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Rainska – Media Stalking
Ci sono voluti ben cinque anni per sfornare il primo disco dei Rainska, Lo Specchio delle Vanità ed altrettanti per la loro seconda fatica discografica, Media Stalking. Prodotto con l’etichetta discografica Udedi, registrato presso gli studi de La Baia dei Porci di Nereto, e mixato e masterizzato presso l’Indie Box MusicHall di Brescia, il disco vede la partecipazione di Totonno DUFF nell’opening “Le Bocconiane”, Maury RFC ne “Il ‘93” e Clode LAZULI in “500 Lire”. Oggi lo Ska (o Bluebeat, chiamatelo come volete) non è certamente più di moda come quando nacque nei primi anni Sessanta quando da esso derivarono altri generi che poi divennero persino più famosi quali il Reggae e il Rocksteady. Lorenzo Reale (voce), Angelo Di Nicola (chitarra e voce), Giulio Di Furia (basso e voce), Lorenzo Mazzaufo (batteria), Pierpaolo Candeloro (sax), Eliana Blasi (tromba) e Martina D’Alessandro (sax) ce la mettono tutta quindi per emozionare l’ascoltatore sin dall’incipit della già citata “Le Bocconiane”.
Il risultato è certamente egregio, ma forse da un gruppo che ha festeggiato il decennale della carriera (pochi vi riescono) ci si aspettava anche qualcosa di più. Gli spiriti di Madness e The (English) Beat per fortuna rimangono costanti con i sette teramani sino alla fine garantendo loro un buon fine. Un ulteriore sforzo poteva essere fatto inoltre anche a livello di testi, talvolta troppo semplici ma certamente di sicuro effetto ed il sospetto è che si sia badato più agli arrangiamenti dei fiati che a tutto il resto. Del resto di esperienza ormai ne hanno accumulata talmente tanta da garantire loro la presenza su prestigiosi palchi al fianco di artisti famosi quali Shandon, Punkreas, Velvet, Piero Pelù, Teatro degli Orrori, Giuliano Palma & The Bluebeaters, Paolo Benvegnù, Linea 77, Vallanzaska, Africa Unite e Bandabardò. Dopo tanti e ripetuti ascolti ci si abitua anche al sound che a tratti ricorda persino quello della premiata ditta Sting / Summers / Copeland, ovvero dei Police, e talvolta persino quello del Punk anni Novanta dei Green Day e degli Offspring. Consigliato a chi vuol passare quaranta minuti circa in allegria, da evitare per chi non sa apprezzare Ska e Reggae.
The Spezials – Crazy Gravity
Ascolto: in riva al mare. Luogo: Barcellona, spiaggia dei nudisti adiacente hotel Vela. Umore: vacanziero e tendente alla traversata alcolica della giornata in solitaria.
Dopo aver messo su il disco dei The Spezials il mio primo pensiero e’stato: “ci vorrebbe un’organizzazione che impedisca alle band di ogni latitudine di applicare il flanger sulla voce (nell’intenzione dovrebbe far percepire la voce come se cantasse in una bottiglia e molto più spesso invece la fa arrivare dal mezzo delle tette di una cicciona nera di Harlem al fastfood dopo la messa della domenica). Ci vorrebbe qualcuno che in giacca e cravatta bussasse alla porta del cantante e lo prendesse a scappellotti sulla nuca urlandogli: “non si fa più”. Flanger e scherzi a parte questo Crazy Gravity e’ un disco davvero godibile, The Spezials sono un trio che nulla ha da invidiare alle band di cui si intravede la scia creativa: Artic Monkeys su tutti. Pezzi tutti molto centrati, sezione ritmica davvero in palla e suono molto ben strutturato. La voce e le tracce di chitarra di Giovanni Toscani hanno nelle corde il pontile sul mare di Brighton, le nebbie dei sobborghi di Manchester e una dose di rabbia in cravatta, un’ostentazione di precisione estetica quasi Mod, pure qualche eco Ska alla Madness. Pochi appunti alla produzione: una certa tendenza, secondo me veniale, a suoni di chitarra che portino l’orecchio più negli Stati Uniti che in Inghilterra e un limite, questo un po’ più grave, nel non lasciare un tema memorabile (forse solo “Two Girls”) alla fine del disco. Mille buone idee musicali. Ogni pezzo ha spunti a sufficienza per tre, troppo per una band che dichiara la sua vocazione Dance Rock. Peccato, perché le buone premesse ci sono tutte. I The Spezials non devono far capire ad ogni costo e in ogni singolo pezzo quanto siano bravi , la distanza per dimostrare l’ arte si misura in decenni, non in minuti.
I secondi dischi, comunque, esistono per questo.
Da Hand in the Middle – L’Education Sentimentale Avec Le Temps et Les Mots
I Da Hand in the Middle sono secondo definizione del loro agente e biografo “un mistico collettivo Jungle-Blues di Jonesboro, Arkansas, e attualmente operativo nella Valle Umbra Sud” che già dalle prime note del disco dimostrano il loro valore.
Rimarrete infatti stupiti ed incantati dalla opener “El Carcion Fumante” che alterna ritmi veloci ed impetuosi alla quiete più totale includendo anche un breve intermezzo cantato in vecchio stile anni venti.
“Hong Kong Stories” strizza invece l’occhio (ops l’orecchio!) al cantautorato americano che si fonde lievemente alla tradizione francese ed il cui videoclip (in cui compaiono anche Luca Benni e Matteo Schifanoia) è ad opera del regista Federico Sfascia il quale ha dichiarato a riguardo: “Hong Kong stories è stato per me l’occasione di esplorare i più profondi e nascosti meandri dell’animo umano, palesare le connessioni intangibili tra destino e autoconsapevolezza, due percorsi intimi i cui confini si confondono quasi sessualmente, in un pulsante scontro frontale con una realtà esteriore ostile e violenta, inconciliabile con il supremo atto di ribellione che è il peccato originale dell’affermazione della propria individualità invertita”.
“The cook” si rifà invece ad atmosfere anni ottanta stile Madness per far da apripista alla blueseggiante “Study Hall” che sembra esser uscita direttamente dalla penna di Robert Johnson.
La ballabile “Cain” riporta subito l’allegria ma è nulla al confronto di “55 Fire” che ricorda le colonne sonore dei mitici film di Bud Spencer e Terence Hill.
L’acustica “A Ballad of the Mulberry Road” dà un tocco di classe in più all’intero lavoro (che non appare mai sottotono) ma la suite “(Who’s gonna shave) The barber” (abilmente divisa in Pt.1 e Pt. 2) non è da meno.
“Vagner Love” cita nel titolo il famoso calciatore brasiliano del Cska Mosca ed è memorabile per i suoi riff di sax che incantano l’ascoltatore.
Il pianoforte è invece l’elemento portante di “You two look a lot alike” (che purtroppo dura poco più di due minuti) e ben si connette nei rumorismi di “In Tango” che si conclude con un applauso (autocelebrazione di un capolavoro?).
E poi arriva a malincuore la fine con “Cain va en France” ma la voglia di rimettere il cd dall’inizio verrà di sicuro a tutti…