Da buon adulatore del Rock tamarro non posso che provare un irrazionale fascino nei confronti di chi sale sul palco mascherato. Che sia da demone, da wrestler messicano o da ermafrodita, la maschera affascina sempre e comunque il mondo dello spettacolo, ma crea anche quell’aspettativa in più che deve giustificare la sboronaggine di andare sul palco con una faccia diversa dalla tua. The Poneymen vengono dal Belgio e molto probabilmente non conoscono affatto il fenomeno qui ben noto di Mc Cavallo, da cui a dir la verità prendono solo la spassosa faccia da cavallo. La band è infatti composta da sei elementi (con tanto di fiati) e dalla fanciulla Josette Ponette che presta il suo volto un po’ più scoperto: solo gli occhi sono celati da una mascherina da film sexy fine anni 80. La sua voce è distante, sensuale e dinamica, segue perfettamente l’andamento onirico ma molto ballabile dei quattro pezzi che compongono queso 7’’. Tutto sembra avvolto da una nube di mistero: poche informazioni, foto divertenti quanto paradossali (immaginate un uomo con testa di cavallo che fuma o che si mette la chitarra dietro la schiena?), persino la lingua francese, quasi un sottofondo sotto il tappeto costante di Surf, è surreale. Per non farsi mancare nulla in “Bourricos Picantos” e “Mexican Hippic Sauce ” c’è pure quella venatura di mariachi ad introdurre un’atmosfera di siesta e vacanza perenne. Il sound rimane comunque sempre compatto, una galoppata in mezzo alle onde di un oceano amico e divertente, con una bel cocktail che attende a riva. I fiati riempiono e danno colore a pezzi non di certo memorabili, sempici ma terribilmente accattivanti. Una bomba che sicuramente live potrebbe esplodere in folli danze dentro piccoli club sudici. Basso e batteria fanno il loro diligente lavoro. Il rullante di “Vilaine Petite Ponette” è uno schiaffo e quel pizzico di synth rende il brano chic e molesto allo stesso tempo. La sensualità è violenta e piccante, una prostituta frenetica come le chitarre blueseggianti e sinuose che rincorrono lo stesso riff per tutta la canzone. “Chorizo de Jument” è invece più Swing, ancora più surreale e pazzoide con ilcontinuo dialogo tra donna e uomoe sembra proprio catapultarci dentro il set di un film americano degli anni 30. I cavalli sono impazziti, sono fuori da ogni schema e genere. Il loro spazio non esiste, non esiste il loro tempo, hanno la foga di un animale che cerca il cibo e la pazienza di chi aspetta ancora l’onda giusta.