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Primavera Sound 2016, I loved you but you brought me down

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Parafrasando impunemente gli LCD Soundsystem, tra i protagonisti indiscussi di quest’anno, confesso senza troppi preamboli i miei pensieri a caldo, quando l’edizione 2016 del Primavera Sound Festival si era conclusa da appena poche ore.

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Explosions In The Sky @ Circolo Magnolia, Segrate (MI) 31/05/2016 [PHOTO REPORT]

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Il circolo Magnolia di Segrate (MI) ha ospitato martedì 31 Maggio sul suo palco esterno i texani Explosions in the Sky.
I ragazzi di Austin hanno pubblicato il 1° Aprile scorso la loro ultima fatica The Wilderness, disco che personalmente, per quanto ben suonato e per quanto al suo interno si trovino pregevoli trame, trovo un po’ piatto ma che eseguito dal vivo riesce a trovare maggiore visceralità (inevitabilmente considerando che on stage i ragazzi, come noto, non si risparmiano).

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I picchi emotivi più elevati sono comunque giunti coi brani più datati del repertorio del quintetto tra i quali “Greet Death”, “The Birth and Death of the Day”, “Your Hand in Mine” ed il travolgente finale di “The Only Moment We Were Alone”.
Insomma, anche questa volta le esplosioni, nel cielo e nel cuore, non sono mancate.

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Teho Teardo & Blixa Bargeld @ Lavanderia a Vapore, Collegno (TO) 06/05/2016 [PHOTO REPORT]

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 Il piccolo ed accogliente centro regionale per la danza Lavanderia a Vapore di Collegno ha ospitato il 6 Maggio Teho Teardo e Blixa Bargeld in tour per promuovere Nerissimo, loro ultimo disco uscito lo scorso 8 Aprile per Specula Records a tre anni da Still Smiling. Il duo ha portato con sé, come nel precedente tour, la violoncellista Martina Bertoni, ma questa volta sul palco si sono visti anche un altro violoncello, tre violini ed un clarinetto basso.

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Il live, seppur con qualche inconveniente tecnico (che ha dato vita ad alcuni siparietti tra i protagonisti sul palco seppur non senza un minimo d’irritazione, soprattutto da parte dell’artista tedesco), è risultato piacevolissimo.
Teardo si è mosso appassionatamente tra chitarra ed elettronica mentre Bargeld ha offerto la solita grande performance ricca d’intensità (poetica, romantica, ironica, teatrale) esaltata dall’ottima prestazione della bravissima Bertoni e delle sue colleghe.
Live intenso (ma personalmente meno emozionante del precedente), che ha visto il duo italo-tedesco pescare a piene mani dai due full length fin qui pubblicati come dall’Ep Spring, riuscendo spesso a far salire la temperatura della graziosa sala di Collegno come a portarla a vivere attimi di attentissimo e religioso silenzio.

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King of Stoned vol.2 @ Cellar Theory, Napoli 30/04/2016

Written by Live Report

Sabato 30 Aprile è stata una serata all’insegna dello Stoner al Cellar Theory di Napoli. Possiamo dire che è stato quasi tutto perfetto, dalle band all’atmosfera. Prima di parlare dell’evento, delle fantastiche band e della magnifica atmosfera, è doveroso spendere due parole per l’organizzazione che ha avuto il coraggio di mettere su uno show del genere, i Cattivi Guagliuni,  che già da un po’ di tempo punta su diversi locali partenopei, proponendo ciò che molti non si azzarderebbero a fare.

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Anche questa volta ci propongono un delizioso show degno di nota: il King Of Stoned Fest Vol.2. I gruppi protagonisti sono cinque: Lee Van Cleff, Tuna De Tierra, Teverts, Diana Spencer Grave Explosion e i possenti Kayleth. Mio malgrado, a causa di diversi intoppi non sono riuscito ad ascoltare i Lee Van Cleff e i Tuna De Tierra, sono arrivato al locale intorno la mezzanotte, giusto due minuti prima che cominciassero a suonare i Teverts. Premetto che mi ritrovo in un ambiente carico, con un pubblico colmo di adrenalina e voglioso di divertirsi. La band di Phil e soci si presta a suonare, in questo show, tutto il loro ultimo disco, intitolato Towards The Red Skies.  I Teverts sono un gruppo  con  la testa sulle spalle, sanno ciò che fanno, dunque sanno come divertire, e con “Control” e “The Sanctuary” mettono in ginocchio un locale. “Charles Dexter Ward” ti teletrasporta in un mondo che probabilmente solo uno fatto di allucinogeni può comprendere, mentre con “Shine” ci si scuote e si tira avanti a ritmo di riff. Finisce lo show, passano circa dieci minuti, il tempo di una sigaretta e si sentono le sinistre atmosfere create dai Diana Spencer Grave Explosion. La band proveniente da Bari propone uno Stoner che si mescola ad atmosfere elettroniche e sinistre. Anche loro, come la band che li ha preceduti, suonano per intero il loro EP d’ esordio, 0. La band dimostra di saper tenere il palco, sulle note di “Space Cake” si percepisce la bravura tecnica dei ragazzi, sia per l’ uso delle chitarre che degli effetti. Con “Long Death To The Horizon” ci sono momenti calmi ed altri più aggressivi, anche qui c’è uno strepitoso uso delle chitarre che in sede live fa un grande effetto. “Avalanche” invece, rispetto alle altre due tracce, ha delle atmosfere più marcate. Ascoltata ad occhi chiusi in compagnia di una birra ed una sigaretta riesce ad essere magica. Ci dirigiamo verso la fine del mini festival, si prepara il palco per l’ultimo gruppo: gli attesissimi Kayleth. La band è carica, pregna di grinta e desiderosa di scatenare il Cellar Theory. Tutti i pezzi suonati dal gruppo hanno suscitato forti emozioni, per ragioni di tempo si è scelto di suonare pezzi di Space Muffin e The Survivor ed onestamente ci sono un po rimasto nel non essermi trovato qualche traccia di Rusty Gold. Ad ogni modo i Kayleth non si smentiscono affatto, presentano uno show degno di nota che avrebbe fatto gola perfino agli Orange Goblin. “Mountains” definisce un po lo stile attuale del gruppo, questa canzone dal vivo fa venire la pelle d’ oca con i suoi possenti giri di chitarra. “The Survivor” è un’ altra traccia che ti fa scuotere, il gioco di luci ha aggiunto un tocco di classe non indifferente. Su “Swamp Lovers” il pubblico comincia a spintonarsi e a proporre la sua danza rabbiosa a base di spintoni e spallate. L’apice si è raggiunto con la fantastica “Secret Place”, una traccia possente dall’atmosfera baritonale. Insomma, questo secondo King Of Stoned Fest è stato un grande successo, un evento coi fiocchi che ha accontentato molti fan del genere.

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William Basinski @ Superbudda, Torino, 12/04/2016 [PHOTO REPORT]

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Il compositore sperimentale statunitense William Basinski sta in questi giorni presentando in Italia la sua nuova composizione A Shadow In Time, requiem in memoria di David Bowie. Il Superbudda di Torino ha avuto l’onore di ospitare la prima data di questo breve tour il 12 Aprile.
La serata Ambient Drone è stata aperta dal set del bravissimo Paul Beauchamp che ha preparato il pubblico presente in sala al live dell’artista texano. L’autore delle celebri Disntegration Loops ha poi avvolto la gremita sala con la sua ultima composizione, un’elegia che si evolve lentamente e col passare del tempo si fa sempre più magnetica fino al doloroso, ma estremamente dolce, finale.
Una contemplativa composizione di cinquanta minuti per descrivere l’ombra lasciata nel tempo da una stella già di per sé nera. Basinski sarà nel nostro paese ancora per qualche giorno, chi può non se lo perda.

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Negrita @ Casa della Musica (NA) 17/3/2016

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Carica, grinta ed emozione. I Negrita tornano a Napoli dopo quattro anni e questa volta salgono sul palco della Casa della Musica. Le sensazioni sono tante sia da parte della band che da parte del pubblico che l’ ha accolta. Il 17  Marzo è stato un giorno memorabile per i fan napoletani di Pau e soci. Il concerto dei Negrita comincia in tempo, la scaletta è vasta, si va dai grandi pezzi che hanno visto nascere il gruppo, alle loro hit del momento. Alle 21:30 Pau e soci sono pronti per scatenare l’ inferno, “Ehi Negrita” apre le danze, e il pubblico è già caldo e desideroso di scatenarsi  con la musica della band. Le danze continuano con “War” e “Negativo”, anche queste cariche e movimentate. La terza canzone dello show è la suprema “In Ogni Atomo”, amata da tutti e dunque cantata da tutti. “Poser” è la canzone che divide chi appare da chi invece è; anche questa cantata con la gioia nel cuore. E’ il momento di “Fuori Controllo”, una delle canzoni più riuscite del concerto, la traccia che ha riempito di carica e adrenalina i fan della band.  Subito dopo parte, “Il Gioco”, uno degli ultimi singoli dei Negrita, che, a modo suo, è riuscito a divertire. Arriviamo a “Bambole”, altro grande pezzo, che, detto onestamente, nella versione live suscita davvero emozioni indescrivibili. Con “Hollywood” si chiude la prima parte del concerto, Pau e soci si recano dietro le quinte per ricaricarsi un po’, dopodiché si riparte nuovamente alla grande con un’ altra bellissima canzone: “Radio Conga”, anche questa cantata da tutti.  E’ il momento di danzare e pensare a città calde, pensare al sole, al mare, alla spiaggia con “Rotolando Verso Sud” e lasciarsi trasportare dalle note dei ragazzi. Con “Alzati Teresa” i Negrita dedicano la canzone ad una loro amica che fortunatamente si è ripresa; le possenti chitarre di questa canzone, ad ogni modo, hanno fatto vibrare la Casa Della Musica. Altra grande canzone che fa scuotere il pubblico di Pau e soci è “A Modo Mio”, con questa si vedono ragazzi saltare, ballare e scatenarsi, un vero inno alla baldoria. Lo show si chiude con tre pezzi che hanno fatto la storia: “Cambio”, “Transalcolico”  e la grintosa “Mama Maè”, quest’ ultima quella che saluta Napoli. Questo concerto dei Negrita è stato impeccabile, c’è stato di tutto: divertimento, emozioni e riflessioni. Chi non era presente si è perso un fantastico show.

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Battles @ Quirinetta, Roma 30/03/2016 [LIVE e PHOTO REPORT]

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We’re the Battles and we’re from NYC. David Konopka sale sul palco per primo ed è l’unico a scambiare due parole con il pubblico, ricordando il Brancaleone dell’ultima volta in cui i Battles si erano esibiti in città. Poche chiacchiere e tonnellate di energia tonificante: questo è stata la performance di mercoledì scorso al Teatro Quirinetta, gradevole location a due passi da Via del Corso.

Lo Spring Attitude Festival 2016 è iniziato così, con l’Elettronica della miglior specie, quella a servizio dell’estro Math Rock di una formazione nata come supergruppo ma che viaggia ormai spedita per la sua strada, con ben tre dischi all’attivo nel roster Warp Records, l’ultimo dei quali (La Di Da Di) uscito appena lo scorso anno.

Quella dei Battles è stata una performance a dir poco sorprendente. Che i tre newyorkesi avessero le carte in regola per stupirci c’era da immaginarselo, ma la resa in versione live è stata al di sopra di ogni aspettativa.
Al centro dello stage la batteria di John Stanier sovrasta il pubblico dall’alto di un piatto a mo’ di stendardo, che lui gode nel picchiare senza tregua, grondante di sudore eppure senza perdere in eleganza. A sinistra, le Stan Smith bianche di Ian Williams si producono in un contagiosi tip tap elettrici, impossibile resistere alla silhouette del polistrumentista che si contorce spasmodica mentre si destreggia con una disinvoltura sconcertante tra chitarra, tastiere e campionatori. Dal lato opposto Konopka scandisce i tempi col suo basso che si moltiplica e lavora per accumulo, in un climax ascendente senza soluzione di continuità tra un brano e l’altro, per quasi un’ora e mezza di performance totalizzante.

Per le prossime puntate dello Spring Attitude ci si rivede a maggio. Intanto gustatevi qualche scatto di questa preview pazzesca.

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Calcutta @ Monk Club, Roma | 19.12.2015

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L’hype mi teneva in pugno: al live di Calcutta di cui tutti parlavano dovevo esserci anch’io.
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Philm

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La notizia del concerto dei Philm a Pescara circolava già da diverso tempo nell’ambiente e per questo l’attesa era tanta come lo era pure l’hype generato. Non capita spesso che rockstar mondiali passino per il capoluogo adriatico e bisogna pertanto lodare gli sforzi effettuati dalla Skeptic Agency e dallo staff dell’Orange Rock Pub (che ringraziamo anche per la collaborazione e il supporto) , soprattutto quando eventi di tale portata vengono offerti al proprio pubblico ad un costo davvero irrisorio (soli 10 euro per il biglietto di ingresso) e bisogna anche rimarcare che ad aggiungere un valore indotto al tutto c’è stata anche l’esibizione dei Noumeno, una vera e propria furia sonora proveniente da Roma.

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La band è nata nel lontano 2007 ed è attualmente costituita da Emanuele Calvelli (basso), Emiliano Cantiano (batteria), Danilo Carrabino (chitarre) e Matteo Salvarezza (chitarre). Quattro elementi che fanno della tecnica il loro punto di forza e che hanno saputo intrattenere i presenti per quasi un’ora con un perfetto mix di Prog, Death e Rock. Tante le influenze che il gruppo ama citare nella propria biografia (si va dai Cacophony a Jason Becker, dai Racer X ai Death, dai Rush ai Mr.Big, passando per Symphony X, Meshuggah, Liquid Tension Experiment, Angra, Van Halen e Greg Howe) ma dietro ci sono anche tante ore di sala prove, perché la perfezione si raggiunge sì studiando e riproducendo i propri idoli, ma anche eseguendo i propri brani per decine e decine di volte cambiandone a volte anche gli arrangiamenti.

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Non voglio esagerare, ma l’impressione che si ha ascoltandoli dal vivo, è che la loro preparazione e il loro affiatamento sia pari a quello di colleghi affermati quali PorcupineTree e Toto. Pochi i brani (purtroppo) proposti, ma tanta l’energia diffusa su tutti. Del resto l’organizzazione era stata chiara: inizio dei concerti ore 21:00 e gli orari sono stati rispettati quasi al minuto. Verso le 22:00 è arrivato il tanto atteso momento: sua maestà Dave Lombardo è entrato nel locale rifugiandosi subito nell’area backstage dove a fine concerto non esiterà insieme ai suoi compagni Gerry Nestler (voce/chitarra)

Gerry Nestler

e Pancho Tomaselli (basso)

Pancho Tomaselli2

a concedersi per foto e autografi ai fan accorsi per l’occasione. Nel poco tempo intercorso fra il suo arrivo e l’inizio della performance dei Philm viene anche allestito il banchetto del merchandising dove è stato possibile acquistare i prodotti ufficiali quali magliette, cd e vinile del capolavoro in studio del gruppo, Fire From the Evening Sun, uscito per la Udr nel 2014. La scaletta del concerto prevede ben quattordici canzoni così ripartite: otto estratti da quest’ultimo lavoro, cinque dal precedente Harmonic, pubblicato nel maggio 2012 dall’etichetta fondata da Greg Werckman e Mike Patton, la IpecacRecordings, e un inedito con cui si concluderà la serata.Dave Lombardo esibisce tutta la sua tecnica costruita in oltre tre decadi di carriera, fatte di centinaia di concerti in tutto il mondo e di dischi in band quali Slayer, GripInc. e Fantômas dicollaborazioni con John Zorn, Testament e Apocalyptica. Precisissimo nell’esecuzione, è talmente accurato da concedersi anche un paio di interruzioni per mettere mano al suo drum kit. Sarà infatti indispensabile persino l’intervento di un fan, che gli presterà la chiave con cui accorderà la batteria, e del suo road manager. Il pubblico entusiasta lo guarda con idolatria, ma insieme a lui ci sono anche due validi musicisti senza i quali i Philm non avrebbero natura di esistere. La musica dei Philm è anni luce diversa da quanto fatto in precedenza. Lo stesso Dave Lombardo descrive il tutto in poche parole: “zero improvvisazione, zero fronzoli. La nostra musica ti ruggisce in faccia da inizio a fine. Noi proviamo a spingerci al di fuori della nostra zona di comfort e vogliamo che i nostri fan facciano lo stesso“. Difficile la catalogazione quindi nel loro caso, ma di certo tutto è tranne che Thrash. Qualcuno si chiede inoltre come Dave riesca a produrre tanti ritmi con un drum kit che è tutto sommato nella norma in quanto a grandezza. Ma in certi casi, si sa, la differenza la fa chi sta dietro le pelli. Tuttavia (ripeto) i Philm non sono un leader e due musicisti a supporto ma una vera e propria band. Il livello di preparazione di bassista e chitarrista è infatti invidiabile, entrambi si concedono diversi virtuosismi, cercano di conquistare anche loro il pubblico con la loro carica e il loro entusiasmo; Gerry sprizza sudore da tutte le parti e Pancho non sarà certo da meno (tanto da rimanere a torso nudo nella parte finale della setlist). La fine giunge implacabile verso le 23:00 ma tutti rimarranno molto soddisfatti da entrambe le performance sicuri di aver assistito a un evento che per anni (se non decenni) rimarrà nella memoria storica della città. Pescara e l’Abruzzo intero sono una piazza spesso trascurata dai big della musica mondiale ma per fortuna poi a noi utenti pensano realtà quali la Skeptic Agency e l’Orange che appena qualche giorno dopo hanno proposto anche i Karma to Burn, vere e proprie leggende dello Stoner Rock. Ma questa poi è un’altra storia…

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Thegiornalisti & Maria Antonietta + Chewingum

Written by Live Report

L’estate a Torino è uguale a quella di tutte le città dell’Italia del nord lontane dal mare: il caldo, l’afa, la riduzione delle corse degli autobus che costringe ad interminabili attese, le zanzare e, peggio del peggio, la riduzione dei concerti per dare più spazio ai festival estivi. Ma i festival si svolgono quasi sempre nel fine settimana, e durante le settimana che si fa? Ci pensa la Scuola Holden che, in collaborazione con Hiroshima Mon Amour, ha organizzato per il secondo anno consecutivo la rassegna Stand by Me – Racconti di un’Estate. Stasera tocca all’esibizione dei Thegiornalisti seguiti da Maria Antonietta + Chewingum. Il sole è già tramontato da un po’, ma la band romana non può che cominciare con “Per Lei”(il sole splende anche a Torino) per dare il proprio saluto alla città. L’atmosfera si scalda subito, tanto che il pezzo successivo ci vede ballare tutti con “Balla”, appunto. Il clima è ormai torrido in tutti i sensi e là sul palco lo è ancora di più, lo dimostra anche l’abbigliamento Moda Mare a Positano del frontman Tommaso Paradiso: costume giallo e maglietta. Si rallenta in po’ con “Proteggi Questo Tuo Ragazzo”, ma ci pensa “Fine dell’Estate” (suonata giustamente a metà concerto, è ancora troppo presto per farla diventare un finale) a riattivare il mood mani in alto ed urla al cielo. Si prosegue ancora con altri cavalli di battaglia tratti da Fuori Campo (“Mare Balotelli” e l’ “Importanza del Cielo (Miyazaki)”) ma non mancano anche brani appartenenti ad altri album come“Io Non Esisto” (Vol.1), con la quale i Thegiornalisti tentano di simulare il finale, ma si tratta di una farsa e lo sappiamo tutti, manca uno dei pezzi forti, che abbiamo già cantato in macchina o fischiettato in giro per tutto l’inverno appena trascorso; “Promiscuità” arriva puntuale a chiudere il concerto, portandosi dietro quell’atmosfera estiva che non riusciamo ancora a goderci appieno. Tommaso scende dal palco e viene a cantarla tra il pubblico che gli si stringe intorno in un unico grande abbraccio promiscuo di odori, sudori, Autan sulla pelle di uno che si mescola all’ Off sulla pelle dell’altro. Certo, gambe abbronzate ne ho viste ben poche, abbiate pazienza, ma posso garantire sulle tette sudate e le mani sul culo.

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Poi è la volta di Maria Antonietta e dei Chewingum, la band con cui ha realizzato il suo ultimo Ep Maria Antonietta Loves Chewingum, una raccolta di brani tratti da Sassi e dotati di nuovi arrangiamenti in chiave electro-pop, che talvolta arrivano ad alterare perfino le linee melodiche tanto da rendere alcune canzoni a tratti irriconoscibili. Tutto questo scatenerà un vero e proprio dibattito in auto a fine concerto sulla questione: è giusto o meno alterare così tanto delle canzoni già scritte in un determinato modo, tanto da farle sembrare altre canzoni? A parte un lieve problema iniziale della voce, il concerto procede tra alti e bassi perché costretto a sormontare le montagne di scazzo cosmico di Maria Antonietta, che durante la serata raggiunge almeno tre picchi: uno nel momento in cui ci dice che questo mondo non fa per lei e non riuscirà mai a capirci niente, l’altro quando annuncia che lascerà per un po’ le scene per mettersi a fare la casalinga, e l’ultimo quando nell’annunciare la sua canzone “Con gli Occhiali da Sole” dice che la suddetta le fa schifo ma fortunatamente con i Chewingum ha trovato un modo di suonarla che le piace (e meno male!).

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Verrebbe da abbracciarla forte forte Maria Antonietta. Verrebbe da dirle che noi in questo mondo non ci capiamo un cazzo da più tempo di lei, ma non è il caso di deprimersi e deprimere l’intero universo. Verrebbe da chiederle se anche lei non si stanca di questo personaggio decadente, nato probabilmente dal suo reale carattere (può saperlo solo chi la conosce di persona), ma che tiene ormai le redini di tutta la performance quando invece a cavalcare un concerto ci dovrebbero essere prima di tutto le canzoni. Il concerto si chiude con la piacevole cover di “Fotoromanza” di Gianna Nannini. Mi porto a casa una piacevole serata, qualche dubbio sparso qua e là e le prime gocce di un temporale che ha deciso di non scoppiare più

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Patti Smith performs Horses 27/07/2015

Written by Live Report

Patti Smith performs Horses @ Flowers Festival Collegno (TO) – 27/07/2015

Vedere un concerto di lunedì sera è una pratica tanto inusuale quanto liberatoria. Rende più piacevole l’inizio settimana e meno noiosa la presenza pesante della domenica. Vedere poi uno dei più suggestivi concerti della tua vita dietro casa tua, in una cornice come quella del Flowers Festival, rende il tutto memorabile.
Ad aprire le danze ci pensa la giovanissima Erica Mou che da sola con la chitarra fa suonare un’orchestra mentre ci bacia, tanto per citare una delle sue dolci e soffici canzonette. Non c’è trucco e non c’è inganno, semplicemente Erica con la sua chitarra acustica crea ritmi e arpeggi, mixati egregiamente dal suo piedino sulla loop station. Coraggio e una vocina che sotto sotto ci grida in faccia tutte le sue emozioni.
Dopo il breve set della cantautrice pugliese aspettiamo appena mezz’ora e sul palco salgono quattro uomini canuti e una donna, più canuta di tutti loro. Il pubblico non è numerosissimo ma per Patti Smith e la sua band questo non è certo un buon motivo per abbassare la guardia e per non dare la giusta veste ad uno degli album fondamentali per la storia della musica popolare. I cavalli di quarant’anni fa ricominciano il loro cammino con “Gloria”: epica, teatrale, una preghiera al cielo stellato che ricopre il palco. Tutti fermi, tutti ammutoliti, a parlare ci pensa la Sacerdotessa (ora capisco perché viene comunemente chiamata così e mai appellativo fu più azzeccato). Jesus died for somebody’s sins but not mine, una sentenza di una potenza disarmante, già sentita miriadi di volte su disco, ma che dal vivo prende vita e pare fredda come una lama che trafigge la nostra pelle rilassata. Sarà un lunedì sera forte, intenso, magico, avvolgente come la tragica danza Reggae di “Redondo Beach”. I cavalli iniziano a galoppare dopo la solenne marcia di “Gloria”. Galoppano per scappare, per fuggire via dalle tenebre, per poi viaggiare in un’altra dimensione con la jazzaggiante “Birdland”. Parole e musica si fondono in un’eterna poesia che vaga tra le nostre orecchie. Il senso di smarrimento è forte, il senso di impotenza davanti a tanta bellezza è immenso. Patti ha quasi settant’anni e si dimena come una ragazzina che vive per i suoi ideali e per i suoi sogni, la sua lotta interminabile è pitturata poi da una band spaventosa. A comandare la ciurma un eccelso Lenny Kaye, da sempre insieme a Patti, capace di accarezzare e poi martoriare la chitarra che è, a seconda del mood del pezzo, il suo amore, la sua disgrazia ma anche il suo organo sessuale.
“Free Money” è violenza pura e grande Rock’n’Roll prima del lato B di Horses aperto con “Kimberly”, governata da un bel basso pulsante e di nuovo quel Reggae ossessivo . La voce di Patti è prepotente come quarant’ anni fa, una foga che ci spacca le orecchie. Sinceramente non saprei dire se ci sono state pecche tecniche, stecche, cali di voce o cazzate del genere. Quelle le posso sentire se il mio cervello è attivo e presente. Qui sono stato immerso in uno stato fuori dal razionale, la musica mi ha rapito e in questa dimensione nulla sembrava fuori posto. “Break It Up” è un inno alla libertà e la voce della signora Smith trema leggermente quando ci incoraggia ad aprire le braccia e sentire lo spirito di Jim Morrison che vaga nell’aria. La terra zozza e la polvere di stelle si amalgamano in “Land”, onirica e realista, tirata all’inverosimile. Dieci minuti di incastri ritmici, sali-scendi continui, passaggi che vanno dai richiami Soul di “Land of 1000 Dancers” alla furente parte di “La Mer(de)”, per finire nei cori disperati  di “Gloria”, ripresa con enfasi da un pubblico che è vero portento questa sera (per fortuna ho visto anche meno cellulari alzati del solito!). “Land” è un capolavoro e non si discute, qui i cavalli vanno a tutta velocità per poi rallentare increduli davanti a questo fiume di parole così ribelli e così fuori dagli schemi. Joey Dee Daugherty, altro storico compagno di Patti alla batteria, inventa ritmi e suona nervoso e dolce, con una versatilità che raramente ho incontrato. Per altro Joey si improvvisa pure bassista nell’ultima perla di Horses. “Elegie” è una canzonetta a detta della Sacerdotessa, dedicata a suo tempo a Jimi Hendrix. Ora, ci dice Patti, tutti noi abbiamo perso qualcuno di caro e con questo ci rende parte attiva della canzone, che nel mezzo regala un saluto ad altri grandi amici del mondo della musica, scomparsi anche loro il questi quarant’anni. E così sono applausi a scena aperta per Lou Reed, Joe Strummer, The Ramones al completo nella loro prima formazione e tantissimi altri miti della musica americana.

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Horses è concluso, i cavalli rallentano per poi fermarsi a guardare. E così l’ultima parte di concerto, che pensavo potesse avere il sapore di greatest hits, ci regala perle e non perde affatto il filo logico. “Privilege (Set Me Free)” sembra essere la continuazione di “Break It Up” con quella frase iniziale I see it all before me: the days of love and torment, the nights of rock’n’roll. Tanto Jim Morrison da farlo ricordare ancora una volta. Poi quella imprecazione: goddamn, così violenta e viscerale che gela la spina dorsale. Patti poi esce dal palco e la scena rimane sulla sua band che intona un medley dedicato ai Velvet Underground. Quarant’anni di Horses e cinquanta di Velvet Underground dice Lenny Kaye con il venticello di Collegno tra i capelli lunghi e bianchi. A cantare non solo lui ma anche Tony Shanahan e il figlio di Patti Jackson Smith, abilissimi anche nei numerosi cambi strumento durante il set. “Rock’n’Roll” è una pura sassata, la band poi si rilassa ma gli spigoli rimangono vivi in “I’m Waitin’ For The Man” cantata a squarciagola da tutto il  Flowers. In “White Light, Whit Heat” Patti risale sul palco a battere le mani e ballare, le star le lasciamo a casa questa sera, solo ottima musica e tanto, ma proprio tanto, da imparare.
“Because The Night” è commovente, delicata, dedicata al marito scomparso ormai vent’anni fa. La rabbia però ritorna nell’immensa voglia di ribellione di “People Have The Power”. Alla fine Patti intona “My Generation”, inno immortale che pende dalle sue labbra. Una canzone che farebbe ridere addosso a qualsiasi musicista vecchio. Ma lei no, la fa sua, la rende viva e vegeta. Rivive così lo spirito di Keith Moon e la Sacerdotessa onora un altro highlander del Rock come Pete Townshend. Intanto la signora, con un piglio tanto divertente quanto sadico, masturba la chitarra, staccandogli tutte le corde ad una ad una con precisione chirurgica.
La musica di Patti Smith è ancora bella e dannata, proprio come la sua New York, come i suoi vestiti eleganti ma in qualche modo Punk, come i suoi sputi sul palco, come i sorsi di thè e gli occhiali da vista indossati per leggere poesie sul palco, come i suoi occhi vecchi ma per niente stanchi e come il suo sorriso rassicurante. Fonte di gioia, di vita, di saggezza e di una voglia indescrivibile di libertà.

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