Un’interessante prova questo Tre degli Ismael, band reggiana con la peculiarità di avere come frontman Sandro Campani, che fa lo scrittore (lo scrittore “vero”, che dovrebbe voler dire “pubblicato” – l’ultimo libro è uscito per Rizzoli). Una peculiarità che non è solo di contorno, non è solo materiale promozionale: ma ci torniamo dopo. Tre è, musicalmente, un disco secco, per la maggior parte, elettrico e nervoso, essenziale, scarno, spigoloso, che sa però bagnarsi , qua e là (“Tema di Irene”), in lente evoluzioni Slow Core, Post Rock, fatte di chitarre ipnotiche e organi umidi. Sono interessanti anche le digressioni “Americana” (“Canzone del Bisonte”, con una chitarra acustica dal ritmo country e dal giro armonico molto seventies, o il finale di “Canzone di Quello”, epico-campagnolo). I riferimenti sono molto anni 90, e se dovessi giocare alle libere associazioni direi che mi ricordano molto Il Teatro degli Orrori in versione meno heavy (date un ascolto al finale di “Palinka”): vocazione letteraria (in senso lato) simile, voce asciutta e un cantato lineare, declamatorio, e più grunge, meno virtuosismo.
La parte veramente interessante del disco è comunque, e fuor di dubbio, quella relativa alle liriche e alle ambientazioni dei brani, che “sanno soprattutto di terra, di legno e di cielo”. I testi sono eccezionali, in senso letterale: eccezioni rispetto alla regola del Rock nostrano che spesso, liricamente, è banale e goffo. Qui invece le parole di Sandro Campani disegnano acquerelli complessi e affascinanti, in cui s’intravede la sua abilità di narratore (desunta, ovviamente: non mi è – ancora – capitato di leggere nulla della sua produzione letteraria). Dalle canzoni più brevi – penso alla title track – che colpiscono come colpi di fucile, lasciando schizzi di sangue da interpretare come auspici, nascosti tra le pause e i tempi dilatati (Di pomeriggio, dopo le tre / Esci da casa sua, e piove. / C’è quell’odore di polvere. / C’era una frase, non sai dov’è. // Gli hai detto: «Grazie.» – «Non c’è di che.» / La pioggia batte la cenere. / C’era una gioia che ora non c’è / quel pomeriggio, dopo le tre. // La pioggia lava le lettere / non è leggero da leggere), fino a brani liricamente più densi, visionari, che passano da forme animali e gesti quotidiani ad aperture liberatorie, di una poesia minimale (“Canzone del Cigno”: E dopo, dopo lei si è alzata con le mani impolverate, piene di polvere nera, sollevando le braccia vuote verso il cielo vuoto, mentre usciva a camminare attraverso strade distrutte; “S’Arrampicavano”: uno sciupìo, una fotta di fiorire, che sembra urlare di quelle accoglienze da segnare in calendario, le manie di far per forza effetto, e io pensando a questo, io, lo so, ci provo a esser contento, fosse in me ci riuscirei.).
Tre è insomma un disco che vi consiglio, non fosse altro per le storie che sa raccontare, fatte di sentimenti, angosce, crudeltà, limpidezze. La musica le accompagna, ancella e amante, con oculatezza e parsimonia. Un disco con cui farsi male, piacevolmente. In cuffia, una sera di pioggia, da soli.