Premessa: ho visto i Jaspers live, un venerdì sera in cui non avevo nient’altro da fare. Ci sono andato conoscendo solo un pezzo loro, Palla di neve, di cui avevo visto di sfuggita il video (orrendo). Il brano in questione, secondo il sottoscritto, è una ballad pallosissima (mi si perdoni l’espressione non propriamente aulica). Capirete quindi il mio stato d’animo nell’entrare nel locale rischiando una rottura di palle infinita, aspettando questo gruppo stranissimo che si maschera per suonare, stile Slipknot de noantri, e poi produce un pop super-italiano, super-melodico. Ero un po’ interdetto, e non sapevo cosa aspettarmi – ma se avessi scommesso, avrei puntato sulla rottura di palle.
E invece i Jaspers mi sorprendono. Una presenza scenica eccezionale. Una bravura tecnica invidiabile. Si lanciano in lunghissimi brani-follia, uno più pazzo dell’altro – e qui la parola chiave è pazzo. Sì, perché poi scopro che i Jaspers (che prendono il nome da Karl Jaspers, filosofo e psichiatra tedesco) hanno una loro missione, una loro ricerca: “chi è il pazzo? Chi esplora la follia o chi si nasconde dietro a mille maschere, in nome di una “normalità” fatta di castrazioni e compromessi?” (parole loro).
Insomma, oltre ad avere (pare) le idee chiare, fanno pure un concerto coi contro-cazzi, e scusate il francesismo. Intensi, coinvolgenti, girano per la sala, si dimenano, e in tutto questo suonano benissimo, ognuno il suo: batterie precisissime, tastiere onnipresenti, chitarre avvolgenti, e poi la genialata finale, le due voci, vero punto di forza di tutto l’ensemble. Si mischiano perfettamente, si rispondono, si inseguono.
Ottimi, davvero.
Poi però torno a casa. E mi ascolto il loro disco. E sapevo, giuro, lo sapevo: sapevo che i Jaspers avrebbero rischiato molto nel fissare quel delirio su un supporto qualsiasi. E avevo ragione.
Il disco, è indubbio, è fatto bene (anzi, molto bene). Ma senza l’impatto, senza la pressione, suona un po’ vuoto.
Cerco di spiegarmi meglio.
I sei Jaspers hanno diversi punti di forza, ma li confondono. Non scelgono una strada, ma diverse, e questo, secondo me, li penalizza. Sono tecnicamente ineccepibili, ma a volte il mettersi in mostra, su disco, annoia. Sono simpatici e tentano la strada dell’umorismo, a tratti demenziale, spesso più teatrale, ma su disco ovviamente perdono tantissimo (sono sempre dell’idea che di gruppi come EELST ne nasca uno su un milione). Tentano, come prima accennavo, le ballad, cercando (e non ne fanno mistero) un’esposizione e un’attenzione mediatica che credono (e giustamente, anche) di meritarsi, ma ne escono maluccio – Palla di neve, dai… sembra una versione degli Io?Drama immersa nell’immaginario posticcio dei Lacuna Coil…
E c’è da dire che i Jaspers hanno un curriculum esagerato: hanno studiato al CPM, sono stati formati da Mussida (o chi per lui), hanno vinto una quantità di concorsi, hanno persino fatto un party al Just Cavalli per i 10.000 fan su Facebook (con ospiti di livello, tra cui Lola Ponce e Patrick, che non so chi sia, ma immagino non l’amico di Spongebob). Per cui, cercate di capirmi: sono molto combattuto nel giudicarli, e oscillo tra una passione (controllata) per il progetto e una (non proprio lieve) stroncatura.
Quindi?
Quindi il consiglio è: andate a vederli da vivo. Fatevi trascinare. Non fidatevi dei video, dei singoli, del curriculum, del disco. Immergetevi nel Mondocomio: ma fatelo faccia a faccia coi brutti musi (mascherati) dei Jaspers. Questo è quello che mi sento di dirvi. Poi so già che il disco farà faville in tante delle vostre orecchie, ma dicono che il mondo sia bello proprio perché vario…