Tornano i Non Voglio che Clara e lo fanno con questo L’Amore Fin che Dura, disco denso ma allo stesso tempo rarefatto, in cui risplende la nostalgia per la canzone italiana di una volta, tutta pianoforte, archi, atmosfere plumbee e piovose, rigagnoli di synth, e occasionali comparsate di fiati a inserirsi nell’insieme. L’Amore Fin che Dura è un disco principalmente fatto di parole e atmosfere. Il lato musicale non spicca, se non nella misura in cui dà spazio alle parole, e si incurva e si scansa per accompagnarle emotivamente. E qui sta poi il merito dei Non Voglio che Clara: quello di scrivere dei testi veramente belli, giocati sul suggerimento di emozioni e sentimenti che vengono raramente poi messi in mostra: una poetica dell’ellisse, dello spiazzare, con parole che ci accompagnano sulla strada per poi abbandonarci là sul ciglio senza veramente raggiungere la meta. È il caso di “Il Complotto” (che ricorda qualcosa di Dente), ad esempio, dove le ansie e le paranoie sentimentali del protagonista sono suggerite da una serie di indizi, per poi farci distogliere lo sguardo mentre lui beve “una birra da finire in tutta fretta”. O “La Sera”, altro esempio – e ce ne sono molti, nel disco, una vera vena narrativa – di racconto di un’ansia sentimentale, di paure e paranoie e sfiducia, che culminano con la fuga (ma si può veramente scappare? “Immagina una specie di vacanza sdraiata sulla sabbia di una spiaggia a pochi metri dalle onde e soffia un vento freddo e il sole scende”). Il tutto è raccontato per immagini solitarie, sprazzi di memorie, un racconto “a pezzi” che va ricomposto, e nelle mancanze riempito di emozione, che nei testi – e nel cantato – spesso manca: ciò ci costringe ad elaborare, a sopperire ai vuoti, e ci muove – e commuove – nella ricerca di un senso, di una soluzione, di un finale, felice o infelice che sia.
Ci sono tanti temi che si sfiorano, in L’Amore Fin che Dura, e forse a suggerirci un filo conduttore può essere proprio il titolo: sono storie di fallimenti, di resistenza che non resiste, di abbandono, sfiducia, perdita. Non è un disco allegro, e non sono allegri i Non Voglio che Clara, ma d’altronde l’allegria è sopravvalutata e per quella c’è tanto altro. L’Amore Fin che Dura parla di vigliaccheria (“L’Escamotage”), di speranze forse insensate (“Le Mogli”), di malattia (“Lo Zio”), di uomini e donne impreparati ad affrontare la vita e l’amore (“Le Anitre”). E in tutto questo c’è lo spiraglio de “I Condomini”, dove tutto questo viene rimpicciolito e riproporzionato alle sventure qualsiasi di una ragazza qualsiasi: “Poi le ossessioni svaniscono nel nulla se mi parli di una dieta o dei difetti di uno smalto, con le unghie, con i denti mi attacco ai tuoi di fallimenti e scopro di non esser così stanco”. I Non Voglio che Clara mettono in piedi un bel disco, di parole sussurrate, di mal di pancia e mal di testa assortiti, popolato di personaggi che non sanno bene come comportarsi, non sanno bene dove andare o perché andarci. Il tutto immerso in musiche piano-driven, che ci riportano a certi anni 60 nostrani, dalle parti di un Battisti dei meno conosciuti, e che ci ricordano (l’abbiamo già detto) qualche volta un Dente e, ancora più spesso, i Baustelle. Musiche costruite sulla sospensione, la levità, o ancora la pesantezza di un’atmosfera temporalesca e cupa, ma di certo senza il guizzo personale di musiche che abbiano sempre un’identità propria: se cerchiamo quella, la andremo a trovare nelle parole, nelle storie, delle quali la musica apre la processione, a spargere incenso come nebbia fonda prima che esse avanzino nella loro scomoda, storpia, inadeguata bellezza.