Se non li conoscete ancora, dovreste farlo. Se non volete, fatelo comunque, ne vale assolutamente la pena. Loro sono in tre, hanno nomi di battaglia troppo fichi e suonano quello che vogliono. Il loro disco esce il 4 marzo, e si chiamerà come chi l’ha partorito. Arrivano i Karma In Distorsione, e questo è quello che hanno da dire.
Chi sono e come nascono i KID?
– Tarkievitz: I KID sono tre karma in continua distorsione e nascono a Roma dall’incontro fra me che sono di Milano, Snerv che è di Bisceglie e con Biastj che invece è di Roma. Lui è il centro di questo incontro, la nostra spina dorsale lungo lo stivale. Nasciamo nell’estate 2011 e abbiamo esordito subito suonando con Caparezza all’Auditorium di Roma, esordio direi avvincente. Nasciamo da percorsi completamente diversi, il nome KID ha un senso per noi dal punto di vista proprio delle origini.
– Biastj: L’idea del nome è partito dalla locandina del film di Chaplin, “The Kid”, quindi KID è venuto prima di Karma in Distorsione, e poi da quelle 3 lettere ho tirato fuori questo nome, che poi effettivamente ci rappresenta di fatto. Io vengo da un gruppo hardcore, ho suonato in Messico e in Europa, ma ho avuto anche esperienze acustiche. Tarkievitz suonava con le marchin’ band per strada, ma faceva anche punk. Snerv ha prodotto un sacco di dischi pop, ha lavorato come fonico in uno studio, faceva il cantautore. Tutte queste fonti si sono mixate insieme nel nostro suono. In tanti ci chiedono quale sia il nostro genere – “Ma che fate? Ma quindi è punk? Eh no, perché c’è il pianoforte ad un certo punto!” -. In realtà a noi non piace darci una definizione anche perché non l’abbiamo mai sentita come una problematica da dover affrontare con chissà quali discorsi. Ci lasciamo molto guidare dal mood di ogni brano, da come nasce, da come cresce, perché in realtà vogliamo esprimere un concetto di libertà, ci piace sentirci abbastanza liberi in quello che facciamo.
Cosa vogliono e dove vogliono arrivare i KID?
– Snerv: I KID vogliono arrivare a quello che è il significato di fare musica, che un po’ si è perso in quelle che sono le produzioni musicali odierne, che il più delle volte diventano il sostitutivo di un percorso artistico, visto che a fare dei dischi non ci vuole nulla perché a livello tecnico lo si può fare in casa, sono più di una decina d’anni che l’home studio ha preso il sopravvento, il che è una cosa positivissima. Noi però vogliamo arrivare a lasciare un messaggio musicale molto personale. Quello che c’è in questo periodo è legato a produzioni dove l’aspetto commerciale diventa poi il suono, riesce ad identificarsi con quello che è chiamato “indie” nel mondo, che invece nasce come esplorazione di gruppi che si autoproducono. Alla fine uno etichetta tutto quanto oramai, noi invece cerchiamo di non identificarci in questo modo.
Infatti mi viene spontaneo chiedervi, che cazzo vuol dire “indie” adesso? Non ha più nessun significato?
– Biastj: Esatto, proprio quello è il discorso. Ha perso di significato, è una moda, un modo anche addirittura di vestirsi. Non ha senso questa definizione, anche volendo, almeno per noi!
– Snerv: Il nostro non è proprio un atteggiamento di lotta contro l’indie, ci mancherebbe! Anche perché come è esistito il punk, altri generi ed altri movimenti, va bene anche l’indie. Il fatto è che a noi piace etichettarci proprio come indipendenti, non subordinati al mondo indie!
Il vostro sound è un misto tra punk e rock che a volte vira bruscamente verso gli estremi melodici o più rudi di questi generi. Quali sono le vostre influenze e da dove nascono queste contaminazioni?
– Snerv: Il fatto che i nostri brani abbiano avuto una vita va appunto a testimoniare che facciamo una musica che non ha come obiettivo il raggiungimento dell’uscita discografica. Alcuni brani del disco già esistevano mentre altri sono stati modificati e arricchiti. Noi siamo stati i produttori artistici di noi stessi, quindi anche a livello musicale l’elemento eclettico è quello che vogliamo dire e testimoniare nel tempo, con la consapevolezza che quello che suoniamo è nostro e che lo facciamo anche come dimostrazione di coraggio nel proporre uno spettacolo crossover dopo anni di silenzio.
– Tarkievitz: Che possa piacere o meno quello che facciamo, per noi è fondamentale che sia nostro, anche se proveniente da percorsi molto differenti: punk, metalcore, pop, crossover, funky, reggae. Personalmente ho fatto anche parte di una marchin’ band per dieci anni, il che vuol dire andare in giro per strada a suonare con il tamburello appeso alla vita e sperimentare anche l’aspetto bandistico della musica.
– Snerv: Io sono arrivato stremato a quello che significa fare produzione in Italia perché lavorando in uno studio riesci a riconoscere quelle che sono le dinamiche discografiche e quindi ti distacchi e, per quanto mi riguarda, ho cercato di depurarmi da quel tipo di lavoro. Nel momento in cui la musica diventa un lavoro e non vivi in un ambiente propositivo, lo fai essenzialmente per denaro. Ad un certo punto mi sono attrezzato e sono andato nei parcheggi dei grandi concerti come Caparezza e Afterhours suonando e distribuendo preservativi. (Ride)
– Tarkievitz: Per farla breve, assieme agli altri, abbiamo notato che le nostre esperienze si fondevano bene a livello di suono, interpretazione e arrangiamento sia durante le prove che durante il mixaggio del disco, che poi è stato un lavoro, a livello produttivo e artistico, molto importante. Molti pezzi si sono sviluppati durante il mix, quando abbiamo incominciato a capire che certe cose funzionavano bene. In realtà il disco doveva essere un demo, perché dopo aver suonato con Caparezza non avevamo materiale da poter portare in giro e ci è stato chiesto di fare un demo. E allora ci siamo chiusi giù da Snerv a Bisceglie, dove ha una casa in campagna fatta in tufo per cui con un’ottima acustica, e abbiamo fatto lì batterie, bassi e alcune voci. Mentre lavoravamo poi ci siamo resi conto che da un demo stava diventando un ep e da un ep poi è diventato un disco. Per cui è stato molto vero come approccio, un fotografare semplicemente quello che siamo e quello che facciamo.
Infatti la spontaneità e denuncia sociale sono i fili conduttori di questo lavoro. Quanto vi influenza l’ambiente che vi circonda?
– Snerv: Tanto, tantissimo! Non vediamo l’ora di suonare in giro per l’Italia per farci contaminare ancora di più perché avere base a Roma da alcuni punti di vista ti fa imbestialire, nel senso che è difficile trovare una singola tematica sociale qui perché adesso ce ne sarebbero tantissime e ovviamente facendo arte devi cercare anche di catalizzare quelli che sono i messaggi che devono arrivare per primi.
– Biastj: Il discorso è che secondo me affrontiamo la denuncia sociale ma a dei livelli più o meno ironici. Ad esempio nei live suoniamo un pezzo inedito, City, che è un pezzo che prende spunto dalla lettura del free press “The City”, che trovi in metro. Il brano è una lettura di quelle notizie che fa ridere dall’inizio alla fine perché si tratta di notizie imbarazzanti, attraverso le quali cerchiamo di far riflettere su quello che succede intorno. Fai quello che ti pare con la musica che ascolti, però è ovvio che quello che fai nella vita di tutti i giorni, il posto in cui vivi, la luce che vedi, ti influenza. Da casa mia io vedo i palazzi, li vedo da 26 anni ogni mattina. C’è un pezzo sul disco che poi si chiama L’palazz, cantato in biscegliese, il dialetto di Snerv, che lui ha scritto mentre pensava ai palazzi di Bisceglie ma che bene o male si adatta molto a quello che vedo io ogni mattina. C’è molta libertà forse pure nella scelta di quello che diciamo. Ad esempio per Formicaio aka Formiriot, che è uno dei brani del disco, stavamo finendo il missaggio proprio nella settimana in cui è uscita fuori la notizia delle Pussy Riot e del loro processo. Quello era un pezzo strumentale ma ad un certo punto ci siamo detti: “Vabbè, perché non ci si può buttar dentro un coro sulle Pussy Riot?!” che di base è nato molto liberamente come pensiero, l’abbiamo sviluppato, registrato e via!
– Tarkievitz: Diciamo che, anche in questo caso karmicamente (e quindi non è un caso secondo me), ci siamo conosciuti proprio suonando più che per amicizia. Però, non a caso, abbiamo trovato un’intesa. La denuncia sociale di cui parliamo noi ce l’avevamo dentro, ognuno per percorsi molto diversi. E ci siamo trovati su tutto senza pensare a nulla, ci veniva spontaneo, in maniera karmica. Questa è secondo me anche un po’ la nostra forza, anche a livello umano, non solo artistico: la sintonia tra di noi.
Si vede che vi divertite molto anche nella dimensione live: questo mi piace tantissimo. Però, in contraddizione alle tematiche che voi affrontate, non avete paura di non essere presi troppo sul serio proprio perché vi divertite troppo?
– Snerv: C’è da dire che quando si affrontano delle tematiche sociali il rischio è anche quello di appesantirne il valore artistico. Quindi comunque siamo sempre sul filo del rasoio fra quello che è lo sfondo sociale che stiamo disegnando e quello che è l’aspetto più primordiale che ci fa sudare mentre suoniamo. Il sorriso e la consapevolezza che ci stiamo divertendo tra un brano e l’altro è davvero il respiro più grande che abbiamo. Quindi non abbiamo paura né di sorridere né di piangere anche quando trattiamo dei problemi di una società che sicuramente non va come dovrebbe.
– Biastj: Mi ricordo quando stavamo missando il disco, ad esempio. Un’amica ci disse: “Eh però il disco è un po’ cupo, ruvido!”. Abbiamo passato un po’ di tempo a farci i pipponi su quest’idea, ma poi in realtà ci siamo resi conto che ci piace molto battere sul discorso della libertà che è il motore principale di qualsiasi cosa che abbiamo fatto fino ad ora. Per noi è importante ridere quando suoniamo, la dinamica live per noi è la più importante, è inevitabile partire dall’idea di dare e far vedere qualcosa a qualcuno. Non mi va di parlare di egocentrismo, ma in qualche modo lo è pur essendo positivo se sei sul palco a dire quello che hai in mente. Nel momento in cui hai l’opportunità di farlo, nel momento in cui sali sul palco a suonare, devi ridere. Anche per tutto il discorso che facciamo sulla libertà, perché anche da questo nasce il sorriso.
– Tarkievitz: Per noi è una cosa importante, poi se qualcuno non ci vuole prendere sul serio è un problema suo… Sotto un sorriso ci può essere anche un pensiero forte.
Adesso parliamo del disco. Non possiamo fare tante anticipazioni per non spoilerare, però che cosa ci potete preannunciare?
– Biastj: Il disco esce ufficialmente lunedì 4 marzo e lo presentiamo ufficialmente giovedì 7 marzo a Roma, a San Lorenzo, presso la locanda Altlantide dove suoneremo insieme ad un altro gruppo, i Tre che Vedono il Re.
Il singolo che preannuncia l’album è La mia Fabbrica, giusto?
– Biastj: Esatto! La mia Fabbrica è il primo singolo che è uscito, di cui abbiamo fatto anche un video, anch’esso autoprodotto. Detto così sembra che uno si vuole autocompiacere, invece è soltanto un discorso di necessità. L’autoproduzione è una nostra esigenza, che fino ad ora ci sta dando molte soddisfazioni. Il disco contiene 8 brani al suo interno e non bisogna aspettarsi che La mia Fabbrica sia rappresentativo, è un disco molto vario.
– Tarkievitz: Possiamo anticipare che ci sono dei contributi cinematografici, perché è un linguaggio che ci colpisce e ci condiziona molto. C’è una ghost track, che tu hai scoperto subito perché sei un amante delle ghost track, come hai dichiarato. È un estratto da una poesia di Pasolini che lui stesso recita, è la sua voce quella.
Sul finale del brano c’è questa frase che mi ha colpito molto: “Io muoio ed anche questo mi nuoce”. Devo leggerci un senso di sconfitta oppure è proprio il contrario, una rivalsa totale?
– Snerv: Per quanto mi riguarda penso che i KID possano dare un significato diverso alle affermazioni forti, appunto perché sono tali anche perché hanno più di un significato. Questo rappresenta il disagio di essere schiavi del pensiero della morte, quando si arriva vicino al punto di morte e sei ancora vincolato dalla paura.
– Tarkievitz: Non so cosa Pasolini volesse dire ma per noi questo linguaggio è una dichiarazione di rivalsa, non è una sconfitta!
Adesso parliamo di quello che è il panorama musicale italiano. Quali sono le band che vi piacciono di più in questo momento?
– Biastj: Bud Spencer Blues Explosion. Nel panorama italiano degli ultimi anni sono una delle cose che mi ha colpito davvero. Vedere questi due che salgono sul palco e lo smontano è bellissimo. Mi è capitato di vedere dei live e hanno una gran capacità di stare on stage.
– Tarkievitz: Io sono cresciuto col punk rock alla Clash diciamo, quindi ho una vena un po’ melodico-drammatica, per cui mi piacciono molto i Tre Allegri Ragazzi Morti. Mi piace molto come propongono i loro testi, con una certa ironia ma anche pieni di denuncia sociale. Magari l’ultimo disco mi ha colpito meno, devo dire la verità, ma li ascolto sempre volentieri. Poi il Teatro degli Orrori, credo che sia un progetto molto forte. Poi un gruppo underground, i Fuzz Orchestra, che fanno delle cose molto belle, molto particolari e semplici dal punto di vista tecnico che usano molto il tema cinematografico. Non cantano, ci sono solo delle tracce live che uno mette coi dischi quando suonano. Ci sono un sacco di esperimenti interessanti.
– Snerv: Bugo che aveva iniziato alla grande, lui invece ultimamente mi ha dato poco perché secondo me ha commercializzato una sua qualità però è stato un personaggio musicale che ho anche seguito. Poi me ne vengono altri, random… Qualunque produzione che abbia qualcosa di genuino, c’è sempre qualcosa di buono da ascoltare. Gli Afterhours tengono forte, i Marlene Kuntz sì, ma a tratti..
Qual è il vero problema della musica rock in Italia oggi? Perchè non c’è un riferimento di spicco a parte i soliti noti?
– Snerv: Il problema secondo me è che è stato identificato il genere in maniera commerciale, nel senso che si è iniziato ad etichettare determinate produzioni come rock perché avevano due chitarre, batteria e basso che si muovevano su delle armonie e delle melodie che somigliavano al rock. Non ci sono tante informazioni alla fine, anche se in apparenza sono tantissime. Quello che rende caotico anche l’identificare quello che sia un gruppo rock è il suo percorso musicale, le scelte sia artistiche che di lavoro, che non si riescono più a seguire.
– Biastj: Secondo me c’è anche quello che è iniziato a succedere verso la fine degli anni ’80 e che poi negli anni ’90 si è concretizzato: l’avvento della produzione commerciale e quindi del marketing a tutto spiano, dell’importazione di diversi format che vengono dall’America quali X Factor o Amici, che hanno una forma prestabilita e che ora non si vergognano nemmeno più di dire che cercano un artista che funzioni nel mondo discografico: tu funzioni, tu no. Quel tipo di approccio è imbarazzante. Mi è capitato ultimamente di andare in fissa con Lindo Ferretti e vedevi i live dei CSI, live di una portata assurda. Adesso invece si da un valore economico a qualunque cosa che esca dalla televisione, e ciò vale anche per quelle cosiddette indipendenti. Tutto ciò ha spazzato via completamente quella serie di cose che prima facevano fatica ad emergere ma che in qualche modo errano presenti e creavano anche una base da cui si poteva iniziare a parlare, discutere di rock.
– Tarkievitz: Il rock è nato in strada, come si può individuare un atteggiamento nella musica che quindi si propaga nel suono, se ad esempio a Roma nemmeno si può suonare in strada? Siamo circondati da paesi in cui invece è possibile e che permettono di sensibilizzare nel quotidiano anche chi non ha un interesse prettamente musicale.
Se posso aggiungere un carico per me il problema in Italia è durare. In Italia c’è questa prosopopea culturale per cui si pensa che tutto ciò che è passato ha una importanza e una dignità intoccabile e siccome è la patria di un certo tipo di musica intellettuale, molto fine e comunque un po’ classica, tutto ciò che è nuovo spaventa. Penso che sia un problema che hanno vissuto anche i nostri predecessori . Bisognerebbe smontare questo concetto dell’élite, delle caste. Chi ha il potere di veicolare qualcosa rifiuta assolutamente la novità.
Se io avessi un figlio che vuole fare il musicista rock io gli direi di farlo, ma di vendersi prima un rene così se ne sta sicuro. Secondo voi ci si campa con la musica?
– Biastj: Ci si campa, ma è strano. Io, ora come ora, non ci campo: faccio l’insegnante di musica, faccio le serate con più di un gruppo e lavoro anche in un catering ma comunque non guadagno tanti soldi. Ho amici che hanno avuto la fortuna di insegnare in una scuola di musica ma anche in questo caso non vuol dire campare di musica perché arrivi a fine mese con pochi spicci in tasca. Anche in questo caso qua vige la famosa legge italiana della botta di culo o la cosiddetta spintarella. A me è capitato di portare un curriculum in delle scuole di musica e la faccia con cui ti guardano dice più o meno “Che stai a fa?” perché in questi ambienti ci entri solo tramite l’amico che ti ci porta o il gestore della scuola che decide di fartici entrare. Allo stesso modo se vuoi fare una serata, il gestore del locale ti dice “Si, ma quanta gente porti?”.
– Tarkievitz: Adesso no, ma speriamo di camparci il più presto possibile. Il problema è che siamo in un paese in cui i locali non si prodigano all’ascolto per cui non ti permettono di suonare e far sì che la gente partecipi senza sapere chi è la band ma con la curiosità di scoprire musica nuova. Invece sei tu che oltre a mettere in campo la tua espressività devi avere già i tuoi fans e te li devi portare dietro se vuoi suonare. Questo è un meccanismo perverso che poi ti porta a vivere male, a sopravvivere.
Poi chi campa di musica oggi, al nostro livello, sono quelli che fanno le cover band. Loro campano perché fanno una roba già conosciuta che portano in giro. Abbiamo suonato a Milano all’Alcatraz per un contest sponsorizzato da un preservativo e dopo di noi suonava una cover band degli 883 e c’erano un sacco di ragazzi molto giovani, che forse nemmeno erano nati quando suonavano gli 883 ma erano lì sotto a ballare e parlando con il gruppo abbiamo scoperto che loro grazie questo progetto e ad un altro di Tiziano Ferro, ci campavano! E fanno cover di gente già nota e ancora in vita!
Per concludere quali sono i vostri progetti futuri?
– Tarkievitz: A parte partire con un tour di presentazione del disco e far uscire questo disco chiaramente, sicuramente fare un secondo videoclip a breve e sarà di Senza Petrolio che vuole essere il nostro pezzo diciamo nazional popolare, in cui c’è ironia, denuncia sociale, una melodia facile da ricordare…
Poi stiamo partendo con un progetto su Musicraiser, un portale di crowdfounding a cui abbiamo presentato un nostro progetto per riuscire in qualche maniera a rientrare in tutti i costi che abbiamo avuto finora tra incisione del disco e tutto. I soldi che riusciremo a racimolare serviranno per finanziare il nostro secondo videoclip. Questo è il progetto immediato, a parte fare i live, che partirà a breve. Abbiamo girato il video per presentare il progetto, adesso bisogna montarlo e partiamo!
– Biastj: Una cosa molto carina di Musicraiser è che ti permette in qualche modo di mantenere il discorso che abbiamo portato avanti fino ad ora dell’auto produzione, facendo sì che poi chi ha veramente piacere nell’ascoltare il disco o nel vedere il live può aiutarci anche in maniera effettiva e concreta. Ma penso che per il tour partiremo da aprile.
– Tarkievitz: Di Musicraiser ci piace molto parlarne perché sembra che in questo modo non esista più il meccanismo della case discografiche, dei produttori, dei mecenati e puoi coinvolgere in questo modo le persone che vogliono condividere con te il tuo progetto. Dai una mano ad un tipo di musica che fa fatica ad essere avviata. Poi di dischi non se ne fanno più, fino all’anno prossimo vogliamo solo suonare in giro e basta!