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Gli Interpol inaugurano l’estate musicale torinese alle OGR.

Written by Eventi

L’appuntamento con loro è per lunedì prossimo 26 giugno, data zero della rassegna Sonic Park.

C’è un momento memorabile in Meet Me In The Bathroom – il doc sulla scena indie-rock newyorkese dei primi Duemila che qualche fortunato torinese ha potuto vedere quest’inverno grazie al sempre ottimo Seeyousound Festival. E no, non è James Murphy con la stessa pettinatura di Hillary Clinton quando ha annunciato la candidatura alla Casa Bianca. È la mattina del 9/11 e un giovanissimo Paul Banks in B/W è fermo su un marciapiede di Manhattan lercio di detriti mentre le Torri Gemelle bruciano sullo sfondo. Un minuto e mezzo di pura inquietudine, sensazione che diventerà familiare nell’universo post 9/11 ma anche nella discografia degli Interpol.

Turn On The Bright Lights esce l’anno successivo e catapulta la band di Paul al primo posto della classifica Pitchfork dei migliori dischi dell’anno – fun fact, al secondo posto quell’anno ci finì Yankee Hotel Foxtrot dei Wilco, che arriveranno sempre a Torino a fine estate nel primo giorno di TOdays Festival. Turn On The Bright Lights diventa un classico della new new wave e gli Interpol – senza dubbio i più classy e meglio vestiti e pettinati della scena, specie se paragonati a soggetti come i Moldy Peaches – una band in grado di influenzarne altre, dagli Editors di The Back Room ai White Lies.

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Il piano quinquennale degli Interpol per trasformarsi in band di culto continua con Antics (2004) e Our Love To Admire (2007), entrambi fucine di singoloni come Slow Hands, C’mere o Rest My Chemistry, che ancora oggi fanno tremare le ginocchia del buon millennial. Poi, nel 2010 il “John Frusciante” della band – il bassista dalle velleità da attore Carlos D. – esce dal gruppo e inizia per gli Interpol un decennio di alti e bassi e dischi più e meno ispirati, fino a The Other Side of Make-Believe, uscito l’anno scorso sempre sotto l’ala della Matador.

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In Italia non tornano da ben cinque anni, quindi la data di lunedì 26 giugno a Torino – l’unica “integrale”, visto che suoneranno solo agli I-Days di Milano insieme però a Paolo Nutini – sarà un bel banco di prova per vedere lo stato di salute della band. Solo l’architettura post-industriale della Sala Fucine delle OGR poteva essere scelta per adattarsi al mood e al look di Paul Banks, che non ha mai rinunciato al completo nemmeno sotto l’afa del Primavera Sound.

Quella degli Interpol sarà la “data zero” della quinta edizione di Sonic Park, la rassegna che a luglio porterà nel contesto eccezionale e sabaudissimo della Palazzina di Caccia di Stupinigi vecchie glorie come i Placebo e nuove stelle come Madame (qui tutte le info sugli eventi in programma).

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Semplici nostalgici degli anni zero, millennial che ancora sognano di notte la combo orologio d’oro / sciarpina di Burberry / occhiale da sciura di Porta Venezia di Banks nel video di C’mere, fan dell’ultima ora che li hanno scoperti grazie a qualche trend di Tik Tok (ora funziona solo così, vero? Chiedo per un’amica): l’appuntamento è lunedì prossimo alle 21, e chissà che in scaletta non ci finisca qualche perla rara come All At Once.

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[ non è mai troppo tardi per il ] Primavera Sound 2015 – parte II (e per i rumors sull’edizione 2016)

Written by Live Report

Sì, abbiamo un conto in sospeso con il festival dei festival, quello che inaugura la stagione e a cui tutti gli altri si ispirano, e non ce ne siamo dimenticati (trovate qui un resoconto dettagliato dei primi due giorni dell’edizione 2015).
Che tu faccia parte degli scettici o dei frequentatori seriali che hanno già in tasca l’Abono 2016, ti raccontiamo quello per cui è valsa la pena di trascorrere la tre-giorni più massacrante dell’anno in Catalogna, ma anche tutti gli imprevisti che mai ci saremmo aspettati dalla mastodontica macchina organizzativa dietro a un evento come il Primavera Sound Festival.

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Nel frattempo le prime info sulla line-up 2016 si fanno attendere fino a gennaio inoltrato, e il web si sbizzarrisce a suon di pronostici scientifici e speranze infondate. Quel razzo in locandina riaccende la consueta chimera della presenza di David Bowie, ancor più dopo l’annuncio della release ufficiale di Blackstar prevista per l’8 di questo mese, giusto il giorno dopo quello in cui il prezzo dell’abbonamento al Prima subirà l’ennesimo aumento. Sí, il Primavera Sound riesce a vendersi (a caro prezzo) anche a scatola chiusa, ma d’altronde i grandi nomi del momento passano tutti per la kermesse spagnola, e la cifra da sborsare per poter presenziare a una tale quantità di live, all’apparenza esorbitante, è a conti fatti un’occasione irripetibile e convenientissima. Ok, resta il fatto che nella pratica ci vorrebbe il dono dell’ubiquità per poter stare sotto a una decina di palchi in contemporanea, ma questo lo avevamo già mestamente constatato lo scorso anno. In ogni caso, si può star certi che davanti al programma completo sarà impossibile restare delusi: se Bowie sembra un miraggio, i protagonisti più quotati dietro all’hashtag #PrimaveraAllStars sono del calibro di Beach House, Pj Harvey, M83Deerhunter, Grimes, Animal Collective e Tame Impala.
Uno sguardo alle recenti reunion suggerisce inoltre alcuni nomi altisonanti, quali Guns’n’Roses e LCD Soundsystem, ancor più in quanto entrambi confermati in cartellone al Coachella 2016. I più attenti hanno presto depennato gli Stone Roses, che per il 2 giugno sembra abbiano già preso impegni in Giappone.
Di occasioni per assistere alle performance di formazioni storiche il Primavera Sound ne offre sempre in abbondanza, ma per evitare di incorrere in grosse delusioni (per non dire in anacronismi deprimenti) sarebbe bene fare alcune distinzioni tra le proposte. Lo scorso anno sullo stage Heineken sono salite le Sleater-Kinney, con un validissimo disco di inediti uscito a inizio anno, a sprigionare un’energia fuori dal comune, rock duro e puro distillato in brani eseguiti senza soluzione di continuità, e con un’eleganza da copertina patinata a demolire ogni stereotipo sull’androginia delle donne devote al genere. Tra gli show migliori della passata edizione, sono queste le reunion da non lasciarsi sfuggire. Molto spesso però, al di là delle indubbie qualità dei progetti musicali, i ritorni rischiano di ridursi ad autocelebrazioni nostalgiche. Nei casi peggiori finiscono anche per rivelare la loro vera natura di operazione meramente commerciale: è quello che è accaduto agli Strokes, probabilmente i più attesi dell’edizione 2015, con un Julian Casablancas che definire fuori forma sarebbe stato un eufemismo, per una performance durante cui, forti di un repertorio collaudatissimo, nessuno sul palco si è preoccupato di nascondere un’innegabile carenza di entusiasmo. 

sleaterokSleater-Kinney

Paradossalmente, non è stata questa la cosa peggiore verificatasi durante l’ora abbondante in cui gli Strokes si sono esibiti, perchè quel che nel mentre stava accadendo sotto al palco é stato al limite dell’incredibile: gli stand stavano per terminare le scorte di alcolici. L’imprevisto da sagra di paese avveniva all’interno di una manifestazione sponsorizzata in maniera massiccia da un colosso della birra scadente che risponde al nome di Heineken.
Reduce dal live degli Interpol, proprio allo stage che dello sponsor porta il nome (e da un paio di ore senza liquidi che avevo dovuto affrontare per difendere la mia sudatissima posizione in prima fila), mi facevo strada verso gli stand tra il palco in questione e lo stage Primavera, dove Casablancas e soci erano già di scena.

mapa_ps15La mappa del Parc del Forum per l’edizione 2015

Raggiungere gli stand si è rivelata presto un’impresa disperata, perchè il pubblico degli Strokes si era sommato a quello degli Interpol e aveva già invaso ogni centimetro quadrato degli ettari che dividono i due palchi, e se non avessi avuto la sete inverosimile di cui sopra la scelta più saggia sarebbe stata quella di ruotare di 180 gradi e guardare i maxischermi appoggiata di spalle alle stesse transenne a cui ero stata aggrappata fino ad allora. Per giunta, al termine della traversata, lo scenario che si è prospettato ai miei occhi aveva un’aria da emergenza umanitaria, tra le file scomposte di ubriachi impazienti e gli addetti al beveraggio in preda al panico davanti ai fusti vuoti.
Poi però non vi lamentate se di anno in anno continuiamo ad affinare le tattiche per eludere i controlli anti-alcool all’ingresso.

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In quanto a imprevisti di portata monumentale, la questione alcolici è seconda solo a quanto accaduto al povero Tobias Jesso Jr.: andarsi a gustare il pianoforte di uno degli esordi migliori dell’anno col sole tiepido del tramonto di sabato sembrava la cosa migliore da farsi, ma l’energia incontenibile dei New Pornographers che si esibivano all’ATP nello stesso momento ha sovrastato senza pietà il set acustico di Tobias al Pitchfork, performance definitivamente compromessa poi dalle distorsioni e dalle prorompenti voci femminee di The Julie Ruin levatesi dal Ray-Ban, altro palco attiguo e con impianto di tutt’altra potenza.

Primavera_Sound_2015_Dani_Canto - 07yyyTobias Jesso Jr. @ Pitchfork stage

In generale, il 2015 sembra essere stato all’insegna delle difficoltà nello scheduling. Le sovrapposizioni degli imperdibili sono state moltissime. Il programma del venerdì non solo ci ha costretti a scegliere prima tra Damien RiceBelle and Sebastian, Sleater-Kinney e Perfume Genius, ma in seconda battuta anche tra Ride, Ariel Pink, Voivod e Run The Jewels. Presi dall’hype, siamo rimasti al Pitchfork per il californiano e i suoi Haunted Graffiti. Dopo gli evidenti problemi tecnici dei primi due pezzi, il live è decollato rapidamente insieme col suo eccentrico protagonista, strizzato in una tutina pastello (che in realtà è forse uno degli outfit più sobri mai sfoggiati on stage da Ariel Rosenberg), davanti a una folla considerevole, esaltata e compatta nell’intonare il refrain di “Black Ballerina”.
Se la lungimiranza del Primavera nel comporre le line-up è ormai un dato di fatto, è pur vero che, come ogni regola, non è esente da eccezioni.
Tra quelli a cui è stato concesso il salto di qualità dal Pitchfork stage all’Heineken quest’anno c’è stato Mac De Marco. Con la stessa salopette e la stessa aria scanzonata (per non dire un po’ beota) che suppongo indossi quando scende in garage a truccare il cinquantino ci ha proposto quasi tutto il suo Salad Days (i due EP datati 2015 sarebbero usciti in estate inoltrata), per poi prendere per culo Chris Martin con una cover di “Yellow” deliberatamente blanda, lanciarsi in uno stage diving a spasso per qualche centinaio di metri su una folla di tardoadolescenti fino a un attimo prima occupati più che altro a drogarsi e venir poi ricondotto sul palco senza una scarpa ma con un’espressione ancor più felicemente idiota di prima, per annunciare infine l’arrivo di Anthony Kiedis, esclamando “Mr Dani California himself!”, mentre sul palco saliva un soggetto raccattato chissá dove (e che a Kiedis non somigliava manco un po’). Se è vero che una delle icone che resteranno del Primavera 2015 è senz’altro quella di Mac sospeso sulla folla, di fatto quella volta a fidarmi della proposta sul main stage ho finito per perdermi tre quarti d’ora di collaudati struggimenti emo con gli American Football al Pitchfork.

Primavera-Sound-2015-Mac-Demarcostage diving di Mac DeMarco di fronte al palco Heineken

A parte qualche episodio come questo, fortunatamente gli imprevisti in genere sono per lo più piacevoli. Il Primavera Sound è una roba in cui, mentre ad esempio sei a metà strada diretta a vedere gli Shellac, ti può capitare di passare davanti a un’altra performance, che neppure avevi inserito nel tuo piano di attacco, e che finisce per piacerti così tanto da convincerti a cambiare tutti i programmi. È stato così che nella tarda serata di sabato, a intervallare le granate di elettronica di Dan Deacon prima e Caribou in chiusura, ho beccato i Thee Oh Sees  a prodursi in una delle performance migliori di questa edizione. 

Date un’occhiata, e se poi vi viene voglia di farvi un regalo eccovi il link giusto.
https://portal.primaverasound.com/?_ga=1.157760122.1796721096.1451657543

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