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“Diamonds Vintage” Emerson, Lake & Palmer – Emerson, Lake & Palmer

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Un 1970 all’insegna delle nascite di grandi formazioni seminali della storia del progressive mondiale, tra queste gli Emerson Lake & Palmer , una delle band che più di tutte hanno lasciato un graffio, un segno trasversale nell’enciclopedia immortale dei suoni altolocati, fuori dalle orbite del pop rock, distanti dalle prosopopee del rock classico; Keith Emerson, già tastierista e leader dei Nice, Greg Lake voce e basso già alla corte dei King Crimson e Carl Palmer furente batterista degli Atomic Rooster, decidono di solidarizzarsi in un trio che, sebbene additati da molti come eredi fotocopia dei defunti Nice, cercano di fondare una propria storia, e dopo una effervescente incursione al Festival dell’Isola di Wight – sempre in quell’anno – il loro motto sonoro si impone sulle masse e da li a poco la fortuna benedirà il trio a venire.

L’omomino album è il primo vagito della band, una miriade di suoni ed atmosfere mutuate dalle forti appariscenze sinfoniche della musica classica frammista a stupende incursioni creative d’avanguardia e l’uso basilare di strumentazioni elettroniche come il Moog, il VC7 , Mellotron ecc, stupende macchinazioni di suono per voli e catapulte nell’infinito cosmico; non manca di certo i sintetizzatori che danno quelle atmosfere lancinanti di duelli e corpo a corpo immaginari, urli e strepitii immaginifici, molto più che realistici, ma soprattutto l’effettistica che il trio muove sul palco e dentro dischi futuri che oramai fanno parte della storia delle storie musicali.

Disco in cui la triade si gioca il tutto e splende in sei tracce seminali, dove la predominanza di Emerson sulle tastiere è alta, e che fa da traino alla dolcezza di Lake e alla energia di Palmer sulle pelli sempre più sofisticate, tra suite preziose e assoli personalizzati il disco dipana urgenze e passioni incontrollabili; la rielaborazione del classico di Bela Bartok  “The barbarian”, i dodici minuti che intrecciano acustiche, elettroniche e soliloqui di tasti “Take a pebble”, ancora un classico rielaborato dagli ELP “Knife edge” del compositore Janacek, o la lunga episodica in tre atti (Clotho, Atropos, Lachesis) che fanno parte della mitologia greca con cui “The three fates” si fregia di immortalità.

Con “Tank” Palmer si prende una rivincita a suon di tom e rototom mentre la conclusiva “Lucky man” è una dolcezza di chitarra acustica in cui Lake fissa ai posteri la sua straordinaria figura quasi da mediatore tra la caratterialità spesso prepotente di Emerson e la figura della terza ombra Palmer che, già dall’inizio, non vede di buon occhio il monopolio sonante delle tastiere su tastiere che in futuro si prenderanno l’intera scena di questa storia progressive bella quanto combattuta tra i personaggi primari.

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