La dissolvenza wave dei Newdress approda al secondo attesissimo album, “Legami di luce”, forti delle buone reazioni di pubblico e delle compassate atmosfere che il trio – senza spericolarsi in strategie programmatiche o sperimentali – seguitano a mantenere costantemente al freddo/caldo di una mistura pop- elettronica tutto sommata di buon calco.
Ovviamente nulla di nuovo sotto il sole, ma un disco, un’ottima ordinarietà che si presta all’ascolto, che scorre gradevolmente in una radiofonicità retrò che frequenta territori lontani di Manic Street Preachers, Depeche Mode e stanze contemporanee indie-romantic alla Editors con retrobottega sui vicoli della Firenze on the wave 90,s, Moda e Neon su tutto; dieci tracce che rinverdiscono stagioni mai azzittite e che hanno ancora viva quella contagiosa uggiosità ballabile di notti cotonate e con le spalline gonfie “Assorta”, poi dalle rime Prèvertiane nasce “Bisogna passare il tempo” che vede la partecipazione di Andy Fluon dei Bluvertigo in un blitz di sax magnifico e Lele Battista con la voce, “Calore di fiamma”, o di quei pomeriggi nebbiosi passati a filtrare sguardi attraverso vetrine appannate da umidità e sogni storti “Al tatto nel buio”, “Splendi”, il tutto in una risonanza malinconica e pensierosa, bella nel tratteggio amaro lucente nel trasporto elettronico che dinamicizza l’intero registrato, l’intero pathos pieno di significati in penombra.
Il trio bresciano dei Newdress registra il disco in analogico e viaggia sicuro nell’impeccabilità di suoni, ricordi ed echi spleen che non si limitano a descrivere cartoline sonore color seppia, ma esternano – pur non spostando/apportando nulla di nulla sulla scena musicale – la loro natura sognante, onirica, interiore ed eclettica ai favori di una classe stilistica egregia ed elegante, magari un po’ in ritardo sul tempo massimo, ma fiera di esserci ancora e, cosa di non poco conto, che ancora fa la sua porca figura se tirata con il loud a palla.