Io non so cosa abbia potuto spingere gli Airportman a pubblicare un album del genere e a volerlo far girare in web e in copia fisica se non, forse, perchè almeno l’idea di base è davvero molto intrigante e interessante. David è il frutto di varie take di improvvisazioni che compongono le sei tracce del CD, completato da un book dove si trovano vari scritti riguardanti “il fantomatico David”, ma sinceramente non si capisce né dove bisogna iniziare a leggerlo e né tanto meno dove finisca. Il proposito dovrebbe essere quella di ascoltare ogni brano leggendo il book ma siamo qui a parlare di musica, è questo che conta più di ogni altra cosa e la musica sarà valutata prima che il resto. A tal proposito, ammetto di non aver avuto il coraggio di ascoltarlo più di due volte e a distanza di una settimana l’una dall’altra, perché questo è davvero un prodotto inquietante, noioso e piatto. Le take alternano tracce di chitarra, batteria, basso e pianoforte più vari lead synth e pad, e sono proprio questi ultimi ad aprire l’album. C’è da dire che non sono utilizzati male, buona la scelta dei suoni e ottimo l’accostamento corale che ne viene fatto; la chitarra invece è priva di qualsiasi senso, a parte per un piccolo riff sulla “Traccia 3” che mi ricorda “Lateralus” dei Tool, anche se non per la somiglianza nelle corde; il pianoforte è monotono e ansiolitico, punta molto sulle note alte e anche in questo caso ha avuto rilevanza solo in una piccola chiusura; la batteria la si sente davvero pochissimo e quando attacca pare dare un po’ di speranza al brano, ma è mera illusione pronta a deludere di lì a poco; il basso..beh, quasi mi viene il dubbio che non ci sia davvero un basso, molto nascosto come è dietro i pad e la chitarra, ma per quel poco che si riesce a captare non sarebbe affatto male se spostato in primo piano. Inoltre, sembrerebbe che il primo ed il secondo brano, così come il terzo con il quarto, siano accomunati, come formassero tra loro una sola traccia divisa in due; il punto è che l’eventuale divisione è stata fatta senza un criterio tanto che se ascoltassimo solo il primo o solo il terzo pezzo resteremmo turbati da una chiusura improvvisa, tagli netti all’ascolto che disturbano non poco; allo stesso modo e per lo stesso motivo anche le aperture del secondo e del quarto pezzo risultano fastidiose, in quanto repentine e di cattivo gusto. Nel complesso è un lavoro studiato per catturare l’ascoltatore e farlo immergere nella sua complessità; il cd va ascoltato senza interruzioni provando ad accompagnare l’ascolto con la lettura del book eppure non è opera che suggerirei a nessuno, anzi, la sconsiglierei vivamente a chi è soggetto al cattivo umore, all’apatia e alla depressione. L’unico punto a favore, la sola nota positiva è per il sound adottato fatto di timbri caldi e intensi; per il resto è poco più di un tre pieno.
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Hell’s Island – Black Painted Circle BOPS
Written by Silvio Don Pizzica• 24 Marzo 2013• Novità
Gli Hell’s Island (formazione nata nel 2002 con un solo Ep alle spalle) devono amare molto i Tool. In questo nuovo Ep, Black Painted Circle i rimandi alla band di Maynard sono più che una semplice affinità eppure non mancano aspetti propri del Grunge stile Soundgarden, cosi come le ritmiche del prog-metal, anche se questi due elementi finiscono sempre in secondo piano. I quattro brani si presentano pregni di una potenza nera e a spiccare (o meglio, a colpirmi) è soprattutto la sezione ritmica curata da Tania Vetere (basso) e Michele Tonoli (batteria). La prima, a dire il vero, sembra limitarsi a mantenere una precisa linea guida senza mai uscire dallo schema predefinito mentre è piuttosto il secondo a farsi carico dell’onere di gonfiare la musica degli Hell’s Island di energia. Le due chitarre (la seconda del vocalist) riescono a stare al passo con efficacia, alternando momenti più sferzanti con pause di scarsa illuminazione, presentando riff e assoli di non troppa personalità anche se carichi e taglienti. Altalenante dunque il lavoro alle chitarre, spesso sopraffatte proprio dal pulsare delle pelli di Tonoli mentre un discorso a sé merita la voce di Roberto Negrini. Buonissima timbrica e intonazione, almeno su disco, ma fin troppo legata allo stile proprio dell’Hard-Rock e dell’Heavy-Metal vecchia maniera (Iron Maiden per intenderci) che punta sull’enfatizzazione delle tonalità più alte piuttosto che nell’altalenarsi tra scenari più gravi e altri più dinamici. La cosa non è un difetto se lo stile è a voi gradito ma, per quanto mi riguarda, finisce per sminuire la musica della sua vigoria furiosa e cupa. Nel complesso, buona esecuzione e scarsa originalità con eccessiva ostinazione sul ricalcare i mostri di Lateralus ma tanti buoni propositi, specie nel tentativo già detto di miscelare al nucleo della musica elementi propri del Grunge. Messi da parte i gusti personali, per fare un buon lavoro manca solo cominciare a camminare senza bastone e avere il coraggio di tirare fuori la propria ispirazione. Se manca questo, la musica muore col passare del tempo.