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What’s up on Bandcamp? [ottobre 2019]
I consigli di Rockambula dalla piattaforma più amata dall’indie.
Continue ReadingIggy Pop – Post Pop Depression
Dopo qualche anno di silenzio ritorna uno dei signori indiscussi del Rock, sulle scene dal lontano 1967, capace di rinnovarsi col passare degli anni, adeguandosi, ma mai conformandosi, alle sonorità del momento. Post Pop Depression è realizzato a quattro mani con colui che al giorno d’oggi incarna al meglio lo spirito della musica del secondo millennio: Josh Homme, ex Kyuss e da vent’anni artefice e creatore dei Queens Of The Stone Age. Proprio da lì proviene il bassista Dean Fertita, mentre dietro le pelli troviamo l’eccentrico batterista degli Arctic Monkeys Matt Helders. Senza dilungarmi in ulteriori preamboli, preferisco cominciare a parlare del disco in questione.
“Break Into Your Heart” è una canzone quasi spirituale che rievoca l’anima raffinata ed elegante del compianto David Bowie, grande amico di Iggy Pop e suo produttore in passato. Il singolo “Gardenia” è uno dei brani dove si avverte maggiormente la chitarra graffiante di Josh Homme, così come in “In The Lobby” dove l’assolo pare ripreso da un estratto a caso dei Queens Of The Stone Age. “American Valhalla” ha un basso travolgente che spinge per tutto il pezzo, nonostante il suo respiro sensibile capace di far sognare ad occhi aperti. “Sunday” è la più atipica, pulsante e sorretta da un lavoro magistrale di batteria e chitarra, taglienti come lame di rasoio. Il coro femminile nel finale dà un ulteriore tono seduttivo a quella che per me è la composizione top dell’intero platter. “Vulture” e “Chocolate Drops” sono due episodi interlocutori posti tra due indiscutibili gemme: la bipolare “German Days”, fisica e allo stesso tempo delicata nel suo sound privo di orpelli, e la conclusiva “Paraguay”, con dei chiaroscuri vocali poderosi e dilatata da una melodia indimenticabile, dove pare esserci nuovamente lo zampino del Duca Bianco.
L’Iguana è tornato e non è assolutamente ai titoli di coda, come ci dimostra un disco solido e convincente come Post Pop Depression.
Artic Monkeys – AM
Tipo strano Alex Turner: considerato dalla critica tra i migliori cantanti della sua generazione, accostato ai nomi più autorevoli del pantheon del Rock su tutti il Modfather Paul Weller; artista capace di togliere quell’odioso ghigno dal volto dei fratelli Gallagher superando il record raggiunto da Definitely Maybe nel 1994 vendendo,con Whatever People Say I Am, That’s What I’m Not, trecentosessantaquattro mila copie in una settimana, aggiudicandosi così il Guiness dei primati per il “disco di debutto con maggior numero di copie vendute”.
Profeta anti-hype ma al tempo stesso avido opportunista, trasformista a trecentosessanta gradi memore della lezione bowiana,Turner torna a far parlare di sé con AM, quinto e attesissimo album, accompagnato come sempre, dalle sue fedeli Scimmie Artiche. Sin dal primo ascolto ci si rende conto che AM è un lavoro destinato a suscitare pareri discordanti. I fan accaniti si sentiranno in qualche modo traditi dalla loro inversione di tendenza, quelli più distaccati forse ne saranno lieti e, chi ancora non li conosce, probabilmente ci si avvicinerà. Questo disco ci trasporta da subito in morbidi territori Alt Pop in cui suoni più audaci di matrice Rock si amalgamano a languide e pericolose tendenze R&B quasi da boy band; miscela evidente in “One For The Road” pezzo che, col suo cantato melodico alla Justin Timberlake, risulta stucchevole. Una parte oscura si nasconde in AlexTurner, irrequieto beatnik musicale che sembra non trovare pace e quasi quasi mi viene da pensare a un disturbo di personalità ascoltando “R U Mine?” brano che, in un colpo solo, cerca di fondere imprudentemente i Black Sabbath con sonorità Hip-Pop; la cosa sorprendente è che ne viene fuori un pezzo orecchiabile e adatto anche al pubblico più ingenuo.
Un po’ ci si riprende con l’intro di “Arabella” che ha un vago profumo di Morphine e chitarroni anni 70 devoti a Tony Iommi. Vogliono tutto e subito questi Artic Monkeys, lo si capisce da “I Want It All” col suo abbordabile ritornello da Hit Parade contornato da un pulsante Alternative Rock che s’imprime da subito nella mente. Merita di essere citato il video di “Why’d You Only Call Me When You’re High?” perché la dice lunga sull’intento della band; è guardando questo video che capirete molte cose sul contenuto dell’album:protagonista è ovviamente il nostro caro Alex Turner che, con un look alla Gene Vincent, gioca a fare il maledetto perdendosi nei fumi dell’alcol e della mescalina mentre tutto fila via, scontato come un telefilm per teenager,su una base alla Craig David. L’album procede con lentezza fino alla dodicesima e ultima traccia, “I Wanna Be Yours” perfetta per un ballo di fine anno stile America anni Cinquanta. Mi piace pensare che queste sonorità faranno storcere il naso anche a Josh Homme che nel 2009 produsse “Humbug”, disco dalle sonorità squisitamente Stoner ma che già lasciava intravedere una sottile furberia commerciale.
Seppur abili nell’arte del remake-remodel, gli Artic Monkeys di AM mancano di spessore, troppo intenti a confezionare un disco accessibile si dimenticano della sostanza scivolando in una banale palude sonora. Insomma,un lavoro fumoso che non ha di certo alte ambizioni artistiche.
MARK LANEGAN: TORNA IN ITALIA CON LA SUA BAND!
Noto songwriter di raro talento, Mark Lanegan è in grado di elevare le proprie canzoni a vera trance folk. L’esordio solista risale al 1990 ed è negli stessi anni che Lanegan mostra il suo inestimabile talento musicale, dapprima con gli Screaming Trees, una delle band di punta del movimento grunge di Seattle, e successivamente con le numerose collaborazioni di cui si è circondato, tra un progetto solista e l’altro. Il primo album solista, The Winding Sheet, vede la collaborazione di Kurt Cobain e Krist Novoselic su una cover di Leadbelly.
Tra atmosfere dark, cantautorato americano, soul, blues e rock’n’roll, la voce baritonale di Mark Lanegan non può far altro che riflettere la vena tormentata dell’artista stesso, che non manca mai di affrontare tematiche personali. Nel 2004, con Bubblegum, a Lanegan si affianca una vera e propria band, che annovera membri di Guns N’Roses e Josh Homme dei Queens Of The Stone Age. Nello stesso anno l’artista inizia una collaborazione con Isobel Campbell, ex Belle & Sebastian, che sfocia nel 2006 con la realizzazione di un album acustico dal forte timbro inconfondibile di Lanegan.
Al primo disco ne seguono poi altri due, e nel frattempo l’artista americano collabora con Greg Dulli nel progetto Gutter Twins. Per citare altre prolifiche collaborazioni di Lanegan basta indicare Queens Of The Stone Age, Soul Savers, UNKLE e Twilight Singers. Nel 2012 Lanegan pubblica l’ultimo album solista, a distanza di otto anni dall’ultimo Bubblegum. Blues Funeral è un disco di straordinaria bellezza, tra aggressività rock, folk blues ed infuenze anni Ottanta. Osannato dalla critica mondiale e registrato ad Hollywood da Alain Johannes presso l’11ad Studio, l’album vede la partecipazione di Greg Dulli e Josh Homme dei Queens Of The Stone Age.
15 LUGLIO 2013
VILLA ARCONATI – CASTELLAZZO DI BOLLATE (MI)
Apertura porte Ore: 20.00 – Inizio Concerti Ore: 21.30
prezzo del biglietto: posto unico: 22 euro + diritti di Prevendita
Prevendite attive su Ticketone dalle ore 10.00 di mercoledì 27 marzo e dalle ore 10.00 di mercoledì 3 aprile in tutte le prevendite autorizzate
Informazioni su come acquistare i biglietti:
Ticketone – www.ticketone.it – 892.101
Vivaticket – www.vivaticket.it – 899.666.805
Mailticket – www.mailticket.it – 199.446.271
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www.vivoconcerti.com
Un assaggio di “Sound City”, documentario firmato da Dave Grohl.
Per voi un assaggio del documentario Sound City firmato da Dave Grohl. La registrazione studio del brano “Mantra“, che vede impegnati tra lo stesso Grohl, Trent Reznor e Josh Homme dei Queens of The Stone Age. Niente male.
http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=WTaeHFquheI