Partiamo subito con una domanda legata al vostro nome, La Linea del Pane. A cosa si riferisce? E qual è il vostro rapporto col cibo, in un periodo in cui proliferano associazioni, organizzazioni ed eventi legati al cibo sano, biologico, alla filiera corta e così via?
“La linea del pane” è una falsa traduzione dall’inglese breadline, termine che starebbe ad indicare (nei grafici demografici) la “soglia di povertà”, la linea ideale al di sotto della quale la popolazione è indigente. Figurativamente, venivano chiamate breadline le file di persone che attendevano il rancio o il sussidio, durante la grande depressione del ’29. La scelta del nome è stata del tutto casuale, è preso a prestito dal titolo di una poesia, non è legata in alcun modo all’etica del biologico, per intenderci.
I vostri testi sono impegnati e colti, in un modo che sembra più guardare ai primi Marlene Kuntz e a un certo cantautorato anarchico, che non ai più recenti Ministri, Teatro degli Orrori e compagnia. Non è usuale trovare al giorno d’oggi una band che non sia incazzata per la situazione sociopolitica e non manchi di farne la questione centrale dei propri brani. Discostarsi da questo filone è una scelta naturale o anche un modo per distinguersi da una corrente Alternative che ha già i suoi portavoce?
Essere incazzati per la “situazione socio-politica” impegnando la medesima evanescente isteria di quando si è imbottigliati nel traffico è assai facile. E assai futile, anche. Quando il traffico si dipana si torna sempre tranquilli e mediocri. E sono i mediocri appunto che percorrono sempre la stessa strada e finiscono, inesorabilmente, imbottigliati nel traffico. Non so se ho reso l’idea… Ad ogni modo gli encomiabili gruppi che citavi non sono naturalmente nostri capostipiti, quindi in realtà non ci sforziamo troppo di distinguerci da loro dal momento che non ne sentiamo la vicinanza. A dire il vero, nella nostra pur breve vita di band abbiamo ricevuto riscontri molto disparati, e riferimenti a mondi anche totalmente divergenti tra loro. La cosa non è limpida, probabilmente cercare analogie con altri gruppi non è il modo migliore di ascoltare il nostro disco, dal momento che la cosa pare sia molto arbitraria.
Nel recensirvi, ho sottolineato quanto spesso la componente letteraria sia fin troppo aulica, tanto da rischiare di diventare ostica e oscura. Qual è il messaggio principale che un ascoltatore medio dovrebbe cogliere da una vostra canzone?
Beh, diciamo che chi scrive canzoni per dare un “messaggio” fraintende un tantino il mezzo. Forse è per questo che pullulano gli intrattenitori e scarseggiano gli artisti. A parte questo discorso, che richiederebbe più tempo, i nostri testi non si può dire siano immediati. Ma non si può dire nemmeno che siano “aulici”, che letteralmente significa “di corte”, ovvero il linguaggio che si converrebbe in presenza del mecenate. È evidente che non sia il nostro caso. Sono il contrario di aulici, forse peccano di “enigmismo”, ma la maggior parte degli interrogativi possono dissiparsi al secondo o al terzo ascolto. Nulla è lasciato al caso, su questo possiamo garantire; certo è che non ha senso ascoltare “Utopia di un’Autopsia” una sola volta. Comunque, qualora un autore o un poeta volessero scrivere un testo o una lirica lasciando tutto al caso lo potrebbero fare, senza essere perseguibili. Lo fanno in molti senza essere scrittori, né poeti… L’importante è essere chiari, non essere espliciti. Forse la poesia in genere non si capisce subito, ma non per questo è equivocabile.
Musicalmente si sentono radici intellettuali anche nei vostri arrangiamenti. Qual è l’iter con cui nasce un vostro brano?
L’iter per questo disco è stato molto semplice, partivamo dal brano chitarra e voce e lo arrangiavamo insieme. Ognuno di noi tre ha un trascorso musicale diverso dagli altri due, ma bene o male un punto di equilibrio l’abbiamo raggiunto.
Qb Music ha preso a cuore l’edizione del vostro primo disco, Utopia di un’Autopsia. Com’è nato il rapporto con l’etichetta? Come avete lavorato per la realizzazione dell’album?
Il nostro rapporto con QB Music è nato dall’amicizia con Roberto Rizzi, che abbiamo conosciuto ad una serata in cui condividevamo il palco con i suoi Guarentigia, ormai un paio di anni fa. Ai ragazzi di QB dobbiamo anzitutto l’apprezzamento incondizionato che hanno avuto sin dal principio per le nostre canzoni. Di questo gli siamo grati e a questo dobbiamo la nostra decisione di lanciarci nella registrazione di un disco, che in quel momento non era nei nostri piani immediati.
Il panorama musicale nostrano è particolarmente puntellato di piccoli gruppi promettenti che spesso non vengono presi sufficientemente in considerazione né dalle produzioni, né dai media. Come ovviate a questa situazione? C’è qualche collega che è stato immeritatamente meno fortunato di voi?
Ce ne sono parecchi, abbastanza da mettere in discussione l’attendibilità degli addetti ai lavori. Per quanto ci riguarda, nel nostro piccolo, non ci interessiamo della cosa. Per vivere facciamo altro, io ad esempio faccio il magazziniere.
Tra i vari espedienti per la promozione, oltre ai soliti social network, voi avete utilizzato dei brevi video che riprendevano i lavori in corso, il backstage della preparazione del disco. Fidelizzare il pubblico è sicuramente fondamentale, è stato utile anche per rintracciare nuovi fan? La componente visiva è ancora così importante nel lancio di un prodotto fondamentalmente sonoro?
La componente visiva è importante mediamente per le persone, non per la musica. È così a prescindere da ciò che ne pensiamo noi, dunque è anche inutile parlarne. Su di noi possiamo dire che non è stata una nostra scelta precisa; abbiamo attorno a noi amici molto bravi in quel campo, sono stati loro a proporci la cosa e noi abbiamo acconsentito volentieri.
L’altra grande risorsa che una band ha per farsi conoscere è il live. Qual è la vostra esperienza in merito alla possibilità di esibirsi in locali e festival nostrani? Si sente spesso parlare di quanto sia difficile trovare date in situazioni che siano realmente efficaci per il lancio di un prodotto artistico o della possibilità di esibirsi senza essere meritatamente rimborsati…
Prima di registrare il disco abbiamo suonato per un anno nei luoghi più vari, noti e meno noti. I soldi non ci sono, è evidente, ma non ci sono da nessuna parte. In linea generale, suonando in acustico nei posti piccoli si guadagna di più e si “fidelizza” di più, anche se con poche persone alla volta.
La domanda è standard ma doverosa: quali saranno le vostre prossime mosse?
Da febbraio torneremo a suonare in giro. Inoltre stiamo girando un videoclip non tradizionale, in realtà è più un cortometraggio cinematografico, realizzato da alcuni ex-studenti della Scuola Civica di Milano. Crediamo sarà un bellissimo lavoro e speriamo che lo vedano in tanti, naturalmente.