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Beppe Malizia e I Ritagli Acustici

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Il Rap italiano non è quello che vedete su Mtv; su strade più o meno battute camminano artisti capaci, dopo tanti anni dalla genesi del genere, di riscoprirne alcuni dei valori fondamentali, musicisti in grado di ridare al Rap la dignità che merita, scavando nella sua essenza. Signore e signori, Beppe Malizia e I Ritagli Acustici.

Ciao ragazzi, come state?
Ics!

Mi permetto di iniziare con una domanda banalissima ma non posso non farvela. Beppe Malizia posso capirlo, ma I Ritagli Acustici che diavolo di nome è?
I ritagli acustici sono la prerogativa di questo progetto, perché in tutti i brani ci sono collaborazioni con musicisti differenti che hanno partecipato alla stesura musicale cantando o suonando strumenti diversi sui campioni assemblati da Beppe e prestando il loro operato, a loro volta come veri e propri “campioni”, al libero arrangiamento della produzione; ognuno di loro é stato uno dei ritagli acustici del progetto. In poche parole “ritagli acustici” é stata un’ esigenza di produzione e vuole diventare l’attitudine del gruppo. Poi suonava bene!

Da dove viene questo progetto (possiamo chiamarlo cosi?), quale è la sua storia, la sua genesi e dove pensa di poter arrivare?
Questo progetto (fai bene a chiamarlo così) è figlio di una collaborazione nata nel 2010 fra Beppe Malizia e il produttore Andrea Narratore, nello studio di quest’ultimo, il Bunker Café, studio dove fino a poco tempo prima Beppe ha registrato tutta la sua produzione musicale, antecedente quella dei Ritagli Acustici, fin dal 2002, sotto lo pseudonimo di Matiz Mc e, per il momento, la meta è sempre il disco a divenire.

Musicalmente siete molto vicini agli artisti che avete affiancato sui palchi italiani, da Frankie Hi Nrg a 99 Posse, da Mondo Marcio a Brusco. Eppure suonate comunque tanto diversi. Quanto Rap c’è nella vostra musica e cosa vi distingue dagli altri?
Il Rap é il comun denominatore di tutti i brani, per quanto riguarda questo progetto, e si distingue dagli “altri” per le caratteristiche capacità di adattamento ai diversi arrangiamenti musicali, un po’ come hanno fatto i Movits! in Danimarca.

Nello specifico, come descrivereste la vostra musica, quale ne è il suo processo creativo?
Ricollegandoci alla domanda precedente il rap nella nostra musica è proprio un processo creativo e, nonostante l’uso di musicisti, il workflow produttivo si discosta molto da quello di una band.

Oltre a I Ritagli Acustici, Beppe Malizia si fonde con The Acousticutz. Chi sono costoro?
The Acousticutz è stata una band nata circa tre anni fa, dall’esigenza di poter suonare live questo disco, anche all’infuori dei soliti spazi dedicati al Rap, di cui sopra. Questa formazione, cambiata ed evolutasi nel tempo, è ora la base dei Ritagli Acustici.

Quale ruolo avete occupato nel panorama indipendente italiano? Riuscite a vivere solo di musica?
Non viviamo di ruoli e non moriamo di musica. Lavoriamo per mantenerci e manteniamo la nostra musica. Stiamo investendo su noi stessi e non è detto che smetteremo mai di farlo.

Oggi sembra che le band emergenti possano imporsi solo attraverso le esibizioni dal vivo eppure, in alcune realtà, suonare live è diventato quasi impossibile. Locali minuscoli e non strutturati per la musica, impongono spesso situazioni fuori dalla consuetudine della band (come unplugged) a cachet ridottissimi, magari pretendendo anche che sia la band a fare promozione. Come uscire da questo tunnel?
Se parliamo di soldi, parliamo di commercio e quindi non più di musica fine a se stessa. Dunque a domanda segue risposta e di conseguenza molti gruppi dovrebbero suonare in spazi creati più per fare musica che per vendere aperitivi. Se non si porta un servizio non è giusto essere pagati. Quindi, per quanto riguarda gli spazi culturali, dovrebbero essere di più e meglio sostenuti, e chi vi suona essere ripagato anche dalla possibilità d’esprimersi in determinati contesti mentre, per quanto riguarda gli spazi commerciali, questi seguono la domanda ragion per cui il musicista che vuole camparci deve fare in modo di essere l’offerta, promozione compresa.

Tuttavia credo che sia anche giusto che la band si renda capace di crearsi un seguito; perché un locale dovrebbe spendere mille euro per un artista se poi non viene nessuno a vederlo? Come riuscite voi a crearvi un pubblico?
Da questo tunnel non se ne esce se non evitando d’entrarci. La band che non porta trecento persone non deve prendere mille euro, indipendentemente dalle capacità tecniche. Noi solitamente ne portiamo molte meno e infatti veniamo pagati molto meno. Quando non ne portiamo suoniamo anche gratis e, per suonare in un bel posto pieno di gente che non abbiamo portato noi, siamo disposti anche a pagare. Basta mettersi d’accordo prima del tunnel.

Molti collegano questo problema alla crescente presenza sulla scena di pseudo Dj e Tribute Band, capaci di riempire i locali senza troppi sforzi. Quanta colpa hanno loro? Veramente alla gente non frega nulla della Musica (con la M)?
Dj e cover band han solo la colpa di vendere il prodotto giusto e, credo, non con pochi sforzi e pochi investimenti. Chi invece dedica studio e creatività alla composizione della Musica (con la M maiuscola), non dovrebbe farlo per soldi.

Altra questione da affrontare è quella dei Talent Show. Non voglio mettere in dubbio il loro valore nella creazione di spettacolo e monetizzazione (le case discografiche hanno trovato la loro gallina dalle uova d’oro) ma piuttosto mi chiedo. Come fare per evitare che lo show venga confuso con la Musica? Come far capire ad un diciottenne pieno di talento che per arrivare in alto, la strada migliore non è quella di X Factor, che anzi può rovinarti per sempre?
Sia nel caso dei Talent Show che in quello della musica tradizionale o indipendente, la ricerca del successo comporta gli stessi rischi o le stesse scorciatoie; ciò che cambia è solo la rapidità con cui il processo si svolge. Un diciottenne PIENO di Talento non ha di questi problemi. Più talenti ai Talents.

Tornando a voi e parlando di talento. Cosa significa questa parola? Pensate che abbiate più talento o più cose da dire o i due concetti sono legati tra loro?
Il talento é una particolare predisposizione a fare una determinata cosa quindi, finché avremo qualcosa da dire ci toccherà farlo.

Perché in Italia sappiamo fare cosi bene Musica Leggera ma siamo quasi incapaci a fare Pop?
Ormai non crediamo più che sia così.

Che strada avete scelto per promuovere la vostra musica, trovare date, vendere cd, ecc…?
Dal digitale al territorio passando per Facebook, Twitter, Myspace, Souncloud, iTunes, Youtube, website, web radio, radio, riviste, webzine, associazioni, circoli, comuni, festival e rassegne. Ci manca solo l’agenzia ma stiamo valutando.

Di cosa parlano le vostre canzoni? E pensate che nel Rap come nella musica cantautorale i testi abbiano o debbano avere un ruolo più pesante che in altri generi, ovviamente non strumentali? La musica non dovrebbe parlare prima attraverso le note che le parole?
Le nostre canzoni parlano di bianco e di nero, di vita e di morte, di schiavi e di padroni, di odio e di amore. L’equilibrio della bilancia fra parole e musica per noi non ha regole. Balla di qua è di la.

Cosa vi distingue dalla nuova ondata di rapper per ragazzine, Emis Killa e tutti gli altri?
Ci distingue da questa ondata il fatto di non farne parte, per età innanzitutto e poi per tutto ciò che per età ne consegue.

Chi vive per la musica deve veramente inseguire il successo?
La nostra esigenza è quella di costruire la cosa migliore per le nostre capacità e rispetto ai nostri canoni e gusti, se sarà di successo tanto meglio, forse.

Nella scena Rap Underground di nomi ce ne sono tanti, alcuni validissimi come gli Uochi Toki, altri meno. Fate qualche nome, escluso quello di Beppe Malizia.
Non facciamo parte della scena Rap underground, ci escludiamo a priori, escluderei tanto più i Uochi Toki da qualsiasi etichettatura. Potremmo suggerire Kaos e Colle der Fomento, se si possono ancora considerare underground.

Fatevi un po’ di promozione. Un nuovo album dopo Bianco e Dal Cilindro, tanti  video e che altro in programma?
Un altro nuovo album, altri nuovi video e un nuovo sound, il tutto anticipato da un singolo rimasto nel cassetto con tanto di video ad illustrazioni.

A proposito, so che i tanti video non sono frutto del caso. C’è un filo conduttore che li lega. Spiegateci di che si tratta. E poi, come siete riusciti a far patrocinare i video di un rapper dal comune di Acqui Terme?
Abbiamo la fortuna di poter girare i video noi stessi avendo a disposizione il team bunker@work in casa. Il filo che li lega poi non è così spesso. In realtà sono legati gli uni agli altri da tante piccole scelte prese a priori: colore bianco e nero, location, personaggi del territorio, oggetti di scena e comparse dovevano ricorrere in più video. In più, invece che girare e montare ogni singolo video come al solito, prima li abbiamo girati tutti (ci son voluti 6 mesi) dopo di che siamo passati al montaggio.
Riguardo al patrocinio, beh, è bastato mostrare il nostro progetto e chiedere…

Ditemi quello che avrei dovuto chiedervi e non vi ho chiesto. Poi, se volete rispondetemi.
Vi ritenete più musicisti, cantautori, rapper o altro?
Risposta: ALTRO!

Ringraziamo Silvio Pizzica e tutta la redazione di Rockambula.

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La Linea del Pane

Written by Interviste

Partiamo subito con una domanda legata al vostro nome, La Linea del Pane. A cosa si riferisce? E qual è il vostro rapporto col cibo, in un periodo in cui proliferano associazioni, organizzazioni ed eventi legati al cibo sano, biologico, alla filiera corta e così via?
“La linea del pane” è una falsa traduzione dall’inglese breadline, termine che starebbe ad indicare (nei grafici demografici) la “soglia di povertà”, la linea ideale al di sotto della quale la popolazione è indigente. Figurativamente, venivano chiamate breadline le file di persone che attendevano il rancio o il sussidio, durante la grande depressione del ’29. La scelta del nome è stata del tutto casuale, è preso a prestito dal titolo di una poesia, non è legata in alcun modo all’etica del biologico, per intenderci.

I vostri testi sono impegnati e colti, in un modo che sembra più guardare ai primi Marlene Kuntz e a un certo cantautorato anarchico, che non ai più recenti Ministri, Teatro degli Orrori e compagnia. Non è usuale trovare al giorno d’oggi una band che non sia incazzata per la situazione sociopolitica e non manchi di farne la questione centrale dei propri brani. Discostarsi da questo filone è una scelta naturale o anche un modo per distinguersi da una corrente Alternative che ha già i suoi portavoce?
Essere incazzati per la “situazione socio-politica” impegnando la medesima evanescente isteria di quando si è imbottigliati nel traffico è assai facile. E assai futile, anche. Quando il traffico si dipana si torna sempre tranquilli e mediocri. E sono i mediocri appunto che percorrono sempre la stessa strada e finiscono, inesorabilmente, imbottigliati nel traffico. Non so se ho reso l’idea… Ad ogni modo gli encomiabili gruppi che citavi non sono naturalmente nostri capostipiti, quindi in realtà non ci sforziamo troppo di distinguerci da loro dal momento che non ne sentiamo la vicinanza. A dire il vero, nella nostra pur breve vita di band abbiamo ricevuto riscontri molto disparati, e riferimenti a mondi anche totalmente divergenti tra loro. La cosa non è limpida, probabilmente cercare analogie con altri gruppi non è il modo migliore di ascoltare il nostro disco, dal momento che la cosa pare sia molto arbitraria.

Nel recensirvi, ho sottolineato quanto spesso la componente letteraria sia fin troppo aulica, tanto da rischiare di diventare ostica e oscura. Qual è il messaggio principale che un ascoltatore medio dovrebbe cogliere da una vostra canzone?
Beh, diciamo che chi scrive canzoni per dare un “messaggio” fraintende un tantino il mezzo. Forse è per questo che pullulano gli intrattenitori e scarseggiano gli artisti. A parte questo discorso, che richiederebbe più tempo, i nostri testi non si può dire siano immediati. Ma non si può dire nemmeno che siano “aulici”, che letteralmente significa “di corte”, ovvero il linguaggio che si converrebbe in presenza del mecenate. È evidente che non sia il nostro caso. Sono il contrario di aulici, forse peccano di “enigmismo”, ma la maggior parte degli interrogativi possono dissiparsi al secondo o al terzo ascolto. Nulla è lasciato al caso, su questo possiamo garantire; certo è che non ha senso ascoltare “Utopia di un’Autopsia” una sola volta. Comunque, qualora un autore o un poeta volessero scrivere un testo o una lirica lasciando tutto al caso lo potrebbero fare, senza essere perseguibili. Lo fanno in molti senza essere scrittori, né poeti… L’importante è essere chiari, non essere espliciti. Forse la poesia in genere non si capisce subito, ma non per questo è equivocabile.

Musicalmente si sentono radici intellettuali anche nei vostri arrangiamenti. Qual è l’iter con cui nasce un vostro brano?
L’iter per questo disco è stato molto semplice, partivamo dal brano chitarra e voce e lo arrangiavamo insieme. Ognuno di noi tre ha un trascorso musicale diverso dagli altri due, ma bene o male un punto di equilibrio l’abbiamo raggiunto.

Qb Music ha preso a cuore l’edizione del vostro primo disco, Utopia di un’Autopsia. Com’è nato il rapporto con l’etichetta? Come avete lavorato per la realizzazione dell’album?
Il nostro rapporto con QB Music è nato dall’amicizia con Roberto Rizzi, che abbiamo conosciuto ad una serata in cui condividevamo il palco con i suoi Guarentigia, ormai un paio di anni fa. Ai ragazzi di QB dobbiamo anzitutto l’apprezzamento incondizionato che hanno avuto sin dal principio per le nostre canzoni. Di questo gli siamo grati e a questo dobbiamo la nostra decisione di lanciarci nella registrazione di un disco, che in quel momento non era nei nostri piani immediati.

Il panorama musicale nostrano è particolarmente puntellato di piccoli gruppi promettenti che spesso non vengono presi sufficientemente in considerazione né dalle produzioni, né dai media. Come ovviate a questa situazione? C’è qualche collega che è stato immeritatamente meno fortunato di voi?
Ce ne sono parecchi, abbastanza da mettere in discussione l’attendibilità degli addetti ai lavori. Per quanto ci riguarda, nel nostro piccolo, non ci interessiamo della cosa. Per vivere facciamo altro, io ad esempio faccio il magazziniere.

Tra i vari espedienti per la promozione, oltre ai soliti social network, voi avete utilizzato dei brevi video che riprendevano i lavori in corso, il backstage della preparazione del disco. Fidelizzare il pubblico è sicuramente fondamentale, è stato utile anche per rintracciare nuovi fan? La componente visiva è ancora così importante nel lancio di un prodotto fondamentalmente sonoro?
La componente visiva è importante mediamente per le persone, non per la musica. È così a prescindere da ciò che ne pensiamo noi, dunque è anche inutile parlarne. Su di noi possiamo dire che non è stata una nostra scelta precisa; abbiamo attorno a noi amici molto bravi in quel campo, sono stati loro a proporci la cosa e noi abbiamo acconsentito volentieri.

L’altra grande risorsa che una band ha per farsi conoscere è il live. Qual è la vostra esperienza in merito alla possibilità di esibirsi in locali e festival nostrani? Si sente spesso parlare di quanto sia difficile trovare date in situazioni che siano realmente efficaci per il lancio di un prodotto artistico o della possibilità di esibirsi senza essere meritatamente rimborsati…
Prima di registrare il disco abbiamo suonato per un anno nei luoghi più vari, noti e meno noti. I soldi non ci sono, è evidente, ma non ci sono da nessuna parte. In linea generale, suonando in acustico nei posti piccoli si guadagna di più e si “fidelizza” di più, anche se con poche persone alla volta.

La domanda è standard ma doverosa: quali saranno le vostre prossime mosse?
Da febbraio torneremo a suonare in giro. Inoltre stiamo girando un videoclip non tradizionale, in realtà è più un cortometraggio cinematografico, realizzato da alcuni ex-studenti della Scuola Civica di Milano. Crediamo sarà un bellissimo lavoro e speriamo che lo vedano in tanti, naturalmente.

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Deathless Legacy

Written by Interviste

Horror ed Heavy Metal, questo il connubio che portano avanti i Deathless Legacy un gruppo con alle spalle un vagone di date  live ma da poco alle prese con un disco d’esordio intitolato Rise from the Grave. A parlarci del gruppo c’è la carismatica frontwoman della band Eleonora “Steva” Vaiana, nota non solo per le sue qualità canore ma anche per la teatralità. Non resta che gustarsi quest’intervista.

Ciao Steva e benvenuta su Rockambula. Tanto per cominciare perché non presenti i Deathless Legacy al nostro pubblico?
Ciao Vincenzo, grazie mille per questa opportunità che ci hai dato. I Deathless Legacy sono una band Horror Metal, attiva dal 2006 come tribute band dei Death SS prima, che man mano è andata a crearsi il proprio mondo e ha lavorato per dar vita al primo disco di inediti: Rise from the Grave.
Fin dagli esordi abbiamo sempre puntato molto oltre che sulla componente musicale, su quella scenica, entrambe improntate su tematiche horror, gore e splatter: la teatralità, nei nostri spettacoli, va così a fondersi con le cupe atmosfere evocate dalla nostra musica, e il tutto è arricchito dalle splendide performance di un membro fondamentale della nostra band, la Red Witch.

A breve uscirà il vostro primo full lenght, Rise from the Grave, a cosa vi siete inspirati per comporlo e quali tematiche toccate nel disco?
Ci siamo ispirati ai nostri demoni interiori, a quegli elementi nati dalla repressione del proprio sé quotidiana, ai mostri che amiamo tanto dei film horror. Le tematiche affrontate dal disco sono una sorta di traduzione della comunicazione tra le nostre menti e le nostre coscienze e ci auguriamo che abbiano lo stesso valore per tutti coloro che lo ascolteranno: le paure vanno affrontate, la disposizione dei brani nel disco è una sorta di cammino iniziatico, che porterà a un salto nel vuoto della conoscenza di sé e del proprio universo interiore. Il nostro album dovrebbe essere una specie di esorcismo di tutto ciò che temiamo perché ignoto, compresa la propria interiorità, solo che anziché usare formule in latino e croci, abbiamo scelto di optare per un Heavy Metal denso e circondato di lapidi.

Il disco è stato registrato e mixato negli Inner Enclave Studios; che tipo  di lavoro avete svolto, come sono andate avanti le diverse fasi di lavorazione del platter?
Le registrazioni sono state precedute da una serie di pre-produzioni che ci sono state molto utili per capire e formare il nostro sound: alcuni dei pezzi presenti in tracklist risalgono a qualche anno fa, ma per tutti i cambi di line-up che ci sono stati all’interno del nostro piccolo mondo, siamo stati costretti a rimandare le registrazioni dell’album fino al 2012. Con l’entrata nella band del nostro Cal’aver, ci siamo messi a lavoro per creare il nostro piccolo mostro musicale e agli inizi del 2013 abbiamo concluso i lavori di registrazione.

Ho notato che vi siete dati da fare anche per la promozione attraverso video promo e foto. Anche qui come vi siete mossi?
Anche la promozione attraverso video promo e foto è un’estensione della nostra teatralità: cerchiamo di fare tutto il possibile, con le nostre disponibilità e forze, rendendo omaggio in qualche modo al mondo dell’horror non solo musicalmente, ma anche visibilmente e con tutti i media possibili! Per promuovere i nostri live abbiamo proposto più di una volta veri e propri cortometraggi, principalmente perché ci divertiamo a girarli!

Chiaramente i Deathless Legacy non campano di musica, cosa fate oltre che i musicisti, come sopravvivete?
Siamo non morti, quindi mangiamo poco e ci muoviamo il giusto, altrimenti perderemmo pezzi per strada! Quando le giornate sono buone e non sentiamo il peso di tutti questi anni da non-vivi, io, la Red Witch ed El Cal’aver siamo studenti universitari, gli altri si sono infiltrati alla perfezione nel mondo del lavoro e svolgono mansioni da vivi per i vivi!

Mi ha incuriosito l’entrata nel gruppo di The Red Witch, la vostra dancer e performer. Come è nata l’idea e la collaborazione?
I nostri spettacoli sono fatti al 50 % di musica e al 50% di scena: lo show che offriamo presenta una componente teatrale di spessore, nel senso che da sempre ci muoviamo per far sì che i nostri spettatori possano trovarsi immersi a 360° in quello che stiamo facendo e in quello che vorremmo trasmettere. La nostra Red Witch non è solo la nostra performer, ma è un membro pilastro nella band: partecipa regolarmente alle prove settimanali, durante le quali prendiamo decisioni che interessano le nostre sorti e quelle degli show imminenti. È la nostra  sorella non-morta, senza la quale i Deathless Legacy non potrebbero essere quello che sono oggi e non potrebbero lavorare a quello che vorrebbero essere domani.

I Deathless Legacy hanno  alle spalle una sfilza d’interessanti concerti, uno di questi  mi ha incuriosito molto ovvero quello con Steve Sylvester, Halloween 2011. Che effetto vi ha fatto esibirvi con lui?
In occasione di Halloween 2011 ci siamo esibiti al Jump Rock Club di Montelupo (FI), dove in seguito al nostro live, Steve Sylvester avrebbe tenuto un dj set. Posso solamente dire che vedere il vampiro salire sul palco dopo “Vampire” e il battesimo di sangue che proponevamo e proponiamo tutt’ora su “Bow to the Porcelain Altar”, come performance, è una cosa che non dimenticherò mai.

Come è stato accolto Rise from the Grave dal pubblico e come dalla critica?
Ancora è abbastanza presto per poterlo dire, dato che l’uscita ufficiale è prevista per il prossimo 3 gennaio 2014. Possiamo per ora sperare per il meglio, dato che abbiamo avuto pareri molto positivi da parte di personaggi di un certo spessore nel panorama musicale del metal, e riscontri eccellenti anche oltreoceano!

Adesso una piccola curiosità: a quale festival ti piacerebbe suonare con il tuo gruppo e affianco a quale band di prestigio?
Parlando a nome di tutti, senza dubbio sarebbe un vero piacere poter aprire ai Death SS, i nostri padri spirituali e musicali che ci hanno sempre ispirato durante il nostro cammino. Anzi, se non fosse stato per loro, probabilmente i Deathless Legacy non sarebbero esistiti!
Magari una bella data con Death SS, King Diamond e Ghost sarebbe un bel traguardo, ecco!
Come festival, l’Interiora Horror Festival si è rivelata una splendida esperienza che ci ha dato modo di conoscere il calore e il pit che solo a Roma ci hanno saputo regalare: ci piacerebbe sicuramente poter replicare una delle esperienze più belle che abbiamo potuto vivere!

Bene Steva l’intervista si chiude qui concludi come meglio ti pare…
Ti ringrazio di nuovo per la bella intervista, è stato un vero piacere per me! Che dire, che l’orrore sia con tutti voi e preparatevi: i non-morti stanno uscendo dalle loro tombe e vi porteranno incubi, vermi e putrefazione!

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Virginiana Miller

Written by Interviste

Lo scorso 17 settembre è uscito per Ala Bianca/Warner il sesto album in studio dei livornesi Virginiana Miller, Venga il Regno. La band ha un curriculum di tutto rispetto: dal 1990 ad oggi hanno ricevuto premi e riconoscimenti, lavorato con personaggi illustri del panorama musicale nostrano come Vittorio Nocenzi del Banco del Mutuo Soccorso, Giorgio Canali, Francesco Bianconi e Rachele Bastreghi dei Baustelle, sperimentato nuove collaborazioni come nel caso della sonorizzazione dei reading letterari dello scrittore Giampaolo Simi e, in ultimo, hanno curato la realizzazione del brano “Tutti i Santi Giorni” per l’omonimo film di Paolo Virzì, che è valso alla band il David di Donatello per la Migliore Canzone Originale. I Virginiana Miller sono al momento impegnati, per la presentazione del disco, nel tour che questa sera farà tappa a Milano, al Biko, con i bresciani Claudia is on the Sofa. Ho avuto piacere di parlare con Daniele Catalucci, bassista dei Virginiana Miller, per scoprire un po’ meglio cosa sia Venga il Regno e in quale direzione stiano andando.

Partiamo subito con una domanda un po’ stronza. In più di vent’anni di carriera avrete avuto modo di conoscere e incontrare parecchi gruppi nostrani. Qual è la band che avrebbe meritato più attenzione da parte del pubblico e della critica, ma non è riuscita ad emergere e quale quella che ha invece avuto un successo secondo voi immeritato?
Abbiamo sicuramente parlato un milione di volte tra noi di band che avrebbero potuto raggiungere risultati più alti ma per un motivo o per l’altro non ci sono riuscite.. Fammi pensare.. Credo che fra tutti i Northpole siano quelli che avrebbero meritato un po’ di più e credo che gli altri della band sarebbero d’accordo con me. Per quanto riguarda una formazione sopravvalutata, do un parere personale: mi sono sempre domandato come mai gli Afterhours sono diventati un caso così eclatante. C’è sicuramente qualcosa di interessante in loro, ma, lo dico con tutta la bontà possibile, mi chiedo se avrebbero avuto lo stesso successo se fossero arrivati da un’altra realtà, anche geografica, o se invece non sarebbe stato molto diverso.

Veniamo al disco. Venga il Regno è una profetica annunciazione o una rassegnazione a uno stato di cose? E questo regno com’è?
Questo è un terreno in cui Simone (Lenzi, frontman e autore dei testi della band, ndr) saprebbe rispondere meglio. Posso dirti a cosa corrisponde secondo me questo regno sul piano musicale, perché abbiamo avuto molto tempo dall’album precedente per occuparci di questo, anche perché Simone era impegnato in altro. Quando ci siamo rincontrati siamo andati dritti al punto, facendo emergere tutta la conoscenza che abbiamo tra noi da anni ed evitando tutte le fasi centrali che di solito ci caratterizzavano. Sai: quelle in cui tendono ad emergere le personalità individuali e che portano anche a scontri e scambi di opinioni. Per Venga il Regno, invece, in venti giorni i brani erano pronti, passati da embrione a canzoni fatte e finite, con una struttura musicale, gli arrangiamenti e il testo. Simone parla di regno intendendo una Apocalisse che è già in atto, un cambiamento, una rinascita. Contestualizzato in ciò che stiamo vivendo tra noi, mi è sembrato calzante: da una fase di stallo a questa nuova creazione.

Com’è stato lavorare con Ale Bavo e Ivan Rossi per la realizzazione di Venga il Regno?
Il loro apporto è il 60% del disco. Ci tengo davvero a sottolineare l’importanza dei loro ruoli, perché sono stati eccezionali. Sono due che hanno capito esattamente dove volevamo andare noi e ci hanno aiutato a tirarlo fuori e, pur essendo oltretutto anche molto diversi tra loro, perché per certe cose sono uno l’opposto dell’altro, hanno messo nel disco cose che continuano a piacermi nonostante lo ascolti praticamente sempre da sei mesi.

Repubblica ha definito Venga il Regno il disco più militante della vostra carriera. La definizione vi piace? E se sì, quali sono i principi della vostra militanza?
È vero. Perché senza rendercene conto e senza aver stabilito delle guide, tra i testi e la musica l’ambientazione politica è più netta rispetto ad altri album e altri brani. Anche l’arrangiamento è più efficace, più giovanile forse, e questo aspetto gli ha dato una certa ruvidità, che ha aiutato ad affrontare tematiche anni 70 in una chiave musicale che anni 70 non è.

La collaborazione con Paolo Virzì ha portato grandi risultati. Qual è il vostro rapporto con il cinema? Cioè: quanta narrazione cinematografica c’è nella costruzione dei pezzi?
La figura di Paolo è stata uno stimolo perché è una celebrità con cui alla fine siamo stati sempre in contatto ed esserci ritrovati a collaborare e soprattutto a soddisfare una sua richiesta è stata una bella soddisfazione. Ha avuto una grande importanza non tanto sul piano musicale puro, quanto perché è stata l’occasione per concentrarci su un aspetto compositivo che abbiamo innato ma che non sempre sfruttiamo consapevolmente. Noi lavoriamo tanto sui timbri e sulle sonorità e ci capita spesso, senza ancora avere un testo, di sentire un nostro brano e dire “Questo è molto cinematografico”. Ci è sembrato quindi di essere calzanti per il compito. E credo anche che l’esperienza abbia cambiato qualcosa anche nel modo di scrivere di Simone, che è sempre stato una bella penna, tanto che lo chiamiamo “Il pavone”, ma che si è semplificato senza rendersi banale: questo l’ha resto più arrivabile anche da parte di un pubblico più ampio. Va subito dritto al punto, non come in brani dei dischi vecchi che a volte mi ricapita di ascoltare e penso “Ammazza quanto è ostico”, tanto nel testo quanto nella musica. Ormai, senza falsa modestia, credo abbiamo raggiunto una certa maturazione.

Spotify, Musicraiser, i Social Network.. Qual è il vostro rapporto con i nuovi media per la promozione?
Non sono un esperto, ma ho capito come funziona Musicraiser e ho visto esempi pratici di persone che lo sfruttano per avere una visibilità che non hanno e di persone che lo impiegano per avere una visibilità che avevano un tempo ma che non hanno più. Questi ultimi mi fanno abbastanza tenerezza, perché se, per esempio, sei stato famoso ma devi organizzare una raccolta fondi per partire con un tour, forse avresti prima dovuto chiederti se quel tour interessa davvero. Altrimenti è come scrivere una letterina a Babbo Natale con la lista dei regali. Per gli artisti emergenti, invece, credo sia una buona cosa, una possibilità in più. I Social Network sono un passatempo e un bel mezzo di pubblicità. Se penso a com’era la situazione quindici anni fa, quando la band aveva a disposizione il suo solo sito internet e raggiungeva solo un pubblico limitato, oggi c’è molto più contatto diretto con le persone. Chi è in grado di utilizzare questi mezzi ne ha senza dubbio un bel rientro in termini di visibilità. Alla fine è un’abilità anche questa.

Stasera suonerete a Milano. Dopo tanti anni di carriera com’è il rapporto coi vostri fan? Cosa si aspettano da voi e voi da loro? Qualcosa è cambiato?
Nel live siamo cambiati sicuramente più noi che il pubblico. Nel 2000, quando sono entrato nella band, avevamo un atteggiamento che definirei più spirituale, silenzioso e concentrato e, forse, sul piano sonoro sentivo un po’ meno energia. Ma con il tour promozionale di Fuochi Fatui d’Artificio le cose sono cambiate. Nel disco usavamo una drum machine, quindi ci siamo sforzati nel live di creare quell’energia che nel disco c’era ed era contenuta nell’artificio. Negli ultimi dieci anni direi che siamo diventati più energici. Forse il pubblico si aspettava questa cosa da sempre al di là del fatto che venga a vedere un nostro concerto perché è già un fan e già ci conosce.

Per la presentazione del disco sono previsti anche set acustici. Si tratta di una necessità dettata dalla mancanza di location adatte all’elettrico o anche di una scelta stilistica?
Un po’ entrambe le cose. Vai in posti dove non è possibile suonare tutti insieme o in elettrico. Non sarebbe neanche bello. La dimensione della band tutta insieme è il palco. Nelle presentazioni in libreria, per esempio, ti adatti, e diventa un modo per sperimentare anche altro, presentare i brani nudi e lasciare anche la curiosità di venire a sentire un nostro concerto per scoprire come sono realmente.

Rockambula sta preparando la tradizionale classifica di fine anno. Ci saluteresti con la tua personale classifica?
Sarò sincero, durante quest’anno ho passato sei mesi in studio e mi sono davvero concentrato poco sulle nuove uscite, anche internazionali. Randon Access Memory dei Daft Punk, però mi ha colpito e sicuramente e ampiamente “Get Lucky” è miglior singolo dell’anno. Mi ha anche molto colpito Black City di Matthew Dear, un disco tutto fatto di sola voce elettronica e basso. L’ho scoperto quest’anno ma è più vecchio. Molto particolare, comunque, una bella novità per me.

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Silvio “Don” Pizzica. Streetambula!

Written by Interviste

Per una volta non siamo noi ad intervistare ma sono gli altri ad intervistare noi. Simona Pace di Zac settimanale del Centro Abruzzo ha incontrato il nostro Silvio “Don” Pizzica per parlare di Streetambula, che come saprete è la costola di Rockambula che si occupa di organizzare contest e serate live senza scopo di lucro con l’unico obiettivo di dare spazio agli artisti emergenti, creare luoghi in cui questi possano esibirsi e una rete che leghi tutti quelli che credono nella musica, quella vera. Ne è uscita fuori una bella chiacchierata che getta una luce di speranza in un panorama che sembrava sempre più desolante e che parla apparentemente dell’Abruzzo e del Centro Italia ma in realtà racconta di tante provincie (e non solo) italiane.

In cosa consiste l’ufficio promozione di Streetambula?
Dopo la conclusione del contest del 31 agosto, noi di Rockambula e i ragazzi di Nuove Frontiere (le due forze di Streetambula), abbiamo avuto modo di parlare a lungo con i partecipanti; band, giurati, espositori e pubblico. Tutti erano soddisfatti dell’organizzazione e della riuscita della serata. Per questo ci siamo detti: “Perché non dare un seguito a questa cosa che vada oltre il contest?”. E cosi è nato il Progetto Streetambula. Quello che facciamo in concreto è raccogliere le iscrizioni gratuite da parte delle band del centro Italia che devono fornire solo una biografia, delle foto e informazioni utili che finiscono sul nostro sito (ogni band ha una sua pagina); più i contatti di almeno tre locali che ospitano musica dal vivo emergente, indipendente e originale. Noi, quindi, incontriamo questi locali caldeggiando le band del progetto. Garantiamo loro partecipazione alle serate, cachet economici e tantissima promozione, anche grazie all’appoggio del portale Rockambula nel quale possiamo inserire le news dei live ed eventuali report delle serate più riuscite. In pratica Streetambula è due anime; Music Contest in periodi dell’anno precisi mentre per 365 giorni è Progetto volto a organizzare live nel centro Italia per i suoi iscritti.

Come è nata l’idea e quali gli obiettivi?
Da qualche anno ho assistito al sempre crescente interesse verso la musica indipendente di qualità nella nostra zona. Ho notato il numero elevato di persone che gravitano intorno al mondo della musica e non parlo solo di musicisti ma anche di realtà molto più complesse, solitamente lontane dalla provincia. Intendo studi di registrazione, webzine (Rockambula ha sede legale a Goriano ma il direttore, Riccardo Merolli e il caporedattore, che sarei io, viviamo a Pratola Peligna), etichette indipendenti, uffici stampa e di promozione e potrei elencare tante altre belle realtà, in questo senso. Mi sono sempre chiesto come poter mettere in contatto queste realtà per far tornare anche nel pubblico e nei gestori dei locali l’interesse verso la musica originale ed emergente e l’occasione buona si è avuta quando le idee mie e di Riccardo hanno incontrato quelle di Piergiuseppe Liberatore e tutta l’associazione Nuove Frontiere. Abbiamo quindi creato Streetambula con la scusa del contest ma con l’idea che sarebbe potuto diventare qualcosa di più, che permettesse ai giovani di avere i giusti spazi per esprimersi e aiutarli ad avere i mezzi per realizzare i loro sogni. Non a caso il Progetto Streetambula (che di Streetambula è appunto la parte organizzativa) nasce senza alcuno scopo di lucro (nessuna quota d’iscrizione e nessuna quota sulle serate; l’unica cosa che ci guadagniamo è promozione e visibilità) e i nostri contest prevedono sempre premi di spessore che servono ai gruppi per completare e continuare i loro peculiari percorsi artistici.

Siete riusciti già a creare una rete?
Abbiamo iniziato da poco ma, grazie al tanto lavoro e i tanti contatti che abbiamo grazie al sito Rockambula, possiamo dire che una rete già esiste. Vanno ancora rafforzati alcuni punti cardine e vanno allargate le trame ma possiamo dirci più che soddisfatti di come si stanno mettendo le cose. La rete è comunque in continua espansione, le band possono iscriversi in qualunque momento. La fase attuale è quella di contatto con i locali. Diciamo che il Progetto Streetambula ha quattro protagonisti. La stampa come voi e come noi di Rockambula che deve dare risalto alla cosa; le band e gli artisti che devono iscriversi. E fin qui possiamo dire che le cose procedono egregiamente. Poi ci sono i gestori di locali, perché senza di loro Streetambula può fare tanto ma non abbastanza; e quindi il pubblico che dovrà supportare le band e partecipare alle serate. Speriamo di non dover scoprire che uno di questi quattro protagonisti è il nostro nemico perché sarebbe non la nostra rovina (non ci fermeremo comunque) ma una sconfitta per la musica tutta.

Quanti gruppi o anche solisti si sono affidati al vostro servizio per ora?
Al contest tenutosi ad agosto scorso, parteciparono ventuno band, di cui una dalla Slovenia. Solo otto arrivarono in finale. Al Progetto Streetambula invece partecipano, per ora, quattordici band. Nel frattempo stiamo raccogliendo le iscrizioni per la sessione invernale di Streetambula Music Contest, che garantiamo, sarà emozionante per chi suonerà e per chi potrà ascoltare. Sempre per il progetto, abbiamo invece i contatti di oltre trenta locali.

Puntate a farvi spazio e ad agevolare la visibilità dei musicisti anche fuori l’Abruzzo?
Per quanto riguarda i contest non c’è alcuna limitazione territoriale e infatti, come ti dicevo, alle preselezioni hanno partecipato band, non solo da fuori Abruzzo ma anche da fuori Italia. Certamente, giacché le finali si svolgeranno, almeno per ora, solo sulle nostre terre, è più facile che a partecipare siano band corregionali a noi. Per quanto riguarda il Progetto Streetambula, il discorso è più complesso. Anche qui non mettiamo nessun paletto alla provenienza, anzi l’idea è di abbracciare tutto il territorio dell’Italia centrale. Ovviamente, garantendo noi anche partecipazione alle serate nei limiti del possibile, non possiamo negare che, questi limiti tendono a ingrandirsi a mano a mano che ci si allontana dalla Valle Peligna. Tuttavia Streetambula ha tanti organizzatori anche fuori dall’Abruzzo e siamo certi che, se ce ne sarà bisogno, qualcuno di noi potrà gestire anche eventuali situazione extra regione che dovessero presentarsi. Inoltre, sempre grazie a Rockambula possiamo promuovere le band partecipanti ai contest e al progetto attraverso recensioni (ultima quella dei Ghiaccio 1) sempre tuttavia imparziali, interviste e altro che sono lette da un pubblico vasto proveniente da tutta Italia come è quello di Rockambula, appunto.

Streetambula Contest: un bilancio dell’evento estivo, quali le aspirazioni future?
Il bilancio è ottimo. Tutto è andato esattamente come ci si aspettava anche grazie ai tanti partner che ci hanno sostenuto e gli amici che ci hanno aiutato con le foto (Alessandro Baroni), il sito Web (Andrea), i trailer e i video (Andrea Puglielli), la promozione e ogni immancabile problema che si è presentato è stato risolto immediatamente. È andata benissimo anche la sezione artistica, dove hanno esposto sia artisti e fotografi locali sia provenienti da tutto l’Abruzzo. Abbiamo anche avuto qualche disapprovazione, a volte condivisibile, altre volte meno.  Quello che posso garantire è che tutto è stato fatto nella maniera più trasparente possibile e le poche critiche che ci hanno tirato addosso, le prenderemo come un modo per fare meglio il prossimo anno. Del resto, se anche una critica è ingiusta, sarà comunque utile se presa come uno spunto per migliorare perché chiunque può sempre fare di più e questa è la nostra prima aspirazione, fare di più per la musica e per il territorio.

Da come mi hai fatto capire è in programma un evento invernale di Streetambula, dimmi un po’!
Hai ragione. Infatti, faremo meglio non dal prossimo anno ma già da quest’inverno. Stiamo organizzando un nuovo contest dal titolo Happy Birthday Grace (Streetambula Winter Session). In occasione del ventennale di Grace, mitico album di Jeff Buckley, Streetambula mette in palio la partecipazione all’album tributo che sarà realizzato e distribuito dagli studi milanesi di Qb Music. La band che vincerà il contest avrà diritto a registrare gratuitamente uno dei brani (che sarà assegnato dalla stessa Qb Music) contenuto nella tracklist di Grace presso gli studi di Milano. Avrà inoltre a disposizione un rimborso spese pari a € 100,00. Il brano, insieme con quello di altre nove band, andrà a completare la tracklist dell’album tributo a Grace che sarà poi distribuito dalla Qb Music. Ancora stiamo decidendo location e data e soprattutto sono in corso le preselezioni. Quindi, iscrivetevi numerosi. Vi aspettiamo.

Qual è la filosofia che caratterizza il vostro operato, cosa vi spinge a questo impegno?
Per quanto riguarda me e Riccardo, è la stessa filosofia che ci spinge a gestire, sempre senza scopo di lucro, una webzine di carattere nazionale come Rockambula. È l’amore per la musica, più nei suoi aspetti emozionali che non ultratecnici e freddi, che ci spinge ad ascoltare anche trecento dischi l’anno, pubblicare news, andare ai concerti, fare interviste, interagire con etichette e uffici stampa, scrivere articoli, recensioni, report e quant’altro. Adoriamo la musica vera, che sia Elettronica, Industrial, Pop o Rap. Adoriamo la musica tutta purché non si tratti di cover. In quel caso la questione si fa spinosa. La filosofia di Nuove Frontiere invece è nota ormai da anni a chi vive a Pratola e dintorni. Tutti i ragazzi, da Alessio a Piergiuseppe, da Duilia a Fabiolino, da Matteo a Luca, da Pino a Nicole e Francesco, da Lorenza a Stefano (scusate se non nomino tutti, ma sono veramente tanti) sono sempre stati attivi, nei modi più disparati, per animare la cittadina e la sua piazza, organizzare feste, eventi, dare una mano e soprattutto rendere viva Pratola. Lo spirito è quello. Divertirsi e far divertire i bambini come i ragazzi e gli adulti (pensate ai giochi popolari in piazza durante la Street by Street) e soprattutto farlo non tra fredde quattro mura ma nelle piazze. Nuove Frontiere è partecipazione attiva, impegno sociale e amore per la Valle Peligna. Streetambula è il riassunto di Rockambula e Street by Street (l’evento principale di Nuove Frontiere), amore per la musica che incontra l’amore per le proprie terre e le sue piazze. Non a caso la prima edizione si è tenuta proprio in piazza Garibaldi.

Musica indipendente = cultura: vi state rendendo conto che state mettendo su un movimento culturale altro, puntate e in che modo a svilupparlo?
La grandezza di quello che stiamo facendo è solo il risultato del tanto che abbiamo fatto in passato, sia con Rockambula sia con Nuove Frontiere e che magari è meno sotto gli occhi di tutti. Musica (indipendente ma non solo) è uguale a cultura. È innegabile. Ma cultura è anche libertà e partecipazione. Sono concetti legati tra loro. Inutile scrivere recensioni su Rockambula se nessuno le legge, inutile organizzare eventi se le persone restano sedute al bar di altre piazze a guardare la partita e lamentarsi di quanto sia noioso vivere a Pratola. Nessuno dovrebbe essere schiavo dei suoi preconcetti, dei pregiudizi, delle sue false convinzioni, delle cattive abitudini. Purtroppo quello che fa più male è scoprire che persone a te vicine, conoscenti, amici, ragazzi che ritenevi potessero avere gli stessi tuoi interessi alla buona riuscita di Streetambula (contest e progetto) t’ignorano, non ti considerano e magari ti criticano in maniera cattiva, senza apparenti motivi. Tutti dovrebbero capire che Streetambula non è nostra ma è di tutti e che se Pratola Peligna o qualunque altro paese cominciasse a brulicare di musica, cultura e gente a guadagnarci sarebbero tutti, dal ragazzo che suona in una cover band perché solo cosi trova spazio e cachet dignitosi da queste parti, alla band arrabbiata per l’esclusione dalle finali, dal negozio di generi alimentari che non regala il minimo contributo perché non ha nulla da guadagnarci, all’appassionato di cinema che di musica s’interessa poco.  Come dicevo prima, Streetambula ha quattro protagonisti e tutti hanno la stessa valenza. Se solo uno di questi viene meno, il Progetto Streetambula può dirsi concluso, almeno per come lo conosciamo ora. Ma non sarà un fallimento comunque, perché almeno sapremo contro chi combattere.  Sapremo se la musica ha un nemico al suo interno e a quel punto dovremo portarlo dalla nostra parte oppure trovare il modo di sconfiggerlo. Noi crediamo in ognuno di questi protagonisti e sappiamo che Streetambula diventerà un movimento culturale e un centro nevralgico per tutta la scena musicale indipendente d’Abruzzo e chissà, magari di tutta l’Italia. Nessuno può essere nemico della Musica.

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À L’Aube Fluorescente

Written by Interviste

À L’Aube Fluorescente è la band vincitrice di AltrocheSanRemo Volume4. Nella nostra home potete vedere il loro banner e cliccandolo visitare la loro pagina Facebook mentre a breve avrete la possibilità di leggere la recensione del loro nuovo lavoro e vedere il primo videoclip proprio del pezzo che li ha portati alla vittoria. Nel frattempo Silvio “Don” Pizzica li ha intervistati e il risultato, che potete leggere di seguito, è una bella chiacchierata che spazia dalle curiosità del progetto, alla loro formazione, da qualche incomprensione (vedi domanda in cui si citano i MaDeDoPo, che volevano essere presi solo come esempio di band che ce l’ha fatta non solo grazie alla musica e non un riferimento stilistico), alle critiche e i complimenti della nostra redazione, per passare agli Smashing Pumpkins e a Steven Wilson, fino alle critiche alla critica musicale. Una lunga chiacchierata, una intervista vera in cui scoprirete l’anima di una band giovanissima che prova a fare le cose da grandi, districandosi con eleganza anche tra le questioni più spinose. Signore e signori, À L’Aube Fluorescente.

Ciao a tutti. Per prima cosa come state?
Ciao a te ed a tutta la redazione di Rockambula che ci ha concesso questa intervista. Siamo tutti carichi al punto giusto, pronti per i prossimi live!

Partiamo dalla domanda più banale di questo mondo. Come è nato il nome À L’Aube Fluorescente? Cosa significa, oltre il mero significato letterale? Perché il francese, visto che non c’entra molto con il vostro stile “anglosassone”?
Diciamo che la risposta che cerchi è all’interno della domanda che hai posto. Il nome si basa proprio su questa voglia di distaccarsi, almeno per quanto riguarda il primo impatto, da quello che è lo standard dei gruppi alternative rock italiani e stranieri. Ormai siamo abituati ad una marea di termini inglesi che sono entrati costantemente nel nostro vocabolario (e non fraintenderci, è assolutamente un bene) ma semplicemente ne eravamo un po’ stufi. È stato anche un modo per rinnovarsi, per respirare aria fresca. È dunque più che altro un’esigenza personale, senza nulla di particolarmente pretenzioso. Inoltre crediamo che in un certo senso la musicalità della lingua francese si sposi in maniera perfetta con la musica che cerchiamo di proporre, nonostante i testi siano scritti in inglese. È una sorta di assonanza inconscia che ci è venuta naturale sin da subito, già dalle prime prove quando lavoravamo ai primi arrangiamenti. Per quanto riguarda il significato preferiamo rimanere piuttosto coperti a riguardo, proprio per non togliere la possibilità a nessuno di associare il nome a quello che sente quando ascolta i nostri pezzi. Possiamo solo dirti che per noi esprime un profondo senso di rinascita, musicale e non.

Raccontateci molto brevemente come nasce questo progetto, cosa avete fatto fino ad ora e quali sono le strade artistiche percorse dai vari membri.
Le nostre strade artistiche sono molto simili; pur ascoltando generi di musica a volte molto distanti, abbiamo sempre avuto un’enorme passione per quella che suoniamo, eccezion fatta forse per Alberto, il nostro batterista, che dopo l’incontro con Paride (chitarra) in una cover band antecedente a questo progetto, si è avvicinato in modo prepotente all’alternative rock (che poi nella nostra musica ha un infinità di sfumature per i motivi sopra citati), entrando dunque nella line up definitiva. Jacopo (voce e basso) porta avanti diversi side project, come i Sixty Drops (l’ep uscirà ad Ottobre) e l’Articolo Il (duo con Lorenzo Lucci ormai super affermato in zona). Francesco (chitarra) lo trovate a suonare ovunque ci sia bisogno di un chitarrista, ci dorme pure con la chitarra, anche se ormai abbiamo abbastanza monopolizzato la sua attenzione!

Come descrivereste la vostra musica?
Beh domanda da un milione di dollari. Facciamo molta fatica anche noi a classificarci e a dire il vero non ci piace nemmeno molto. Sicuramente possiamo essere inquadrati in quell’enorme calderone che è l’Alternative Rock ma è un po’ come dire tutto e dire niente. Per far riferimento ad una cosa un po’ inusuale diciamo che in ogni arrangiamento cerchiamo sempre di essere il più raffinati possibile, evitando quelle che secondo noi sono scelte vistose, atte a far emergere il singolo strumento penalizzando il risultato finale. Facciamo tutto in funzione del pezzo. Se un chitarrista deve fare due accordi tutto il tempo per la miglior riuscita del brano non c’è nessun problema. La voglia di emergere come singoli non ci appartiene. In questo senso definiamo la nostra musica raffinata (non tanto per chi ascolta, quello è un giudizio che spetta agli altri) ma proprio per il modo che abbiamo di lavorare.

Parlateci del vostro ultimo lavoro in studio. Credo sia anche il primo, giusto?
Si è il nostro primo EP e si chiama Soar. Sarà anticipato dall’uscita del videoclip di Brand New Stupid Words, che avete già avuto modo di ascoltare. È stato registrato durante il maggio di quest’anno presso l’Acme Recording Studio di Davide Rosati, che è stato anche a tutti gli effetti un produttore artistico. Quello che ne è venuto fuori è un qualcosa ben oltre le nostre aspettative proprio perchè in studio si è creata subito una forte alchimia tra noi e Davide, che ci ha permesso di lavorare molto bene e senza nessun timore di esprimere in modo sincero la singola opinione su ogni arrangiamento. Questo aspetto è stato molto importante per dare ad ogni pezzo quel qualcosa in più che temevamo mancasse alla fine delle registrazioni. Siamo molto soddisfatti.

Come nasce una vostra canzone e cosa ritenete che sia una canzone?
Molto spesso Jacopo costruisce quelli che ci piace chiamare “scheletri”; si tratta sostanzialmente di bozze di testo e linea vocale su una melodia di basso o pianoforte. Da lì cominciamo a costruire gli arrangiamenti e ne prepariamo diversi per ogni strumento, finché non troviamo la combinazione ottimale. Altre volte si parte da riff o giri di chitarra molto semplici che vengono man mano resi più articolati, sempre nel rispetto del registro stilistico del pezzo. Poi Jacopo fa un lavoro altrettanto meticoloso di completamento dei testi, accompagnato da discussioni che spesso facciamo tutti insieme sul loro significato . Siamo piuttosto pignoli sulla questione grammatica e pronuncia, è un aspetto a cui teniamo tantissimo, forse spesso sottovalutato da molte band nostrane. Una canzone è nient’altro che un’evasione dal concetto di tempo per noi. Viviamo le nostre giornate scandite in un certo modo e molti non sanno nemmeno bene perchè. Una canzone è quell’elemento che messo nell’equazione dello scorrere del tempo quotidiano la scombina, la sbilancia.

La vostra dimensione ottimale è quella “elettrica” ma non disdegnate serate live in acustico. In fondo è uno scendere a compromessi per poter avere più spazio possibile, no? A cosa sareste disposti a rinunciare e a cosa non rinuncereste mai per un pezzo di successo. Cosa sareste disposti a fare per diventare i nuovi Management Del Dolore Post Operatorio (perdonatemi la provocazione)?
Ma no, non si tratta di scendere a compromessi, anzi. Amiamo profondamente l’acustico, siamo cresciuti col mito di quegli unplugged straordinari che solo gli anni 90 hanno saputo darci ed è logico che ne siamo allo stesso tempo estasiati ed affascinati. Ci piace (ri)arrangiare i pezzi, trasformarli e dargli una nuova luce. È quello della musica che più amiamo. Gli acustici per noi non sono uno scendere a compromessi, ora come ora sono quasi un’esigenza. È bello ritrovarsi in intimità e far ascoltare i propri pezzi come sono nati: con un basso praticamente spento, la porta della camera socchiusa ed una chitarra acustica. Per quanto riguarda il discorso delle rinunce è una politica che non ci appartiene. Noi sappiamo fare musica solo in questo modo, non conosciamo altre strade. Speriamo di riuscire a piacere per quello che siamo, è l’unica cosa che possiamo augurarci. Un pezzo pop non sapremmo nemmeno farlo! Per quanto riguarda la domanda sui Management la risposta è molto semplice: nulla. Ma non è una risposta dettata da gusti personali. Oggettivamente non abbiamo proprio nessun elemento che possa essere di contatto con una realtà come quella del gruppo abruzzese che hai citato (a parte essere abruzzesi, è ovvio!), non vediamo dunque come possa essere possibile seguire un percorso artistico simile. Sicuramente le strade che dobbiamo battere sono altre, e sono quelle che vogliamo perchè ce le siamo scelte.

Siete i freschissimi vincitori del nostro concorso AltrocheSanRemo Volume4. Perché avete scelto di parteciparvi e cosa vi è rimasto di questa esperienza?
Ci sembrava un’ottima vetrina per poter far ascoltare il singolo prima che uscisse ufficialmente, per testarlo diciamo, ed è andata molto bene. È stata un’esperienza che ha consolidato in noi ancor di più la consapevolezza riguardo l’importanza che ha oggi il web nel proporre musica.

Vincere un concorso come questo non è solo questione di qualità ma anche di conoscenze. Quanto è importante per voi avere un pubblico di affezionatissimi, spesso amici, che vi supporta? Non pensate che avere sempre quel gruppo di supporter della porta accanto ai vostri concerti, possa trasformarsi negativamente in un’ancora che vi lascia agganciati ad una dimensione provinciale?
Beh per una band che esiste ufficialmente da qualche mese (dato che siamo stati per molto tempo in sala prove ad arrangiare la scaletta che oggi proponiamo dal vivo) è già tantissimo avere un gruppo di supporter della porta accanto. Basta rendersi conto di dove si vive, di che situazione musicale c’è e quali possibilità di suonare in giro. Non abbiamo paura di confrontarci con realtà estranee alla nostra, basti pensare che siamo stati selezionati per suonare al Voci Dal Sud music festival a Salerno dove apriremo , insieme ad altre band, il concerto di Meg, Ettore Giuradei e Valerio Jovine. Un risultato assolutamente stupefacente se si pensa che la nostra prima data insieme ufficiale è stata il 4 maggio scorso ( se escludiamo una breve apparizione “confusionaria” nei primi mesi di sala prove).

Passiamo alle domande più “toste”, derivanti anche da alcune considerazioni scaturite dalla vostra partecipazione alle preselezione di Streetambula (p.s. complimenti, siete tra le 8 band finaliste che suoneranno il 31 agosto a Pratola Peligna (AQ)). La redazione di Rockambula ha evidenziato in voi alcuni limiti e alcuni punti di forza importanti. Ad esempio hanno criticato la poca originalità e l’eccessiva somiglianza con band come Placebo o con Melissa Auf Der Maur; qualcuno non ha apprezzato l’apparente necessità di scandire le parole da parte di Jacopo e la troppa povertà del suono delle chitarre. Particolarmente apprezzata invece la capacità di ricerca melodica, cosi come la tecnica vocale (evidente che Jacopo non si sia improvvisato cantante), e anche la pulizia sonora. Rispondete voi, come preferite, alle critiche e ai complimenti. P.s. uno solo dei redattori è stato particolarmente duro affermando che “non sono di nessun impatto e dovrebbero rivedere l’intera struttura sonora”.
Beh essendo una primissima uscita era ovvio che le critiche non potessero mancare. Sicuramente già ora, rispetto a quando abbiamo preparato i pezzi per l’ep ci sentiamo musicalmente molto cresciuti;di certo non credevamo di arrivare sulla top ten americana con un primo ep, registrato in 4 giorni. Ha ovviamente tutti i limiti che un primo lavoro , fatto molto in fretta, può avere. Ci sono delle cose da migliorare e da correggere, certo prima di esprimere giudizi di una certa rilevanza si dovrebbe tener conto delle tempistiche in studio che una band agli inizi può avere. Per quanto riguarda il sound delle chitarre è una scelta fortemente voluta. Non siamo i primi a farla e non saremo gli ultimi, è una questione di gusti di chi ascolta. Alla fin fine è solo il gusto personale che determina il successo o l’insuccesso di un brano, i tecnicismi servono a chi fa le recensioni, ma non sono quelle che fanno andare bene un singolo. Potrei dirti che il suono di Slash a me personalmente non piace, così come quello delle chitarre dei My Bloody Valentine (quasi vuote) mi faccia impazzire. A critiche e complimenti va dato il giusto peso. Siamo consapevoli di dover lavorare, le critiche ci aiutano a capire dove e come possiamo alzare la qualità.

Sul discorso dell’originalità, non siete certo gli unici che hanno guardato alle strade sicure e già battute del passato. È cosi pericoloso rischiare e provare a fare qualcosa di nuovo o semplicemente è impossibile essere considerati se si prova a sperimentare?
Questa è una domanda che leggiamo spesso nelle interviste di molte band. Molte webzine battono su questo discorso dell’originalità pensando che sia ancora una domanda “scomoda”. In realtà non lo è affatto. Seguendo questa linea di pensiero non avrebbero senso il 90% dei movimenti musicali che oggi esistono e vengono portati avanti. Dovremmo far chiudere baracca a tutto il Punk, a tutto il Post Punk, il Black Metal, il Post Grunge ed a tutti quei generi che vengono costantemente riproposti. Basti pensare che perfino i Sigur Ròs sono riusciti a diventare banali agli occhi della stampa musicale. Senza nulla togliere al grande lavoro che Rockambula fa per la musica emergente è una questione su cui c’è veramente poco da dibattere. Se c’è il talento emergi, qualunque sia il genere che proponi. Questo discorso poi in Italia vale doppio, proprio perchè rispetto agli altri paesi del mondo, a parità di genere, serve molto più talento.

Torniamo a cose più leggere. Abbiamo parlato di Placebo e Melissa Auf Der Maur. Ma quali  sono le band che più vi hanno influenzato e a cui più somigliate?
Beh due le avete già citate, le altre sono tantissime. Sarebbe impossibile farti un sunto. Diciamo che i punti fermi sono due: Smashing Pumpkins e A Perfect Circle. Non sappiamo quanto le ricordiamo, ma sicuramente ci hanno influenzato tantissimo.

Consigliatemi due band esordienti, una italiana e una straniera e quello che ritenete sia il miglior disco del 2013, italiano e straniero.
Beh in Italia gli About Wayne sono riusciti ad avere un grande seguito, nonostante le critiche nei loro confronti fossero sempre le solite, riguardo l’originalità e la questione delle strade conosciute. Per quanto riguarda l’estero i Bwani Juction sono una realtà scozzese molto interessante (restando sempre nell’ambito di gruppi strettamente esordienti). Sul discorso del miglior disco la domanda si fa molto personale. Diciamo che possiamo consigliare quelli che secondo noi sono due buoni dischi: l’omonimo Giuradei dei fratelli Giuradei e The Raven That Refused To Sing (and other stories) del mitico Steven Wilson.

Non vi chiedo certo perché cantate in inglese ma invece sono curioso di sapere di cosa parlano i vostri testi. Pensate che a chi vi ascolta interessino veramente le parole? Sono cosi importanti i testi nella musica Rock soprattutto?
Non sono semplicemente importanti, sono importantissimi. Veicolare un messaggio è il primo obiettivo che qualunque artista dovrebbe porsi e non essendo un gruppo strumentale il testo assume un’ importanza primaria. I nostri testi riconducono esperienze spesso personali ad una dimensione più ampia, generalizzata, attraverso un forte processo di trasformazione che a livello del tutto teorico dovrebbe portare l’ascoltatore a poter dare il significato che vuol vedere all’interno di quel pezzo. Tutto questo ovviamente tenendo costante il messaggio di fondo che deve essere percepito in maniera inconscia. Diciamo che è un grande metodo per mandare un messaggio senza imporlo. Crediamo molto nella forza delle idee non imposte, ma condivise.

Perché un ascoltatore, un nostro lettore, dovrebbe dare fiducia e il suo tempo a voi, prima che agli altri, non potendo darli a tutti?
Ci piacerebbe che chi sceglie di seguirci e supportarci possa avere il tempo per fare la stessa cosa con tutti i gruppi emergenti che ritiene meritevoli. È proprio il fenomeno delle “tifoserie” che ha contribuito ad uccidere la qualità della musica in Italia. Che trovi il tempo allora per tutti quelli che vuole supportare; la musica restituisce sempre molto più di quello che chiede.

Dove pensate di poter arrivare, in concreto? Quale è invece il vostro sogno e il vostro incubo di musicisti?
Per ora, molto in concreto, vogliamo solo arrivare alla realizzazione del nostro primo full length Non facciamo piani decennali. Il nostro sogno è quello di fare un buon disco ed entrare nella casa di qualche sconosciuto che decide di accendere lo stereo ed ascoltarci. Niente di più. Di incubi al momento non ne abbiamo, solo tanta voglia di fare e di fare bene.

Per un attimo non parliamo di voi. Come sempre, provo a farmi dare un nome. Quale è la band o l’artista Indie italiano più sopravvalutato in circolazione?
Dai, diciamo che tu ci hai provato e il tuo dovere l’hai fatto! Noi manteniamo il silenzio stampa per adesso, è troppo presto per giocarsi qualche nome. Metti che poi ci tocca suonarci, che si fa?!

Come detto, il 31 agosto parteciperete alle finali di Streetambula, music contest organizzato dalla nostra testata in collaborazione con Nuove Frontiere. Tanti premi importanti in palio, presenza garantita di etichette come la Indelirium Records, la V4V, la To Lose La Track (e tante altre) e rappresentanti di webzine importanti come Rockit, Ondarock, Mola Mola, Stordisco, ecc… Voi perché avete scelto di partecipare? E avete avuto modo di conoscere le altre band in gara? C’è qualcuno che vi ha colpito?
Beh che domanda! Abbiamo voluto partecipare proprio perchè avete fatto un lavoro straordinario di organizzazione e di coesione. Un’occasione che un gruppo emergente come il nostro non poteva farsi sfuggire. Abbiamo avuto modo di conoscere la musica dei Too Late To Wake in maniera approfondita e sono davvero una grande band. Sarà un piacere conoscerli e condividere il palco con loro (così come con tutti gli altri). Nei prossimi giorni ascolteremo per bene anche tutti gli artisti in gara. Non sentiamo la competizione, solo una grande voglia di confrontarci e imparare magari qualcosa dagli altri. È sempre bello passare delle giornate con dei musicisti.

Cosa avete in programma per l’immediato futuro? Album, live, video, qualunque cosa!
Intanto è imminente l’uscita del videoclip di “Brand New Stupid Words”. Sarà un videoclip animato realizzato da Tonino Bosco. Non vi diciamo di più per adesso. Poi gireremo a breve un altro video per promuovere un secondo singolo, dobbiamo ancora definire diversi dettagli. Sotto il punto di vista live avremo un agosto stra-pieno e ne siamo ben felici. Gireremo davvero parecchio e appena possibile pubblicheremo un calendario ufficiale. Poi sicuramente ci rimetteremo per bene a lavoro su tutti i pezzi che faranno parte del nostro primo album. Per ora non ci siamo dati una scadenza, vediamo come va la promozione dell’ep e poi decideremo il da farsi. Insomma, tanto lavoro e tanta strada da fare, ma tanta voglia di farla!

Ditemi quello che avrei dovuto chiedervi e non vi ho chiesto? Poi, se volete, rispondetemi.
Diciamo che essendo la nostra prima intervista non siamo abituatissimi a parlare, e per ora, ci sembra di aver parlato fin troppo! Speriamo che le canzoni possano essere per tutti una spiegazione più che sufficiente in merito a tutto quello che ci riguarda!

Ciao Rockambula e grazie di tutto! Stay alternative!

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Una nuova legge per la Musica Dal Vivo

Written by Senza categoria

Stefano Boeri, Assessore alla Cultura del Comune di Milano, lancia su change.org una petizione per salvaguardare la Musica dal Vivo al Ministro Bray. I Live sono sempre più soggetti all’ingarbugliato mondo delle autorizzazioni e la musica ne perde. Noi, con il nostro Don Pizzica, ne avevamo parlato nelle scorse settimane con un articolo e un’intervista a Aldo Minosse gestore del PinUp, se volete approfondire. Lo stesso Boeri ce lo conferma: “i Rolling Stones, gli Who, gli U2, ma anche i Beatles (nel mitico Cavern di Liverpool) hanno cominciato a suonare nei pub e nei locali dal vivo, per qualche decina di ascoltatore sparso tra i tavoli o in piedi con una birra in mano. La musica, come ben sappiamo, non è un prodotto preconfezionato”.

Non rimane che FIRMARE!!!!!!!!!!!!!

QUI: http://www.change.org/it/petizioni/una-nuova-legge-per-la-musica-dal-vivo-in-italia

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Christine Plays Viola (video intervista)

Written by Interviste

Dopo aver recensito Leocadia il nuovo Ep dei Christine Plays Viola il nostro Ulderico prova a fare di più e in occasione della registrazione del nuovo videoclip della band coglie l’attimo e realizza un’intervista esclusiva. Forti del tour Europeo appena terminato, dove i CPV hanno cavalcato i migliori palchi dei club live più esclusivi di mezza Europa, e della campagna su Musicraiser che ha permesso  alla band la realizzazione del nuovo Ep Leocadia, la redazione di Rockambula non si fa scappare l’occasione e fa il punto con la band di come sta cambiando il panorama musicale della musica indipendente grazie anche alle nuove tecnologie digitali.

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Luminal (con intervista)

Written by Live Report

Venerdi’ 8 Giugno 2013 @ L’Aquila, Piazza Angioina

Erano anni che non tornavo a L’Aquila, o meglio in quella zona del nostro capoluogo che chiamano Rossa, forse per il sangue che ha bagnato la terra, sporcato le pareti traballanti in quella maledetta notte del 6 aprile 2009 ore tre e trentadue. L’occasione è arrivata. Lotto giugno è una festa oltre che un momento di partecipata riflessione. Piazza Angioina è un luogo nascosto nel cuore della città che fu e che ora vuole rinascere.
Oggi la Piazza è però solo cibo, giochi popolari, mostre, concerti, videoproiezioni e spettacoli organizzati da ragazzi delle varie associazioni, Tre E Trentadue, Asilo Occupato, Case Matte e Appello per L’Aquila.
Questa sera ci sarà il concerto di Le Naphta Narcisse, band aquilana prossima al primo full lenght e soprattutto dei Luminal, una delle formazioni che più sto apprezzando, grazie all’ultimo album Amatoriale Italia, in questo 2013.

Iniziato il concerto non c’è molta gente (anche se nella zona centrale del paese scoprirò poi esserci tantissimi ragazzini che evidentemente amano più discoteca, cicchetti e cazzeggio a Rock, birra e “partecipazione”) e l’impianto di amplificazione sembra quello di una serata tra amici. Ti guardi intorno e capisci che gli amplificatori sono l’ultimo dei problemi. Nel pomeriggio ho fatto un giro tra le macerie, ho visto le case dei miei anni universitari, ho visto la mia vecchia dimora e ho quasi pianto nel osservarla ancora in piedi pur se sofferente, con gli arti spezzati e la porta spalancata come una ferita aperta su quella cucina e quel vecchio divano dove ho poltrito, bevuto birra, cazzeggiato, chiacchierato e conosciuto la gente, il mondo e la vita. Ho avuto paura di quei silenzi irreali, della mia memoria, paura di qualcosa che non so bene cosa sia ma che probabilmente resterà fino alla fine dei nostri giorni appollaiata sulle spalle di noi aquilani cittadini, provinciali o d’adozione.

Fanculo amplificazione, fanculo il freddo, fanculo il governo, Berlusconi e il M5s, fanculo tutto e tutti. Quello che conta è che L’Aquila sia ancora qui e che ci sia ancora qualcuno che crede in lei, come i ragazzi che hanno organizzato tutto questo ma anche noi che abbiamo fatto sessanta chilometri per essere qui ed io che scrivo e vi ricordo che L’Aquila non è morta in quella maledetta notte del 6 aprile 2009 ore tre e trentadue.

Quello che conta è che i Luminal stanno per iniziare il concerto ed io voglio solo stare ad ascoltarli, senza dirvi una parola di più. Ho chiacchierato con Alessandra Perna, voce e basso della band, il giorno dopo il concerto e insieme vi stiamo per raccontare quello che è stato.

E tanto per sdrammatizzare, alla fine trovate il video (perdonate la scarsa qualità audio) della caduta di Alessandra sul palco (un ringraziamento speciale a Fabio Presutti). Capita quando ci si mette l’anima.

 

Ciao Alessandra. Vi ho visto pochi giorni fa suonare a L’Aquila. Cosa vi ha portati proprio nel capoluogo abruzzese. Quale particolare occasione?
Abbiamo suonato in occasione della festa della NON ricostruzione, un concerto organizzato nel cuore di quella città che si è fermato dopo il 6 aprile del 2009.

Che impressione vi ha fatto la città e la sua gente?
La città fa paura. Fa paura il silenzio, fa paura il vuoto, fanno paura i salotti che si vedono dalle finestre ancora aperte dei palazzi distrutti, come se lì dentro ci fosse ancora vita, fa paura il fatto che in quelle zone qualcuno sia riuscito di nuovo a votare Berlusconi alle ultime elezioni.

L’Aquila tornerà mai quella che era? A proposito, ci eravate già stati?
Non ti posso dare la mia impressione sugli aquilani perché ne conosco pochissimi, e quelli che conosco sono completamente pazzi. E in generale sugli italiani sono la persona meno obiettiva che possa esistere. Non ho mai vissuto una tragedia del genere, non so che cosa significa ma non credo che L’Aquila tornerà mai quella che era. Qualsiasi discorso affogherebbe nel qualunquismo e questa è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno. Una cosa è certa: ci abituiamo troppo in fretta alle tragedie.

Il concerto è stato organizzato dentro la zona rossa, in una piazza che già prima del terremoto era poco frequentata. Ci lamentiamo del fatto che ai concerti il pubblico è sempre meno ma  poi gli organizzatori sembrano fare di tutto per nascondere gli eventi. Cosa ne pensi?
Spiegami meglio cosa intendi. Pensi che gli organizzatori abbiano pubblicizzato poco l’evento?

Pubblicizzato poco e scelto il luogo meno adatto.
Credo sia un discorso lungo e complicato. Fare le cose in Italia è sempre molto difficile, soprattutto quando hai poche risorse e non offri nulla di “cool”. Poi magari ti ritrovi a suonare su un palco traballante con una chiesa che ti può cadere sulla testa da un momento all’altro, però anche questo è rock’n’roll, quindi va bene così.

Passiamo al concerto vero e proprio. Avete suonato con Le Naphta Narcisse ma avete aperto voi le danze. Ci aspettavamo il contrario. A cosa è dovuta la scelta fatta?
I Naphta sono un gruppo nato all’Aquila, ed era giusto che fossero loro a chiudere la serata.

Nonostante la location suggestiva, ho notato, nella parte iniziale soprattutto, non pochi problemi di resa audio. Un problema di risorse limitate degli organizzatori o cosa?
Noi sul palco sentivamo molto bene, poi è normale che a meno che hai un impianto molto potente e costoso non si può sentire benissimo in una piazza

Avete suonato per intero (vado a memoria) Amatoriale Italia e niente dei lavori precedenti. C’è un motivo particolare (viste anche le differenze non solo stilistiche tra il prima e il dopo) o solo scelta promozionale?
Suonare i primi due dischi in questo momento non ha molto senso per noi, prima di tutto perché io suono il basso e non più la chitarra, Carlo canta e basta, quindi i pezzi vecchi non sono fattibili con questa formazione, anche se prima o poi ci piacerebbe rifarli, magari collaborando anche con altri musicisti..vedremo che cosa succederà.

Nello specifico dell’esibizione aquilana, avete dato il massimo (praticamente perfetti, compresa la tua caduta) pur non essendo dei virtuosi dello strumento, quando al basso c’era Carlo e tu alla voce. Nella situazione normale e contraria avete avuto problemi sia tu che lui. Come mai?
Oddio, noi non abbiamo percepito nessun problema in entrambi i casi (ridiamo ndr) (forse un cavo mezzo rotto del microfono che poi è stato sostituito?).

Che differenza c’è tra i Luminal che hanno suonato a L’Aquila e quelli che suonarono anni fa, sempre in Abruzzo, a Sulmona?
I Luminal di oggi hanno finalmente trovato la forma giusta per esprimere quello che hanno sempre pensato e il loro modo sbilenco di vivere la vita.

A proposito di “modo sbilenco di vivere la vita”, nelle vostre canzoni parlate in maniera feroce e dura di Facebook (di un modo malato di usarlo), della critica musicale e di hypster (oltre a tante altre cose). Quanto vedete queste cose come “problemi” di cui parlare? e come vi rapportate a essi?
Internet ha ucciso l’arte, ha ucciso il pensiero critico, impone regole di vita sociale peggiori di quelle della televisione, ha eliminato la noia e la solitudine salvifiche per la creazione, ha reso i giornalisti pigri, i musicisti troppo simili fra loro (almeno quelli della scena dominante).
Sfido chiunque a vivere la stessa vita degli artisti che condividiamo con tanto orgoglio ogni giorno su Facebook credendo di fare la rivoluzione (che non deve essere per forza politica, ma anche semplicemente umana).
Detto questo, vado un secondo sull’homepage di Rockit a vedere che sta succedendo.

Qualcuno ha definito i vostri testi a tratti “adolescenziali”. Non ti dico cosa ho risposto io (ormai hai capito quanto mi sia piaciuto Amatoriale Italia). Rispondi tu.
Se fai discorsi seri ti dicono che sei presuntuoso, se dici cose in maniera chiara e semplice ti dicono che sei adolescenziale, se dici la verità ti dicono che sei qualunquista, se non dici nulla ti dicono che ti lamenti e basta. Consiglio uso massiccio di benzodiazepine, grappa, una preghierina a satana e un vaffanculo a mammà ogni tanto che fa sempre bene.

Domanda “intima” suggerita da un tuo segreto ammiratore. Tu, Alessandro e Carlo siete solo amici?
(ride ndr) Io e Carlo stiamo insieme da 7 anni

Domanda ovvia per chiudere. Prossimi appuntamenti live e studio?
Si ricomincia il 23 giugno da Modena, Agriturismo Cantoni, poi potete trovare tutte le altre date sulla nostra pagina facebook. Credo che inizieremo a scrivere nuovi brani da settembre, ci sono già dei testi e un bel po’ di idee.

Abbiamo finito. Non posso che rinnovarti i miei complimenti per l’ultimo disco, Amatoriale Italia e augurarmi di rivedervi presto. Un saluto anche ad Alessandro e Carlo. P.s. perchè non togliete la vostra pagina da Rockit?
Ma in realtà non la gestiamo noi.  Comunque il senso di tutto è che Rockit è una webzine come un’altra.

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Granturismo

Written by Interviste

Dicono di fare Calypso Punk, con Caulonia Lumbo Ya Ya tornano a fare parlare di loro a tre anni dall’esordio discografico (Il Tempo di Una Danza, per Live Global) e si beccano il massimo dei voti dalla sottoscritta. Claudio Cavallaro (voce, chitarra e autore dei testi) ed Enrico Mao Bocchini (batteria e cori), mi hanno raccontato come è nato il disco, com’è stato il ritorno in studio e quali sono i loro criteri compositivi. Genuini e poliedrici come si intuisce dall’ascolto dei loro lavori, i Granturismo (per lo meno i due terzi intervistati) mi hanno anche confidato un paio di opinioni forti e ben delineate sul panorama musicale attuale, tanto nostrano quanto straniero, sull’eterno conflitto tra live e studio e su Music Raiser

Caulonia Limbo Ya Ya è un gran bell’album e anche un gran bel titolo, che risulta davvero azzeccato dopo aver sentito l’album anche solo una volta. Da dove arriva la scelta del nome?
Claudio: è una specie di formula voodoo che usiamo contro le cattive vibrazioni, contro il maltempo, la grandine, gli avvocati, la calvizie, gli hipster, le malattie veneree, le bollette del gas, gli sbirri, cose così. Una notte mi ha fermato un carabiniere e mi ha chiesto patente e libretto, poi voleva farmi il test dell’alcool ma io gli ho urlato in faccia appena in tempo CAULONIA LIMBO YA YA!!! Così lui si è messo sull’attenti, mi ha fatto il saluto militare e mi ha lasciato andare augurandomi la buonanotte.

Come sono nati i brani dell’album? Chi anticipa l’altro fra musica e testo?
Claudio: Ho scritto le canzoni  principalmente in casa, su una chitarra acustica, in autunno e inverno. Poi quando ci siamo trovati a provare a febbraio del 2012 con l’attuale formazione di Granturismo – che al momento oltre a me, alla chitarra e alla voce, comprende Enrico Mao Bocchini alla batteria e Alfredo Nuti alla chitarra – capitava che ne tirassi fuori qualcuno e lo usassimo come ceppo da modellare insieme come dei veri mastri falegnami. Di solito scrivo prima la musica e poi ci adagio sopra un testo, che oltre a raccontare qualcosa deve avere il sound giusto per poter essere cantato. La parte musicale è molto più intuitiva, appena ho l’idea per una melodia la sviluppo in maniera rapida, mentre i testi mi portano via molto più tempo. Sono capace di aspettare la parola giusta per mesi e mesi. Ho un limbo di una cinquantina di canzoni praticamente finite ma che non tiro fuori da lì perché magari qualche sillaba non mi suona ancora bene.

Non era la prima volta che entravate in uno studio di registrazione. Avete notato qualcosa di diverso rispetto ai vostri precedenti lavori? Mi riferisco tanto a una maggiore consapevolezza tecnica, quanto a una tendenza stilistica diversa.
Claudio: la sostanziale differenza rispetto al primo disco dei Granturismo è che questa volta abbiamo fatto esattamente quello che ci pareva, mentre magari in passato è capitato che mi affidassi a produttori navigati perché pensavo di non avere abbastanza esperienza e di non essere in grado di produrre un disco come si deve. Puoi anche farti produrre da Phil Spector o Danger Mouse, ma se non condividete un immaginario comune, c’è il rischio che il tuo suono e il tuo messaggio vengano stravolti. Registrando questo disco invece avevamo molta fiducia nei nostri mezzi e c’era molta coesione, e questo si sente.
Enrico: Abbiamo arrangiato i pezzi insieme, cercando di usare al meglio il poco che avevamo (una batteria, due amplificatori e due chitarre), abbiamo fatto attenzione a non suonare troppo, lasciando anche molti spazi vuoti. Poi siamo corsi in studio e li abbiamo spuntati in tre giorni.

I vostri testi sono spesso ironici, sia discorsivi, sia frammentari e cinematografici. L’immaginazione sembra essere sì un espediente comunicativo ma anche una via di fuga. Da cosa scappano i Granturismo e il loro pubblico?
Claudio: Di sicuro siamo in fuga, è una cosa che avverto, anche se non ho ben focalizzato da cosa stiamo scappando. Forse scappiamo dalle “perversioni del tempo che fa”. Forse scappiamo da qualcosa che ci ha già trovato.

Tropici, Mambo, giungle urbane, rime più o meno sottili, riferimenti letterari e richiami Pop. C’è sempre una grande attenzione a ciò che è “altro”. Come si inseriscono i Granturismo in questo panorama così variopinto?
Claudio: C’è sempre una grande attenzione a ciò che è altro: bello, hai individuato il punto di tutta la questione. Siamo sempre alla ricerca di nuovi stimoli, cerchiamo sempre di spingere i confini un po’ più in là. Sono una persona molto pigra, quindi se decido di attivarmi di sicuro non mi va di fare la stessa cosa due volte. Bisogna sempre temere quello che può partorire una mente cauta, o peggio, annoiata.
Enrico: Mi è sempre piaciuto il termine altro. Con i Granturismo cerco sempre di suonare in modo lontano forse perché i miei ascolti vengono da lì, sinceramente di musica attuale italiana ne ascolto veramente poca. Però mi sembra che il panorama italiano sia molto frammentato, direi che c’è posto anche per noi.

Nordici come i Kings of Convenience e caldi come Gilberto Gil. Secondo voi c’è un futuro geografico della musica? E quale potrebbe essere il ruolo dell’Italia? Insomma: il nostro panorama musicale attuale può tenere testa a quello estero e magari arrivare a influenzarlo?
Enrico: Forse non riuscirà mai a fare i grandi numeri come quello americano, però può influenzarlo sicuramente, anzi penso che succeda tutt’ora come in passato. Riesco benissimo a immaginarmi un produttore americano che gira su Youtube cercando qualche cosa di italiano che lo possa ispirare… sicuramente non esiste più un solo centro geografico della musica, sempre che sia esistito…
Claudio: Con la rete e canali come Youtube o Spotify non esiste più un tempo né un luogo: galleggiamo tutti nello stesso sconfinato, disordinato oceano. C’è da dire che tendenzialmente all’estero sono più aperti ad ascoltare prodotti di altri paesi. Basti pensare che proprio lunedì scorso la Radio Nacional De España (la RAI spagnola, per capirci) ci ha dedicato un’intera monografia durante uno dei suoi programmi più seguiti. Invece in Italia spesso non consideriamo nemmeno gli stessi italiani.

Il live è la dimensione più importante di ogni produzione musicale, sia per il contatto diretto con il pubblico dovuto alla compresenza di emittente (l’artista) e ricevente (il pubblico), sia per la chiarezza con cui emergono le competenze tecnico-strumentali. Voi vi sentite fedeli alla resa in studio? Come definireste il pubblico di un vostro concerto? Rispecchia il vostro ideale di pubblico?
Enrico: Secondo me lo studio e il live sono due cose abbastanza diverse, esistono tantissime band che dal vivo sono fortissime ma in studio non riescono a fare bei dischi, e viceversa. Noi cerchiamo di stare in mezzo a questo, anche se ultimamente lavorare in studio ci piace tantissimo!
Claudio: Con questo disco la resa studio e live praticamente combaciano, dal momento che abbiamo registrato tutto in presa diretta con quattro microfoni. Il nostro pubblico cambia continuamente, a seconda delle zone d’Italia e dai momenti. A volte il pubblico cambia per motivi che vanno aldilà della musica. Per farti un esempio, nel tour del primo disco abbiamo suonato in un paesino in Toscana, vicino a Lucca. Era pieno di ragazzine, boh. Io quella sera non ero molto in forma e durante il concerto ho vomitato sul palco e poi sono svenuto. Quando siamo tornati a suonare nello stesso posto un anno dopo, il pubblico era composto solo da ultras e punkabbestia.

Tra tutte le diavolerie che ci si è dovuti inventare per emergere, promuoversi, trovare finanziamenti a un progetto musicale, c’è Music Raiser, che è arrivato non solo ad attirare l’attenzione di artisti emergenti ma anche di musicisti che sono emersi da parecchio e che cercano nuovo lustro e festival come ArezzoWave. Che ne pensate?
Claudio: Lo stai chiedendo a uno che per realizzare Caulonia Limbo Ya Ya e promuoverlo si è autofinanziato e ha fatto un buco di svariate migliaia di euro in banca, e non sa se riuscirà mai a recuperarle. La cosa positiva è che la banca mi chiama ogni settimana per sapere come sto, e questo mi fa sentire meno solo, so che qualcuno mi pensa e ci tiene a me. Non sono d’accordo sul fatto che gli artisti promuovano collette per finanziare i propri lavori, le raccolte fondi per me andrebbero fatte solo per beni di prima necessità o per cose tipo i cataclismi e i terremoti. Se ami una cosa e ci credi devi essere pronto a rischiare tutto quello che hai, e anche di più, senza nessuna certezza… altrimenti che amore è? Avevo un amico che si era innamorato di una ragazza che era scappata in India, così lui qualche mese dopo ha mollato il lavoro e tutto quanto, ha comprato un biglietto di sola andata per Bombay ed è andato là a cercarla dappertutto, senza sapere se la cosa sarebbe andata a buon fine o meno, ma solo perché sentiva di doverlo farle. I veri artisti dovrebbero avere un tipo di atteggiamento del genere.
Enrico: Se non ci sono soldi per fare musica sarebbe giusto che la musica venisse realizzata senza quelli, pensa anche a che nuove estetiche musicali potrebbero nascere…

La domanda è scontata ma d’obbligo: in quale direzione muoverete i prossimi passi?
Claudio: è un po’ presto per parlare, però nella pausa tra un concerto e l’altro io ed Enrico ci incontriamo per suonare. Abbiamo improvvisato uno studio casalingo e, dal momento che abitiamo molto vicini, ogni volta che abbiamo qualche ora libera la dedichiamo a lavorare su qualche idea nuova. Abbiamo anche registrato 5-6 nuove tracce. Hanno un suono molto radicale, e un attitudine piuttosto Rock’n’roll: alcune si basano su groove torbidi e scuri, altre sono delle gioiose esplosioni di eccitazione selvaggia. Voglio proprio vedere che testi riuscirò a scrivere sopra delle cose del genere! Ma non è detto: all’ultimo momento potremmo sempre decidere di buttar via tutto e ripartire verso un’altra direzione.

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Borderline

Written by Interviste

Ecco finalmente l’intervista con i vincitori dell’ultima edizione del nostro concorso, AltrocheSanRemo, realizzata da Silvio “Don” Pizzica. Buona lettura:

Ciao a tutti voi. Come state?
Ciao Rockambula, piacere. Noi stiamo bene, un po’ assonnati, ma con tanto lavoro da fare,  tra le riprese del video e le rifiniture dell’album. Insomma, siamo sul pezzo.

Iniziamo con le presentazioni. Chi sono i Borderline? Cosa significa Borderline oltre la traduzione letterale?
Siamo 4 ragazzi alla continua ricerca di noi stessi, Borderline è per noi un viaggio,una guerra e una contraddizione. Un viaggio all’interno di tutte le possibili sensazioni umane, le mille diverse sfaccettature dell’io, e la contraddizione che emerge tra esse. I nostri testi sono pieni di contrasti e a volte controsensi. Noi stiamo sulla “linea di confine”, queste emozioni le viviamo, le osserviamo, e le raccontiamo in musica.

Parlateci del bellissimo singolo Multicolor, il brano che ha vinto AltrocheSanRemo Volume3. Come è nato e cosa ha di speciale? Perché proprio quel brano ha battuto gli altri nove pezzi in concorso?
Perché è quello che è piaciuto di più, semplice! (ride, ndr) è stato un singolo azzeccato che comincia a dare i suoi frutti, ma la promozione vera e propria inizierà con l’uscita del video.

La vostra è musica di chiara ispirazione Brit Pop (ovviamente fino all’uscita dell’album i punti di riferimento sono questi, anche se pochi) anni novanta. È veramente questo che amate, volevate sempre suonare, avete ascoltato e ascoltate ancora?
Noi esprimiamo ciò che siamo. Io sono cresciuto, mi sono avvicinato alla musica grazie al sound d’Oltremanica, e ovviamente questo si riflette nell’idea di musica che abbiamo. Ma ripeto, ora i nostri suoni sono questi perché noi siamo questi. Se poi un giorno dovessimo fare Reggae, sarete i primi a saperlo, ma ne dubito fortemente (ride,ndr)

Perché avete scelto di guardare al passato e prendere una strada sicura ma affollata invece che provare ad aprire nuovi varchi, nel mondo del Rock, anche a rischio di perdervi?
Non esistono strade passate e strade nuove. Esiste la buona musica, e quella meno buona. Noi siamo convinti di ciò che scriviamo e se ci sono evidenti influenze di alcune band, queste vengono rielaborate e riprodotte secondo quello che è il nostro gusto. Siamo riconducibili a un movimento, al Brit Pop, ma non somigliamo a nessuno in particolare. Poi è ovvio, ascoltiamo un certo tipo di musica e questo ci influenza. Se trovi una band che ti dice che non si ispira a nessuno, sappi che ti sta dicendo il falso.

Raccontateci qualcosa del vostro primo disco di prossima uscita. Partiamo dal titolo; e poi, che novità dobbiamo aspettarci?
Il titolo è una carta che ci giocheremo solo alla fine, poco prima dell’uscita. I brani saranno vari, sono diversi tra loro e diversi da Multicolor. La matrice è la stessa, ma ci sarà spazio per molteplici sensazioni: dalla malinconia alla rabbia, dalla gioia alla voglia di urlare e ballare come se non ci fosse un domani.

Se mettete tanto di voi, una parte intima e preziosa, nella musica e cercate di fare soldi cosa distingue una puttana, un poeta e una band come la vostra?
La puttana di intimo e prezioso non ci mette proprio nulla, se non quello che tutti sappiamo. Il poeta ci mette l’anima ma poi va a puttane, solitamente. Una band come la nostra ci mette corpo, parole e anima: e sul palco, a contatto con la gente, è il momento in cui avviene l’estasi, il punto più alto, l’orgasmo definitivo. E gli orgasmi che ti regala una rock band sono più duraturi e soddisfacenti di quelli che ti può regalare una puttana.

La scena indipendente è un oceano di band non sempre di valore considerevole. Difficile emergere e complicato, per il pubblico, scegliere tra i Borderline, gli Albedo, I Milf o una qualunque delle tante formazioni che “ci provano”. Perché un ascoltatore, un nostro lettore, dovrebbe dare fiducia e il suo tempo a voi, prima che agli altri, non potendo darli a tutti?
E’ difficile e complicato anche scegliere chi ascoltare, oltre che emergere. Un ascoltatore medio oggi è bombardato da mille input e quelli predominanti soprattutto in Italia sono ancora quelli di una certa musica, trita e ritrita (questa si veramente vecchia) dei soliti quattro anzianotti che a malapena si reggono in piedi. Chi ha voglia di andare a gironzolare per i mille volti della musica indipendente può trovare alcune sfiziose scoperte. A noi piacerebbe essere una di queste, per iniziare.

Vi capita mai di dare uno sguardo alle classifiche estere, soprattutto anglofone? Oltre a inglesi di lingua, potete trovarci francesi, islandesi quando non insospettabili extraeuropei. Mai italiani. Se (sottolineo se) la qualità del nostro Rock, come dicono alcuni, è oggi alta, perché all’estero continuano a snobbarci? Il problema è in fase compositiva, promozionale o cosa?
Non credo sia in fase compositiva,ma di sistema: il problema è più che altro che all’estero propongono solo  gente come Nek o Ramazzotti tra gli italiani. Che per l’amore di Dio, funzionano bene, ma ci sono tante band che se le riesci a promuovere in Inghilterra o nel Resto d’Europa spaccherebbero non poco.

In quest’ottica, voi cantate in inglese ma mirate al pubblico italiano suppongo. Gli stessi Zen Circus hanno dovuto fare un passo indietro, per avvicinare il pubblico di casa nostra ed evitare di restare senza fan sia dentro sia fuori confine. Perché tante formazioni come voi continuano a cantare in inglese? Quale gruppo italiano che ha sfondato in Italia cantando in inglese è il vostro punto di riferimento, se lo avete?
Noi cantiamo in inglese perché non potrebbe essere diversamente. La nostra musica è fatta per essere cantata in inglese, i testi li pensiamo già cosi, la lingua italiana non avrebbe la stessa efficacia. Non è giusto continuare a chiedersi perché non si canta in italiano, siamo nel 2013 ormai. E’ un concetto da superare, non si deve per forza cantare in italiano. Essendo friulani, potevamo anche cantare in dialetto friulano. Ma non si addiceva molto al sound (ride, ndr)

Tornando alla difficoltà di emergere di una piccola band, ho notato che, quelli che ce la fanno, spesso (oggi più che ieri) ci riescono grazie a gesti che poco hanno a che fare con la musica (vedi 1° maggio) o grazie a pezzi di medio-bassa qualità ma immediati (qui torna in gioco la lingua madre) e di grande impatto (vedi Stato Sociale, I Cani, ecc…) sulla massa (che con la musica intesa come arte ha poco a che vedere). Voi cosa sareste disposti a fare, a cosa rinuncereste e a cosa non rinuncereste mai per una fetta di quel famoso “successo”? Siate sinceri…
Sulla prima parte della tua analisi, non posso che darti pienamente ragione. E’ cosi e basta, e qui ci si ricollega al discorso di prima. Noi ovviamente il successo lo desideriamo, come ogni artista (non credere a quelli che ti dicono che non gliene frega niente) e siamo disposti a tutto per averlo, ma con la nostra musica, le nostre faccione, e la nostra immensa fame. Nient’altro, quello che sarà, sarà.

Per un attimo non parliamo di voi. Come sempre, provo a farmi dare un nome. Quale è la band o l’artista Indie italiano più sopravvalutato in circolazione?
Ho letto che fate spesso questa domanda, e fate fatica ad avere una risposta, ma non ascoltiamo molto indie italiano, sinceramente. Comunque non esistono band sopravvalutate. Sono le band stesse che tendono a sopravvalutarsi a volte. E risultano fastidiose. Come ad esempio noi, che a volte ci diamo fastidio da soli.

Siamo in chiusura. Cosa hanno in programma i Borderline per l’immediato futuro? Album, live, diteci tutto!
Adesso stiamo seguendo i mixaggi per l’album, e ci staremo dietro un po’, perché tendiamo ad essere abbastanza esigenti. Poi sarà da decidere la data migliore per l’uscita. E’ il nostro primo album, vogliamo giocarcelo bene. Per quanto riguarda i live, ci aspetta un’estate abbastanza ricca di concerti, un po’ sparsi nel Nord Italia, anche se partiremo dal Friuli, la nostra terra madre. In autunno poi comincerà la promozione dell’album e li si girerà ancora un pochino di più. E noi, che amiamo visceralmente la dimensione live, non vediamo l’ora di fare ballare il numero più alto di “giovanotti da club” (e non solo) possibile.

Ditemi quello che avrei dovuto chiedervi e non vi ho chiesto? Poi, se volete, rispondetemi.
Se ci viene mai da starnutire mentre suoniamo. Ci pensavamo ieri e credo non sia mai capitato, non che io ricordi almeno. Ma gli altri della band la pensano diversamente. Abbiamo litigato di brutto su questo, ma ora è passata.

Abbiamo provato a conoscere meglio i Borderline, la band che ha trionfato ad AltrocheSanRemo Volume4. Aspettiamo con ansia l’uscita imminente del loro primo full lenght ma intanto gustiamoci ancora una volta il primo irresistibile singolo, Multicolor. Se tutti i brani saranno a questo livello si conquisteranno una bella fetta di pubblico. Voi che ne dite?

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I Am The Distance

Written by Interviste

Giunti sesti al nostro concorso AltrocheSanRemo Volume3, il trio di polistrumentisti lombardo ha comunque mostrato tante qualità e grande carattere. Abbiamo quindi deciso di intervistare gli I Am The Distance (facebook ufficiale) e, come potrete leggere voi stessi, la scelta è stata indovinata. Risposte mai banali e soprattutto parole che andrebbero fatte leggere a ogni giovane che si appresti a iniziare a suonare in una band.

Ciao. Per prima cosa, come state?
Ciao a voi di Rockambula! Al momento non ci possiamo lamentare…

Chi siete musicalmente, come band e come singoli? Perché questo nome?
Ci piace pensare di essere, presi singolarmente, musicisti completi; ognuno di noi ha alle spalle una formazione specifica su un determinato strumento, e successivamente ne ha imbracciati altri, coltivando in parallelo l’attività del canto. Inoltre, prima di incrociare le nostre strade, abbiamo sempre scritto e prodotto “artigianalmente” vario materiale come solisti, ciascuno con un diverso moniker (per Fabio, Split the void, in seguito titolo di uno dei nostri primi brani condivisi; per Jacopo, Someone; per Alessio, An Orchard Next to the Highway). Gli I Am The Distance, visti globalmente, non sono però un mero collage di tre individualità; sono anzi un’entità unica, collaborativa e multiforme, che cerca l’armonia e la coesione prima di tutto. Quanto al nome, è di base una suggestione, tanto fulminea quanto (crediamo) profonda, in cui ci siamo identificati; cercavamo qualcosa che riassumesse la nostra musica, e questo ci ha soddisfatti subito: “Io sono la Distanza”, e cioè la distanza dalle cose, dalle persone, dagli eventi che hanno finito per prosciugarmi; “Io” come essere umano non sono più l’altro capo di una relazione o di un legame, ma divento il vuoto stesso tra le due estremità.

Siete una band particolarmente giovane, con un solo full lenght alle spalle eppure avete già firmato per un’etichetta, seppur piccola. È veramente cosi utile avere un’etichetta alle spalle per una band come voi invece che puntare sull’autoproduzione? Non sarebbe più utile un ufficio stampa con “le palle”?
Il primo EP omonimo, in effetti, era completamente autoprodotto, mentre con Solace abbiamo deciso di guardare a ciò che facciamo sotto una lente più professionale. Il lavoro che la nostra etichetta, After Life Music Dimension, compie per noi e con noi ci è sembrato utile e proficuo: da una parte, la co-produzione ci aiuta a dare la giusta resa alle canzoni in fase di studio, senza però prese di posizione invadenti; dall’altra, ci ha aperto gli occhi sulle possibilità della vendita digitale. Finora, questa partnership si è rivelata essere in pieno spirito “indie” e anche economicamente vantaggiosa per noi; inoltre, cosa non meno importante, ci ha consentito di entrare a far parte di un ambiente giovanile, caloroso, pieno di ottimi musicisti, e di trovare qualche data in più. Uffici stampa e agenzie sono indubbiamente una buona soluzione, ma per adesso non ne sentiamo la necessità.

Domanda banale. Sono convinto però di ricevere una risposta originale. Perché cantate in inglese? Se ci pensate, il pubblico tricolore sembra appassionarsi più alle formazioni che parlano in lingua madre, al di là della qualità musicale della loro proposta.
La motivazione è comunque banale: non siamo mai o quasi mai riusciti a scrivere in italiano, neanche volendo; di contro, abbiamo sempre e solo scritto in inglese, e raramente traducendo una traccia pensata in anticipo in italiano. La nostra lingua non ci sembra in verità adatta alla (nostra) musica, prolissa e abbondante com’è per sua natura: è senza dubbio ottima per la prosa o la poesia letteraria, ma troppo instabile e barocca per la canzone – specie se di oggi; l’inglese è invece funzionale, sintetico, sufficientemente “tagliente” da trasmettere un messaggio nella maniera più diretta possibile, soprattutto nei pochi versi a disposizione in una forma-canzone come la nostra. Dal punto di vista dell’agilità, è la lingua più bella del mondo, assolutamente. Da parte nostra, come autori di testi, cantare in una lingua straniera non vuole affatto essere un’ostentazione di originalità o esterofilia pura, e neanche un tentativo di darci un tono da rockstar britanniche o americane (visto che qualcuno l’ha anche insinuato ascoltandoci); quel che vediamo nell’inglese è, piuttosto, un grande patrimonio lessicale, espressivo e di conseguenza artistico.

Nel descrivere la vostra musica parlate di tradizione acustica, cantautorato, Alt rock britannico e addirittura scandinavo, Folk, Country e Grunge. Ci si aspetterebbe un miscuglio e un complicato intreccio ma in realtà la proposta è estremamente lineare e facilmente godibile. È esagerata la descrizione o quelle influenze riguardano i singoli membri che poi, in fase di composizione, riescono a lavorare come un’entità unica?
La seconda che hai detto. Le nostre singole influenze sono molto differenti fra loro,  e solo dopo aver iniziato a scrivere insieme abbiamo finito per “contagiarci” a vicenda. Fabio proviene dal metal, nelle sue tante sfaccettature, e si è poi gradualmente accostato a generi più soft; Jacopo ha una preparazione pianistica di stampo classico, e durante l’adolescenza ha ascoltato dapprima moltissimo brit-pop, per poi estendere l’interesse a tutto il resto; Alessio ha imparato a suonare sulla scia dei grandi maestri del fingerpicking e di alcuni cantautori importanti, dipartendosi poi a sua volta verso altri lidi. La nostra apertura mentale ci porta a combinare tutto questo senza programmare nulla, con il solo scopo di fare qualcosa che ci convinca e ci faccia innamorare tutti.

A proposito di influenze, se doveste citare tre gruppi del passato dalla quale avete tratto ispirazione e che, effettivamente vi somigliano chi citereste? Se invece parlassimo di gruppi attuali?
Per Fabio, dalla vecchia guardia vanno citati senz’altro i Metallica, i Dream Theater, gli Alice in Chains; per Jacopo, i Fleetwood Mac del periodo Rumors, gli Eagles degli anni d’oro e i defunti Oasis; per Alessio, alcuni virtuosi come Marcel Dadi, Nick Drake, Jeff Buckley. Per i gruppi attuali, rimandiamo alla risposta successiva, che crediamo sia esauriente.

Parlando di band o artisti attuali, chi vi piace in Italia e all’estero?
Sulla musica italiana siamo parecchio selettivi; se dovessimo scegliere qualche nome, menzioneremmo altri chitarristi “sperimentali” attuali come Pietro Nobile e Sergio Altamura; oppure cantautori come Gazzè o Britti. Per quanto riguarda invece la musica straniera, non abbiamo veramente limiti: tra gli artisti che più di tutti ci mettono d’accordo, ci sono però innegabilmente gli Opeth, i Sevendust, gli Alter Bridge, i Pearl Jam; e ancora William Fitzsimmons, i Lifehouse, gli A Perfect Circle. Non mancano, naturalmente, i riferimenti personali di ognuno che possono incidere in misura maggiore o minore sui nostri pezzi: per Fabio i Mumford & Sons, Andy McKee, gli Incubus; per Jacopo gli Hanson, Noel Gallagher, Steven Wilson;  per Alessio i Radiohead, Tommy Emmanuel, i My Morning Jacket;.

Torniamo alla vostra musica? Chi di voi scrive musica e testi? Di cosa vi piace parlare nelle vostre canzoni?
Come detto, siamo un gruppo che ragiona con un’unica testa, quindi contribuiamo tutti attivamente alla composizione. Non c’è mai un meccanismo fisso o uno schema, né per la musica né per i testi, e neanche per gli arrangiamenti; un riff o un’idea possono essere portati in sala prove da uno o due elementi del gruppo, per poi essere arrangiati da tutti, oppure nascere subito da un’improvvisazione collettiva – e lo stesso vale per i testi. Ci viene spesso in mente “Spiral”, l’opener di Solace: l’abbiamo scritta di getto insieme, durante una notte insonne, trovando immediatamente ogni connessione – accordi, arpeggi, parole (divise e cantate fra tutti), struttura… Per questo ha un valore speciale. In realtà, comunque, ogni canzone ha davvero alle spalle un parto e una storia a sé.
La domanda sull’argomento delle canzoni stesse ha una risposta intricata. La bontà di un testo sta nella sua capacità di spingere ogni ascoltatore a immedesimarsi in modo differente: soltanto l’autore del testo stesso, infatti, conosce veramente l’essenza dei propri pensieri, e spiegarla apertamente equivarrebbe a violarla. E’ una complessa questione di privacy, che però non impedisce la condivisione, grazie alla libera interpretazione altrui. La stessa cosa vale per noi: a volte ognuno di noi non sa per certo di che cosa parlino i testi degli altri due, e il più delle volte si lascia semplicemente trasportare dalle immagini che le parole evocano. Se dovessimo proprio inquadrare grossolanamente i nostri contenuti, potremmo dire che le tematiche proposte da Alessio (il migliore di noi, sotto questo aspetto) sono le più sfuggenti, le più difficili da afferrare; Fabio e Jacopo, invece, si rifanno soprattutto a esperienze ben specifiche, da cui hanno ricavato la loro visione delle cose. Quello che lega tutti i nostri testi, in fin dei conti, è perlopiù un concentrato di malinconia, rabbia e frustrazione, espresse in una gradazione diversa a seconda del pezzo.

Oggi, a causa del web, dei maggiori mezzi a disposizione, sia per suonare che per proporsi, c’è un numero di band veramente esagerato. Credo che di tutte quelle che ci sono in giro, almeno il 90% potrebbero suonare per esprimersi senza cercare di proporsi all’Italia intera. (Domanda banale n°2) Voi dove vi trovate? Nel 10% o nel 90%?
Speriamo nel 10%! Girando, ci siamo accorti che la “concorrenza” è molta e la qualità è spesso medio-alta, ma ci auguriamo che la nostra musica – quali che siano i canali attraverso cui la proponiamo – venga vista come un prodotto di qualità.

In quest’ottica cosa cercate dalla musica? Pensate di poterci vivere oggi che i dischi non li compra quasi più nessuno e un concerto gratuito di Cesare Basile a Pescara fa un pubblico di circa 20 persone?
Per noi la musica è un linguaggio, un modo di essere, di descrivere il mondo; la diffusione web è ormai l’unica che conti davvero, e nel mondo underground la condivisione gratuita ha prevalso a scapito del business. A onor del vero, non ci interessa fare di quest’arte – e sottolineiamo il termine arte – un lavoro e nemmeno un hobby particolarmente redditizio: per noi è passione, esigenza biologica, e saremo sempre grati ai pochi che vorranno seguirci, vuoi per fedeltà o vuoi perché avranno ritrovato ogni volta una traccia di sé in ciò che facciamo.

Quale pensate possa essere il vostro ascoltatore ideale?
Di sicuro una persona intellettualmente aperta, ma non spocchiosa; critica, ma non distruttiva; emotiva, ma non smielata. Per entrare nella nostra dimensione, la sola regola veramente valida è lasciarsi trasportare.

Cosa differenzia l’Ep Solace dal vostro album d’esordio I Am The Distance? E cosa distingue i lavori in studio dalle vostre esibizioni live?
Molte delle canzoni del primo album erano fortemente guidate dal pianoforte, un ingrediente che in Solace ha svolto invece un ruolo di accompagnamento; le sonorità erano più acerbe, le soluzioni più ingenue, le dinamiche costruite meno sapientemente. Dovevamo ancora crescere, è chiaro. A volte, al confronto ci sembra che Solace abbia un sound lievemente più grunge in alcuni passaggi, senz’altro “americano” in brani come The Fall Never Comes e Shelter, e più marcatamente folk in Spiral e Butterflies and the black dog. Abbiamo voluto far risaltare maggiormente le differenze tra le nostre tre voci, con Alessio unico interprete nella sua Butterflies, Jacopo e Fabio spesso in duetto e soprattutto l’approccio corale di Spiral; in sostanza, si è voluto giocare più sui cori, sulle armonizzazioni e sui controcanti.
Dal vivo, cerchiamo di ricreare le atmosfere delle canzoni al meglio, con una cura via via più minuziosa per le modulazioni, i cambi d’intensità e gli intrecci vocali; durante le nostre prime esibizioni, fatte da seduti, tutto era più statico, ma da quando abbiamo iniziato a suonare in piedi la qualità dei live – e del nostro divertimento – è decisamente migliorata: il pubblico è più coinvolto, l’esecuzione più precisa e noi ce la godiamo di più.

Cosa viene dopo? Ci sarà un nuovo disco? Ci sarà un tour?
Abbiamo appena terminato un tour che ha coperto varie zone della Lombardia, e al momento quello che ci preme di più è lavorare sul nostro nuovo materiale; di carne al fuoco ce n’è molta, di buoni propositi anche. Tra i nostri progetti c’è sicuramente l’incisione, verso Ottobre, di un nuovo doppio singolo (probabilmente composto da una forma-canzone “canonica” e da una sorta di brano-concept, su cui ancora dobbiamo spremerci), sempre sotto After Life Music Dimension. Questo dovrebbe spianare la strada in vista del nostro primo disco vero e proprio, che si aggirerà intorno alle dodici/quattordici tracce e su cui abbiamo intenzione di concentrarci per buona parte del 2014. L’attività live proseguirà, naturalmente, ma non dovrà ostacolare il lavoro in studio.

Non pensate che la musica italiana sia troppo legata o al solito cantautorato
tradizionale o al Rock alternativo anni’90? Perché nessuno osa?
Il nocciolo è uno: gli italiani non hanno gusto, non hanno apertura, non hanno il senso della sperimentazione e della novità, in niente; tantomeno ce l’hanno nell’arte e nella “comunicazione” (qualunque cosa diamine significhi ormai). Questo non cambierà, perché ogni nostro stimolo culturale è ormai marcito o compromesso. Riconosciamolo e mettiamoci l’anima in pace, cercando nel nostro piccolo di fare qualcosa innanzitutto per noi stessi, e poi per gli altri.

Chi è la grande truffa dell’Indie italiano?
E’ l’indie italiano a essere una truffa.

Romagnoli (Management Del Dolore Post Operatorio) ha provocato tanto al concerto del 1° Maggio fino a tirarsi fuori l’uccello. Pollice su o pollice giù? Voi cosa sareste disposti a fare per decuplicare il vostro pubblico?
Ci pare si commenti da sé… A noi interessa la musica, le troiate da bambini le lasciamo a chi le ritiene opportune per ottenere qualcosa.

Perché da artisti sconosciuti parlano quasi tutti di coerenza, odio verso il mainstream, necessità di esprimersi senza la ricerca del successo? Tutti o quasi giurano che non venderanno mai la loro musica per qualche euro in più ma come la fama si avvicina, l’atteggiamento sembra mutare? Ipocrisia giovanile, ingenuità o è il successo che ti divora e cambia l’anima?
Mantenersi “innocenti” completamente in questo mondo è impossibile, ed è spesso è inevitabile dover scendere a patti con situazioni e sistemi sgradevoli (in ovvia proporzione a ciò che si intende raggiungere); da parte nostra, possiamo solo assicurare che faremo di tutto per mantenerci fedeli ai nostri principi morali, ai nostri sogni (quelli non intaccati dalla merda imperante) e alla musica, che è la sola cosa di cui alla fin fine ci importi.

Ditemi quello che avrei dovuto chiedervi e non vi ho chiesto? Poi, se volete, rispondetemi.
Niente di particolare… Ci auguriamo solo di essere stati esaustivi. Alla prossima e grazie mille!

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