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Roipnol Witch – Starlight
Non è sempre facile scrivere delle recensioni. A voi probabilmente sembra una figata sputare sentenze nel bene o nel male su un progetto per cui qualcuno ha speso soldi, tempo, energie e sul quale, soprattutto ha messo la faccia. A parlar bene di un disco che entusiasma si rischia che poi quell’album faccia in realtà parecchio cagare ai più e si venga tacciati per venduti, per amici di amici di amici e qualsiasi altra porcata sotterranea possa giustificare un errore di valutazione così grossolano. Se se ne parla male, di media, l'”apriti cielo” è istantaneo e parte dalla band, dagli amici-fan della band e si conclude poi quasi subito lì da dove era partito dopo due o tre giorni di battibecchi e insulti social. Con il risultato che molte più persone ascoltano il lavoro in questione, per capire dove stia la ragione. Ammesso che di ragione si tratti. Perché è impossibile essere oggettivi nello scrivere una recensione. O meglio, per chi legge, è difficile essere ritenuti oggettivi quando si recensisce un disco.
Questo preambolo mi serve per mettere le mani avanti. Sì, ormai lo sapete già, suono in una band di sole donne. No, noi non l’abbiamo fatto un tour di presentazione dell’album. Perché no, in effetti non ce l’abbiamo un album. Viene da sé che no, non abbiamo un’etichetta discografica neanche piccola piccola. E sì, sarà impossibile per me farvi capire che quello che scrivo non è frutto di rosicamento, perciò se volete leggere fate pure, altrimenti fermatevi qui.
Le Roipnol Witch vengono da Carpi, in provincia di Modena. Sono tre donne più un maschio in realtà, una roba più alle Hole che non alle Savages. Ma su di loro si legge di movimento Riot, di all-female band, di rock in gonnella, di Rock With Mascara (che è un’idea meravigliosa che le ragazze hanno avuto – e non sono ironica – di unire tutte le band al femminile italiane e organizzare dei live itineranti per tutta la penisola, con scambio di contatti, di competenze, di passioni). Il movimento Riot Grrrl, lasciatemelo dire, era già morto quando Corin Tucker e Carrie Brownstein decisero di suonare insieme e fondare le Sleater Kinney. Ne avevano già le palle piene di essere intervistate in merito alla difficoltà di suonare in un panorama prettamente maschile o alla difficoltà di non contendersi il ruolo di prima donna con la compagna di band. Mamma mia. È difficile accogliere questo disco come una novità nel panorama musicale nostrano solo perché ci sono tre donne che suonano insieme in una stessa formazione (ma noi abbiamo già avuto i Prozac+, per citare solo una band antecedente con un organico simile). Non sarà (ancora!) discriminatorio concentrarsi sul genere nella promozione di qualcosa?
Dal punto di vista musicale, poi, Starlight non è la novità che aspettiamo (da un po’ e non certo e non solo dalle Roipnol Witch), ma è piuttosto un mix di influenze e di debiti artistici. Si va dalle sonorità New Wave della title-track “Starligt” al Pop-Punk degli anni Duemila di “Disagio” e “Oliver Tweet”; tra distorsioni contenute e registrazioni patinate (per un gran disco dal punto di vista tecnico ma ben poco sul piano artistico), si strizza l’occhio alla Berté in “Femme Fatale” e alle Plasticines di “Bitch” in “Be My Love”.
I testi sono alternatamente redatti in inglese o in italiano. Certo, nel 2016 è difficile trovare chi ancora non sa l’inglese e non riesce a capire un testo (per altro scritto da chi non è madrelingua e quindi non cede a slang e citazioni inafferrabili dagli stranieri), ma è evidentemente altrettanto difficile trovare nell’Alternative Rock un’attenzione per le liriche che non riduca il testo a mero espediente fonico (sempre che non si cada nella canzone di protesta dei soliti Zen Circus, Teatro degli Orrori, Ministri e compagnia). L’uso della rima, poi, come in “Non è un Paese per Artisti”, che poteva essere un pezzo davvero ben riuscito, diventa quasi un’irritante soluzione frivola per destreggiarsi nella grande difficoltà dell’accentazione piana della stragrande maggioranza delle parole della nostra lingua, un trattamento più alla Las Ketchup (o alle connazioni Lollipop!) che alla Au Revoir Simone. Per intenderci.
Il Rock femminile italiano continua, secondo me, ad essere debitore di un Rock al femminile d’oltreoceano che era già anacronistico quando è nato. Finché i coretti saranno di sexy Uh uh piuttosto che di contenuti, finché la leggerezza verrà scambiata per frivolezza anche da chi è parte attiva della composizione, finché mascara, minigonne e una rabbia senza agganci storici, senza il sostegno di testi di spessore continueranno a spadroneggiare in quella produzione che viene definita all female anche quanto la definizione non è proprio vera, si continueranno ad avere più Spice Girls che Carmen Consoli, in una dicotomia costante, per altro, tra suore e puttane. Si continuerà a notare più come si vestono queste ragazze per i live che ascoltare cosa vogliono dire. Ci si continuerà a stupire di vedere una donna suonare un basso e maliziosamente pensare anche magari alla bravura nel gestire un manico tanto lungo. Che pena.
C’è di che essere incazzate, come donne, senza doversi nascondere dietro al femminismo. C’è di che essere donne anche senza dover sculettare, di che farsi rispettare senza atteggiarsi necessariamente da streghe. E comunque, perdonatemi, se si vuole fare le suffragette, sarebbe bene avere, prima, qualcosa per cui combattere.
The Please, esce il video di “Even And Odd”
È prevista per l’11 marzo 2016 la release di Here (Maciste Dischi), nuova fatica discografica per The Please, ensemble lombardo capace di creare “una musica che un tempo sarebbe stata plausibile solo nei paesi anglofoni, e che oggi può nascere indistintamente sulle rive dell’Adda come in qualche contea della Virginia.” (Vogue). La band, attualmente formata da Mattia Airoldi, Marco Gilioli, Luca Piazza, Francesca Stella Riva, Davide Lelli, Daniel Tagliaferri, con due tour europei all’attivo e numerose aperture di rilievo, presenta oggi “Even And Odd”, primo video estratto dal nuovo disco, il quinto in studio.
“Dovresti Alzare il Volume” è il singolo di esordio di Sara Loreni
“Dovresti Alzare il Volume” è il singolo di esordio di Sara Loreni ed anticipa l’uscita imminente di Mentha (Maciste Dischi, 14 Settembre 2015). La produzione artistica del brano, così come di tutto l’album, è a cura di Martino Cuman (Non Voglio che Clara) e si presenta come una perla synth pop, pur strizzando l’occhio in maniera sapiente all’alternative rock di St. Vincent e Tune Yards. La regia del videoclip è stata affidata a Stefano Poletti (Baustelle, Tre Allegri Ragazzi Morti, Tricarico…).
Le Ceneri e i Monomi – La Sciarpa
Bologna, classe 1995. Irene Cassarini (voce, chitarra), Luca Jacoboni (voce, tastiere), Andrea Turone (basso, cori) e Nicolò Formenti (batteria) portano alla luce un progetto decisamente interessante, celato dietro un nome altrettanto interessante: Le Ceneri e i Monomi. Appena diciannovenni, danno vita, corrente mese, al loro terzo EP: un disco pienamente invernale, dalle sonorità all’immagine di copertina fino al titolo: La Sciarpa. Il lavoro si realizza attraverso cinque capitoli perfettamente amalgamati in grado di donare un ascolto omogeneo e lineare che in nessun momento riesce pesante e che scorre dal primo all’ultimo episodio pulito e vergine. Apre con un malinconico inno alla fuga, per poi dare spazio a sonorità in perfetta linea con quelle proposte da band quali Il Disordine delle Cose o Amycanbe. Probabile che si tratti di pura casualità, ma mi si perdoni il paragone: è inevitabile. “Aspetti” è il capitolo numero uno e traccia dopo traccia, le due voci si alternano in un dialogo in riva al mare in una notte di novembre, raccontando i disagi ed i sogni di una gioventù in balia degli eventi. Ma non di quelle gioventù bruciate e fredde di cui oggi, bensì di una generazione che non smette di sperare nel domani. Che si tratti di un domani reale o di un domani artistico non ci è dato sapere, ma il messaggio è l’idea, la metafora, non di certo la materialità della cosa. I capitoli successivi si articolano fra chitarre e synth tutt’altro che invadenti ed in perfetta armonia con le voci e la delicatezza della batteria, che trovano la massima ispirazione in “Irene in D maggiore”, capitolo numero tre dell’opera. Dopo soli 19’ e 38’’ i quattro emiliani ci salutano con il brano che dà il titolo all’intero EP: “La Sciarpa”, la perfetta sintesi fra malinconia, speranza, realtà e musica. Si lascia sufficiente spazio ad uno strumentale che fa vibrare corde Alt Rock, ma senza prepotenza e senza stonare nel complesso.
In buona sostanza il disco si presenta candido, ma al contempo dal carattere pretenzioso. Ascoltarli è trovare un quadrifoglio e poi riderci su, dicono di loro. Il messaggio è quello di quattro amici con la voglia di fare musica e null’altro, ma di farla bene. Lievi difetti stilistici sparsi fra i vari capitoli e qualche piccolo errore che soltanto il tempo sarà in grado di correggere. Non siamo innanzi ad alcuna pietra miliare, ma di certo non siamo neppure in presenza di un lavoro da poco. Sono giovani, la strada e lunga e di scalini ce ne sono ancora tanti, ma la cosa certa è che queste Ceneri sanno proprio il fatto loro ed hanno ben afferrato la strada da seguire: una strada fatta di sonorità organiche e composte, leggere, ma sapienti. Dunque, non ci si può aspettare virtuosismi e prestazioni da capogiro, ma, personalmente, ancora una volta voglio accordare fiducia a questi giovani emiliani e lascio un voto di mezzo, a metà fra qualcosa di bello e qualcosa che è soltanto alle prime luci del Sole. Magari chissà, novembre che viene potrei andare anch’io a fare una passeggiata in riva al mare.