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Manuel Volpe – Gloom Lies Beside Me As I Turn My Face Towards The Lights

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La notte dell’artista marchigiano Manuel Volpe è sempre fonda, carica di suoni e lamenti che non hanno mai fine, un torbido odore di poesia e alcool di ristagno che profuma, uno sfondare di ore piccole a rimuginare dentro amori, illusioni, fantasmi di bordelli andati “The Bored” e lontananze Dostoevskijane “Penumbra” che paiono arrivare ad ogni cambio brano. Un titolo improbabile per un ascolto prelibato, Gloom Lies Beside Me As I Turn My Face Towards The Lights è il disco/debutto  di questo artista ricercato, che dalle mille esperienze alle spalle riesce ad approdare a queste tracce (nove) che puntano a stupire e lo fanno, un calembour stilistico che  – abbracciando le enfatizzazioni di Waits “Maria Magdalena”, qualcosa di uno zingaro DeVille “The Latest Rose”e tutti i fondi di bicchieri di un riflessivo e meticcitato Capossela, conosce perfettamente la strada e la tramatura di un’opera delle intenzioni, un registrato profondo e incentrato sul flusso dei pensieri e della attrazione definitiva di chi la vita “la vive” vivendo veramente.

Patos e sangue misto sono la parte forte del registrato, sensazioni infilate tra anima e cuore, una impennata di qualità che infiamma subdolamente l’orecchio, sonorità e generi che scaldano di malinconica dove tutto è oscuro, sognante e inquietamente dolciastro, regno di melodie e aliti che puzzano in faccia ad angeli venduti: è come stare al centro di un film girato in seppia, una tracklist killer che t’uccide dentro per la bellezza maledetta che t’accolla, colorazioni mutuate da una strabiliante familiarità col nero, murder-ballad dell’auto-distruzione d’anima che si fanno meccanismo sensuale al pari di una rivalsa debitoria di gran pregio. L’artista Volpe – qui accompagnato da una sfilza di ospiti – caratterizza l’intero lotto  con un flusso magnetico senza precedenti, come una eterna incazzatura soffusa col mondo intero, amarezza e constatazioni acidognole che nelle smandolinate di “The Woeful Harbour” e nello scaramouche mediterraneo, diabolico e funeral  stornellato di chitarra acustica, sbuffo di trombone e mandolino “Porto Empedocle” ha il massimo della sua espressione, del suo fasto ammusato.

Manuel Volpe si presenta proponendoci una versione aggiornata dell’ottimo, un’ inconfondibile puzzo da bassifondo che se respirato fino in fondo offre una smagliante essenza  di tutto quello che non si vede e soprattutto si sente di giorno, il banalissimo giorno.

Immenso!

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