi sarà un guilty pleasure ad alto contenuto calorico. Nel migliore, una frangia del Pop di domani.
L’Introverso – Una Primavera
“Mi rialzo da me, mentre affondano i marciapiedi”. L’Introverso da Milano stanno per dare alle stampe il loro primo album, Una Primavera, lavoro che parla di sconfitte incassate e di immediate resurrezioni con un taglio Brit Pop, Indie Rock. Dall’opener “Tutto il Tempo”, gradevole presa di coscienza di stampo Coldplay (anche se a loro piacciono gli Oasis) si passa a “Manie di Grandezza”, pezzo con volontà catchy dal ritornello orecchiabile che risulta essere il brano centrale del lavoro ma che non riesce a pieno nell’intento del singolo spaccatutto, vittima di un eccessivo controllo e determinismo. D’improvviso però ci troviamo di fronte ad un calo, un freno a mano fisiologico poco motivabile che una band apparentemente “macchina da guerra dal vivo” non può di certo permettersi: “Il Finestrino” parla (anche) di sesso in macchina ma non percepiamo nulla di un momento così intimo; “Uguali” sceglie un arrangiamento irritante di stampo sanremese come anche “Prima o Poi”. Cosa succede, quindi? I quattro di Milano, e questa è una nota di gran merito, hanno ascoltato, studiato e fatto proprie molte formule tipiche del Brit Pop senza però, e questo è il problema, riuscire a plasmare un prodotto nuovo e fresco e rimanendo spesso aggrappati a un certo Pop melodico italiano da (bassa) classifica. Ma non tutto è perduto, un disco va ascoltato fino alla fine per dare un giudizio. Sai che c’è, potrebbe andare meglio e credimi avrei diritto al meglio. Sento di rinascere, da oggi voglio una primavera per me: questo estratto dalla traccia di chiusura “Primavera” racchiude l’essenza di ciò che L’Introverso vuole esprimere. Semplicità, molto contenuto e una poetica diretta e precisa che, insieme a “Estranea” (dentro c’è tanto Marlene Kuntz) va a risollevare le sorti di un lavoro indubbiamente sopra la sufficienza ma a tratti incomprensibilmente tedioso. L’introverso ha idee, know-how e voglia ma per arrivare dritti al cuore dell’ascoltatore (come afferma lo stesso Nico Zagaria, voce della band), magari proprio come un “Pugno allo Stomaco”, bisogna liberarsi dalla gabbia virtuale e cercare di osare sempre di più.
Finistère – Alle Porte della Città
L’esordio dei Finistère sa di caramella senza marca, un gusto dolce e comodo che non riesci a collegare ad un nome, ad un’immagine, ad un’identità precisa. In Alle Porte della Città i quattro lombardi suonano un Pop Rock di matrice Indie che non si inventa granché, anche se riesce a piazzare qualche discreto colpo d’orecchiabilità e melodia. Carina la scelta delle due voci che armonizzano costantemente, anche se in qualche caso questa soluzione fa suonare alcune linee melodiche come eccessivamente artificiose: le rende spigolose e quasi meccaniche (“Lo So che Mi Odi”). Testi per la maggior parte ininfluenti, storie dipinte con pennellate che sembrano frettolose, generiche, confuse. C’è la voglia di raccontare, ma immersa in un’indeterminatezza che disorienta. Si poteva fare qualcosa di più.
Alt-J – This Is All Yours
Sono in tre, sono inglesi e sanno bene cosa fanno. Gli Alt-J nascono nel 2007 e pubblicano il loro album di debutto (An Awesome Wave) nel 2012. Un disco che lascia la critica piuttosto spiazzata, considerata la massiccia mole innovativa che lo compone. A distanza di due anni, il 22 settembre corrente anno, pubblicano il loro secondo lavoro: This Is All Yours. Senza dubbio alcuno questo è stato uno degli album più attesi di questo 2014. Sarà che il precedente e pluripremiato (si veda il Mercury Prize) An Awesome Wave fu nel 2012 acclamato dalla critica come tra i migliori esordi di sempre, sarà perché, come diceva qualcuno, “Il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista”, sarà perché gli Alt-J sono riusciti a sfiorare le vette del mainstream internazionale con un sound talmente proprio e identitario da potersi dire tutt’altro che commerciale e sarà perché a gennaio di quest’anno hanno annunciato l’abbandono del bassista Gwil Sainsbury, tra lo scompiglio degli ormai già affezionatissimi fans e della band stessa.
Per capire dunque se la band sia riuscita a superare l’affannosa “prova del due” ci occorre premettere, per onestà intellettuale, un aspetto assai importante: This Is All Yours e An Awesome Wave sono dischi molto diversi tra loro. I ragazzi di Leeds con questo ultimo lavoro hanno certamente maturato un sound più introspettivo e spettrale, con chiari (e nemmeno troppo celati) richiami alla musica medievale (soprattutto dal punto di vista vocale, come si può notare in “Intro”) e alle sonorità soffuse alla Sigur Ròs (basti pensare a “Choice Kingdom”, settimo episodio della serie). Se cerchiamo singoli alla “Breezeblocks” o “Fitzpleasure”, per intenderci, rimarremo delusi. Non c’è traccia di quella brillante tensione metropolitana ben confusa con la furia della natura che caratterizzava le sonorità e le atmosfere dell’esordio. Da This Is All Yours traspaiono una cupezza disincantata e un’alienazione divertita. I bassi sintetizzati e le percussioni triggherate sono diventate assai meno invadenti e ci si sorprende un po’ quando con la bucolica “Warm Foothills” (decisamente l’episodio meno originale dell’opera) arriviamo ad essere cullati dolcemente, tra un fischio Folk e la delicatissima voce della gradita ospite Lianne La Havas. “Nara”, “Left Hand Free” e “Every Other Freckle” sono probabilmente i brani più significativi dell’intero disco. “Nara” è un inno alla libertà, dedica dichiarata alla città giapponese dove i cervi scorrazzano senza barriere o restrizioni di sorta, indicativa per capire il cambio introspettivo della band e che, insieme con il resto della trilogia (“Arrival in Nara”, “Leaving Nara”), sembra completare una preghiera pagana dai toni oscuri e processionali. “Left Hand Free”, capitolo numero cinque, è il brano più “radiofonico” e sembra volerci ricordare che questo “allontanamento dalla città” non è che un momento di passaggio, un po’ come lo è un secondo disco all’interno di una lunga carriera. “Every Other Freckle”, oltre ad essere una track dallo spessore non indifferente, è senza esitazioni un capitolo importante, rappresentando il legame diretto con le sonorità che valsero la fama del primo disco e quello che è il loro presente più contemporaneo. La traccia si presenta in piena dote di una grandissima coscienza d’arrangiamento e caratterizzata da una vena artistica naif ribelle e anarchica, che sfida la forma canzone classica e che punta dritto al futuro davanti a noi.
Niente più tempeste, dunque, niente onde imponenti in cui disperderci, ma un gradevolissimo viaggio lungo un’ora, che attraversa il tempo (sull’internet si vocifera che il disco sia stato registrato in una chiesa medievale) e che vuole superarlo, consapevole della maturità acquisita, capace ancora di sorprendere, pur se in maniera assai meno diretta. Per la seconda volta il giovane trio passa le selezioni e punta alla vetta, mantenendo le promesse fatte a suon di musica appena due anni fa. Tutte quelle promesse contenute in un’opera impressa su disco, sotto il titolo di An Awesome Wave.