Marco Lavagno Tag Archive

Pills nädal kakskümmend kolm (consigli per gli ascolti)

Written by Articoli

“Le Pills rappresentano il piacere che la mente umana prova quando gode senza essere conscia di godere.”

 

Silvio Don Pizzica
Surfer Blood – Pythons    (Usa 2013)   Power Pop, Alt Rock     3/5
Un disco freschissimo, estivo e con melodie eccezionali. Perfetto per accompagnarvi per i prossimi tre mesi. Pop in salsa Smiths, Vampire Weekend e Strokes ma nessuna idea che possa dirsi minimamente nuova.
Human Thurman – Bye Bye Umani   (Ita 2013)   Alt Rock    3,5/5
Un disco che può sembrare confusionario per la moltitudine di influenze e diverse scelte stilistiche utilizzate ma che, con gli ascolti, rivelerà essere proprio questa sua diversità di spirito il punto di forza.

Max Sannella
Soul Asylum – Hang Time   (Usa 1988)   Rock  4/5
La favola di 4 adolescenti di Minneapolis che trovano l’asse personale sulla via degli Husker Du.
Soul Coughing – Ruby Vroom   (Usa 1994)   Ibrid Rock   4/5
Background dalle forti tinte off, un art rock accattivante quanto sperimentale. Seminali.
The Style Council –  Cape Bleu   (Usa  1984)    Pop Wave   3/5
Spregiudicatezza e nuovi sodalizi stilistici per una band retrospettiva e dal grigio doc.

Maria Petracca
The Muse – Showbiz   (Uk/Usa 1999)  Alternative Rock   4,5/5
Le origini. Il primo album in studio. Quando le chitarre distorte di Matthew Bellamy arrivavano come lance appuntite al petto, e là rimanevano, immobili. Sospese tra stupore e dolore.

Lorenzo Cetrangolo
Brunori Sas – Vol. Uno   (Ita 2009)   Cantautorato, Pop   4/5
Vincitore della Targa Tenco come miglior esordio, il Volume Uno (autobiografico, per la maggior parte) del cosentino Dario Brunori ha fissato su disco lo standard cantautorale “vintage” di questi anni: canzoni semplici, arrangiamenti retrò, recording lo-fi. Da suonare sulla spiaggia.
Transplants – Transplants   (Usa 2002)   Rapcore, Hip Hop   4/5
Piccolo gioiello a metà strada tra punk e hip hop, una creatura ibrida (un “trapianto”) che vede Travis Barker di Blink-iana memoria alle pelli e un caleidoscopico Tim Armstrong (dai Rancid) a quasi tutto il resto. Il disco scivola che è un piacere tra beat californiani, ironia sopra le righe e durezza da ghetto.
AFI – Sing The Sorrow   (Usa 2003)   Alternative Rock, Post-Hardcore   3,5/5
Gioiellino da quella scena americana di punk preciso, melodico, pettinato, un po’ plastificato. Alcune idee ingolosiscono (“Death of Seasons”), altre ci lasciano un po’ interdetti. Se siete rocker (o punx) duri&puri, girate alla larga.

Marialuisa Ferraro
Foals – Holy Fire   (Uk 2013)   Alternative   5/5
Praticamente da sola la tripletta Inhaler, My Number e Bad Habit fa la forza di quest’album. Suggestioni diverse per genere, ispirazioni, contenuti letterari, sensazioni.
Queens of The Stone Age – …Like Clockwork    (Usa 2013)   Stoner Rock    2/5
Ssssse. A me loro non fanno impazzire e ok, sarò partita prevenuta, ma questo disco pretende di essere ruffiano per piacere un po’ a tutti e finisce per non piacere a nessuno, per di più mi trasmette davvero molto poco…

Ulderico Liberatore
Gary Wrong – Knights of Misery   (Usa 2013)   Total Punk   4/5
Stufi delle solite canzonette Pop Punk?! Ecco una band singolare che potrà resuscitare in voi lo spirito
lo spirito antagonista e anarcoide distrutto dai Green Day.

Diana Marinelli
Genesis – Foxtrot   (Uk 1972)   Rock Progressivo   5/5
Bellissimo Rock targato Genesis per un album emblema degli anni settanta. Oltre che a consigliarne l’ascolto mi permetto di consigliare anche di ascoltarlo su vinile.
Myranoir – Ely è Leggiera   (Ita 2013)   Dark Psichedelico, Ambient   3/5
Myranoir nella realtà è Valentina Falcone, musicista che scrive musica dall’età di quattordici anni. Una musica Cantautorale, Psichedelica, con una puntina di Dark e soprattutto coraggiosa nell’affrontare temi importanti come l’anoressia.

Simona Ventrella
Fine Before You Came – Come Fare a Non Tornare   (Ita 2013)   Post Rock    4/5
Dopo una pausa di circa un anno e mezzo il quintetto milanese ritorna con un mini-album. Cinque brani che svelano una nuova veste del gruppo, più matura, cruda e ricca. Il disco è scaricabile gratuitamente dal loro sito, un motivo in più per ascoltarlo.
Omosumo –  Ci Proveremo a Non Farci Male   (Ita 2013)   Elettro Rock   3,5/5
Progetto b-side per Dimartino, Roberto Cammarata e Angelo Sicurella, che si cimentano in questo EP con attitudini e sonorità distanti dalle forma canzone ai quali siamo abituati. Elettronica , synth, chitarre indiavolate e ritmiche da dancefloor, e un bellissimo video del brano omonimo, tutto direttamente da Palermo.

Marco Lavagno
Goo Goo Dolls – Magnetic   (Usa 2013)   Pop Rock   2,5/5
Più ottimista e diretto del precedente “Something For The Rest of us”, ma anche più gommoso e molle. La formula spesso vincente questa volta si infrange in uno scontato sorriso. L’onestà per fortuna rimane intatta.
Lucio Dalla – Canzoni   (Ita 1996)   Pop, Cantautorato   3,5/5
Anche nei momenti meno ispirati Dalla tira fuori interpretazioni come “Ayrton” (pezzo scritto da Paolo Montevecchi). E con estrema naturalezza il pilota ora vola in cielo e persino il suo bolide prende corpo. Una di quelle canzoni per cui vale la pena comprare un album.

Read More

Pills dudek du semajno (consigli per gli ascolti)

Written by Articoli

“Ascoltando Pills calme e malinconiche, quando, nell’isolamento di una malattia, il nostro passato si riduce a pura materia di contemplazione, siamo come trasportati in un senso dell’esistenza alto e rarefatto. E nelle Pills è qualcosa di una giustizia austera e tuttavia compassionevole, che toglie ogni cruccio al ricordo delle nostre sconfitte, e amorosamente ci distacca dai nostri stessi desideri..”

Silvio Don Pizzica
Sigur Rós – Kveikur    (Isl 2013)   Post-Rock, Dream Pop     3,5/5
Un tre e mezzo che domani sarà un quattro. Gli islandesi riescono a reinventarsi senza distruggere la loro natura. Un disco fremente come lo era Takk ma meno furbo di Takk, capace di suscitare atmosfere belliche con sonorità industrial per poi sfociare in paesaggi di Ambient delicatissimo. Una sorpresa, visto che non è proprio il loro esordio
These New Puritans – Field of Reeds   (Uk 2013)   Art Rock, Post-Rock   4,5/5
Dopo un esordio non brillante e un’ottima seconda prova, la band britannica sembra giunta al capolavoro di una carriera. Devo ascoltare ancora tante volte, prima di dare un giudizio definitivo ma quelle contenute in Field of Reeds più che canzoni suonano come opere d’arte. Disco dell’anno?
BeMyDelay – Hazy Lights   (Ita 2013)   Folk Rock   3/5
Per l’italianissima Marcella Riccardi un lavoro difficile da inquadrare, tra rimandi al Folk, al Blues e alla psichedelia, evidentemente sincero e pieno di sè che però  non riesce a trovare una propria dimensione compiuta, lasciandoci in un limbo privo di emozioni

Max Sannella
Ritmo Tribale – Psycorsonica   (Ita 1995)   Rock   5/5
Da Milano la risposta alle allucinazioni americane, un pezzo di storia rock italiano fondamentale degli anni 90
La Crus – La Crus   (Ita 1995)   Rock Cantautorale   4/5
Forte accento di cose importanti nella nuova canzone italiana, Giovanardi marca stretto poesia ed intimità d’autore
Mau Mau –  Soma La Macia   (Ita 1992)    Etno-Rock   4/5
Il circus fantasmagorico di Morino, tra calienti tracciati e ritmi world la rivoluzione meticciata per nuove frontiere sonore

Maria Petracca
A Toys Orchestra – Technicolor Dreams   (Ita 2007)   Alternative Rock   4/5
Ci sono sogni sonori di tutti i tipi in questo disco: tranquilli, malinconici, movimentati, aggressivi, macabri ed infine incubi che provocano veri e propri attacchi di panico. Tante tonalità emotive, in perfetto stile Technicolor
The Cure – Wish   (Uk 1992)   Rock, Dark   4,5/5
Quando la musica ha un carattere schivo ed introverso al quale si alternano momenti di euforia. Quando “To Whish Impossible Things” ti sbatte in faccia la triste verità: i tuoi desideri sono rimasti semplicemente tali. Quando lanceresti le gambe al vento gridando al mondo “Friday I’m in Love”

Lorenzo Cetrangolo
In Zaire – White Sun Black Sun    (Ita 2013)   Psichedelica, Rock    4/5
Disco concettuale e per gran parte strumentale per una band capace di portarti in viaggio lungo sentieri poco battuti ma molto interessanti. Da trip
Mamuthones – S/t   (Ita 2011)   Etnica, Ambient, Drone   3,5/5
Riti tribali e atmosfere inquietanti. Un disco da non ascoltare nella solitudine della notte. Tornate uomini primitivi tra le ondate ritmiche e ossessive di questi sette brani indefinibili
Ehécatl – S/t   (Fra 2011)   Stoner Doom, Psichedelica    3,5/5
La sezione ritmica dell’apprezzatissimo trio stoner francese Blaak Heat Shujaa sforna un disco di “stoner doom precolombiano”. Ascoltare per credere

Marco Lavagno
Linkin Park – Minutes to Midnight    (Usa 2007)   Rock, Crossover   3,5/5
Rick Rubin mette le mani su una miniera d’oro ma dal cuore di plastica. Plasma da dentro e dona linfa e personalità a vene sintentiche. I Linkin Park finalmente escono dalla triste omologazione del mainstream americano
Jovanotti – Ora   (Ita 2011)   Pop, Elettronica   5/5
Questa elettronica è calda, fuoco puro. Un’artista che trapassa i decenni e le mode con il suo immortale sorriso

Ulderico Liberatore
Christine Plays Viola – Innocent Awareness    (Ita 2008)   Darkwave   4/5
Uno modo originale di essere. I CPV hanno portato avanti un genere in cui in Italia non avrebbe scommesso nessuno ma loro ce l’hanno fatta ad uscire dal bel paese e presentarsi sui palchi europei con grande stile

Diana Marinelli
Carnicelli Martelli – Chitarra Pianoforte    (Ita 2012)   Musica Classica    5/5
Due importanti concerti di musica classica, eseguiti dal chitarrista siciliano Marco Vinicio Carnicelli e la pianista bolognese Alice Martelli. J. Rodrigo e Mario Castelnuovo Tedesco per una tecnica classica impeccabile.

Read More

Vietcong Pornsurfers – We Spread Desases

Written by Recensioni

Beata ignoranza. Quanto mi piacciono i gruppi così diretti e sfrontati. Pochi fronzoli e buona musica rabbiosa. Sbava dalle casse e mischia la sua saliva con il sudore che si genera già dal solo tasto play del lettore CD.
I Vietcong Pornsurfers (e il nome è già un “fottutissimo” programma) vengono dalla Svezia ma per loro fortuna non si sente troppo. Tutto si può dire ma non di certo che siano i soliti cloni di Backyard Babies, The Hellacopters o Hardcore Superstar.Certo, i maestri scandinavi echeggiano non troppo lontani nelle sonorità dei quattro ragazzacci, ma la base rimane ancorata al vecchio Garage Punk americano e all’Hard Rock più veloce e grezzo che ci sia. Allora onore a leggende come Iggy and The Stooges, MC5, Misfits e Motorhead. Il risultato? Rozzo come un topo di fogna e frenetico come un bolide ai 200 kilometri orari.

Il combo è giovane ma ha la faccia come il culo, la sfrontatezza giusta. Lo dimostra allo start con “Marcel”, chitarre distorte al punto giusto (scelta molto apprezzata), cassa e rullante da cardiopalma e la voce di Tom K a metà tra James Hetfield e Rob Tyner.   La bomba è servita e pronta ad esploderci tra le mani. Semplice e d’effetto: nulla di nuovo eppure un sound spensierato, alcolico e per nulla scontato o banale. Come altre band del recente passato i Vietcong Pornsurfers danno grandi speranze al loro genere. Con una terribile facilità sparano fuori un prodotto convinto e moderno, nonostante in tutto questo ci siano i soliti vecchi e ritriti giri di accordi Punk Rock. La stessa sensazione mi è capitata negli ultimi anni con Buckcherry, The Gaslight Anthem e Gotthard. Tutte grandissime band, a mio avviso troppo sottovalutate.

Paragoni a parte, l’album scorre e la sensazione dall’inizio alla fine è quella di correre a più non posso per scappare da una miriade di dobermann incazzatissimi. Nessuna ballata, tutte tracce killer. La botta è reale e lo stomaco la sente tutta. Dall’inizio bassoso molto Danko Jones di “Dead Track” alla viscerale distorsione vocale (lo conoscono bene il Garage eh?) di “Selfdestructive” che sfocia in un assolo impazzito simbolo di una produzione molto libertina ma non per questo meno efficace della miriade di prodotti iperlimati e infiocchettati che invadono la scena. Degne di nota “Deseases” (accompagnata da un divertentissimo video, guardate sotto!): inno alla musica di Lemmy Kilmister, ma anche grido unito per tutti i disadattati che ancora oggi credono in quella illusione che prende il nome di “Rock’n’roll”. Già perché la sensazione è che i “surfers del porno” non abbiano alcuna intenzione di piacere a qualcuno se non a loro stessi. Anche il singolo “I Hate Your Band” non scende a compromessi, nessun ammorbidente, nemmeno quando emergono i coretti più Glam/Sleaze del ritornello.
Non mi resta che rispondere alla domanda che mi affligge ogni volta che ascolto un disco del genere. Il Rock è davvero morto? La risposta più spontanea che mi viene è: vaffanculo, no!

Read More

Fermoimmagine – Foto Ricordo

Written by Recensioni

Devo ammettere che non sono mai stato un grande estimatore della New Wave. Ma la frase de “La Storia Infinita” nel libretto del cd del duo romagnolo Fermoimmagine mi ha fornito sicuramente uno stimolo ad affrontare questo ascolto con un naturale sorriso. E devo ammettere che i muscoli facciali difficilmente si rilassano al passaggio delle undici tracce e il sorriso vince la noia apparente che aleggia in alcuni momenti e perfida spunta ad assopire gli entusiasmi di un progetto sincero, coraggioso e indubbiamente appassionato. Si perché chi osa oggi proporre questo tipo di sonorità “anni 80” (catalogare una musica come “anni 80” suona quasi dispregiativo, vero?) non può che essere un appassionato. E chi unisce queste sonorità a parole centellinate e intelligenti non puo’ che essere coraggioso.

Foto Ricordo porta a contatto universi lontanissimi, linee che fino a ieri credevo parallele, binari destinati a non incontrarsi mai. Due su tutti? De Andrè e Depeche Mode. Insieme per mano in un onirico viaggio a mezz’aria, pilotati da un gelido vento che ci punge la faccia.  “C’è chi si batte per tornare a casa” è l’inizio freddissimo di “Quello Che Siamo” e il preludio di un vento che non ha alcuna intenzione di scaldarci le ossa, ma nonostante questo sotto sotto ci riesce, con spirito battagliero che brucia il sangue nelle vene. Nonostante i tetri paesaggi autunnali, la resa sembra non essere contemplata. Intanto le chitarre si mischiano ai synth e ad elaborate basi elettroniche, tutto suona a dir poco anacronistico ma non per questo fuori dal nostro tempo. Arrangiamenti acuti e scelte di suoni indubbiamente azzeccatissime, con quel filo di calore che non guasta le mie papille gustative, troppo sensibili al gelo dei sintetizzatori. Degna di nota la cantautorale “Fuori Dal Finestrino Dell’Auto”, dove il tema madre del disco entra prepotentemente: dannato tempo qui non ci dai nemmeno un istante per un timido ricordo.

“Le Nuvole” è l’episodio migliore del disco colorato dalla spensieratezza della seconda voce femminile di Naima, protagonista anche nella teatrale (Capovilla anche qui?) “Ozio”, frutto più fresco della produzione dei Fermoimmagine. Foto Ricordo perde solo un po’ di smalto verso la metà adagiandosi in scelte a mio avviso (da profano?) monotone. Ma la fine è col botto e “Due Fragilità” ci regala la migliore interpretazione melodica dell’album. Il sorriso che potrebbe parere fuori luogo in un contesto del genere, per fortuna ritorna dopo qualche cedimento. E il sorriso si rinvigorisce prepotente durante l’ascolto ogni volta che mi cade l’occhio sulla frase del maestro Michel Ende, che alla decima lettura mi sento in dovere di riportare pure qui. “Puoi continuare ad avere desideri fintanto che ti ricordi del tuo mondo. Quelli che vedi qui invece hanno fatto fuori tutti i loro ricordi. E chi non ha più un passato non ha neppure un avvenire”. Questo disco sarà freddo e triste ma come si fa a non intravedere nel gelido vento un’esplosione di speranza?

Read More

Deep Purple – Now What?!

Written by Recensioni

Time, it does not matter”. Così inizia il diciannovesimo album in studio di una delle band più longeve e influenti della storia della musica. E nonostante la riverenza nel trovarmi davanti ad un mostro sacro, mi viene subito da storcere il naso. Della magica e barocca chitarra di Ritchie Blackmore non rimane nemmeno una timida ombra, il maestro John Lord ci ha lasciati da poco (e comunque aveva lasciato la band già nel 2002), sebbene il suo suono in bilico tra sacro e profano viva ancora nelle mani del fido Don Airey. Per non parlare della voce di Ian Gillan, gli uragani provocati dai suoi strilli forsennati ora sono carezze vellutate.
I Deep Purple ormai da diversi anni sentono il peso della loro storia. Presente che costruisce mura destinate a sgretolarsi sulle troppo solide basi del passato. Solide basi che rimangono principalmente grazie alla sezione ritmica Ian Paice/Roger Glover ancora ruggente e ben oliata.

“A Simple Song” apre le danze con la sopracitata frase incriminata e ci bruciamo già in partenza il miglior pezzo del disco. Il dolce incastro melodico chitarra/voce sfocia in un sornione e solido Hard Rock. Niente di nuovo, ma quanto basta ai vecchi affezionati per dare una spolverata al vecchio giubbotto di pelle. Ritmiche storte e arie orientali in “Out The Hand”, che ha un po’ la pretesa di suonare come la nuova “Kashmir” dei Led Zeppelin, ma risulta goffa e scade in frequenti e freddi tecnicismi. In “Hell to Pay” finalmente un po’ di Rock’N’Roll e, sebbene la voce canti un’ottava più in basso rispetto a quaranta (ho detto quaranta!) anni fa, i ragazzi ci ricordano che si fa della grande musica del diavolo anche con l’organo da chiesa. Ma il momento di entusiasmo dura poco e tornano la ruggine e il Funky tanto amato da Steve Morse.“Body Line” viene salvata solo dalla melodia e da una simpatica interpretazione di Ian Gillan, la vera sorpresa del disco. Niente più urla forsennate, un’inesorabile e onesta presa di coscienza. Il tempo passa eccome e lui rallenta la macchina, senza fretta (“mi stendo nel lungo prato, me la prendo comoda e faccio riposare i piedi […] siamo qui con tutto il tempo del mondo”, “All The Time in The World”) e con quel sorrisetto furbo ed esperto ci fa intendere che è ancora li a divertirsi. E onore a chi si diverte ancora alla tenera età di 67 anni!
Il disco scivola via senza graffiare e senza neanche provarci più di tanto, tra ripetitive e noiose melodie bluesaggianti, veloci ed inutili assoli (va bene modernizzarsi ma la scelta di Steve Morse, compiuta ormai quasi vent’anni fa, non l’ho mai digerita bene), eterni intermezzi dal sapore epico (“Apres Vous”), stacchi da far entusiasmare i migliori amanti della tecnica. C’è quasi da chiedersi cosa serve ad una band del genere fare ancora dischi. E ringrazio che Robert Plant non abbia mai voluto intraprendere ghiotte e lunghe reunion coi Led Zeppelin.

Certo la voglia sarà ancora tanta e l’ammirazione rimane immensa per questi dinosauri, ma ormai non sono altro che lenti e stanchi triceratopi. Falso dire che il tempo non conta nulla, il viola ormai è troppo sbiadito per essere profondo.

Read More

Neve su di Lei – Cerco la Bellezza

Written by Recensioni

Cosa c’è di più incantevole di un adulto che rimane bambino? Si nutre di fiori, di accordi soffici, di coloratissimi orizzonti, di storie da raccontare e di melodie appena sussurrate, con la voce di chi non vuole disturbare troppo. Per rendere ancora più surreale la situazione, il contorno è condito da abiti e stile da hippie. No non siamo a Woodstock nel ‘69 ma a Genova nel 2013.
Cerco la Bellezza è il primo disco di Neve su di Lei, progetto naturale quanto ambizioso di Marcella Garuzzo, ragazza che nasconde dietro la semplicità delle dodici tracce arrangiamenti e intrecci musicali visivi e tattili (grazie anche alla preziosissima collaborazione e produzione di Ruben). E il suo Cantautorato prende spunto dalla purezza degli antichi cantastorie e viene plasmato grazie alla genuina ingenuità della fanciulla.

Le farfalle iniziano a diffondersi già ne “La Mattina Nel Quartiere Dei Fiori”, tutti i colori vengono a galla e la sensazione è quella di una storia raccontata una domenica mattina da una solare bambina ai suoi genitori ancora nel lettone.“Cosa Sono io?” è vera a costo di risultare banale. Ce ne fossero di canzoni che ci ricordano in questo modo quanto è meravigliosa la banalità: “i secoli non hanno cambiato le donne e gli uomini, tutto questo che facciamo è per essere amati”. Le venature di malinconia non mancano nel grande cuore della ragazza, potentissima antenna per tutte le emozioni che virano in aria, catturate e soffiate nell’etere dalla soave e tenera voce. “Cerco la Bellezza” sfuma in una lacrima quando Marcella ci dice: “ogni tanto sono triste come un bambino che ha un eroe che sa di non poter raggiungere”. La bellezza noi l’abbiamo trovata e il cielo si riempie di altri colori ancora.

La sensazione è di continuo e lento movimento, ben sottolineato in un intenso e allo stesso tempo spensierato brano: “Un Viaggio, Stanotte”. Tutto si muove ma torna sempre a casa. Questo non è un semplice percorso ma un viaggio. Una strada dove annusare la natura, da percorrere a piedi nudi, con il fitto manto erboso sotto di noi che ci accompagna verso una accogliente e sicura dimora.

Il finale del disco è ancora più scarno e incentrato su parole ben pesate. Favole che Neve su di Lei fa sue e trasmette con la naturalezza delle sue corde vocali ormai quasi confuse con quelle della sua chitarra acustica. Fiabe vicine e lontane: la triste storia del Vajont in “Torneranno Alla Terra”, storie di paesaggi incantati, di misteriosi e curiosi personaggi (“Il Segreto dell’Oleandro”), racconti tra sacro e profano (“Rural Indie Camp”).
In Cerco La Bellezza sicuramente mancano i graffi, la malizia e le grida tipiche della musica giovane e ribelle che inonda la nostra webzine. Ma questo disco con la sua totale pacatezza e con la sua pace interiore rilassa mente e corpo. Insomma se i risultati sono questi speriamo che Marcella non cresca mai, di adulti disillusi e brontoloni siamo già strapieni.

Read More

Il Terzo Istante – Forselandia

Written by Recensioni

Forse esiste ancora musica da conoscere. Forse gli orizzonti da esplorare non sono finiti. Forse la terra non è già tutta battuta e non c’è bisogno di riadattare il solito ed ormai arido paesaggio, sperando che i cambi di stagione conferiscano a lui una veste nuova. No, forse c’è ancora chi indossa una muta da esploratore in cerca di terre mai calpestate, con il rischio di rimanere impantanato in sabbie mobili. Forse è caparbio e impavido, o forse più semplicemente ha fortuna, in ogni caso quello che a noi interessa è che riesce ad ottenere un ottimo risultato con la magnifica naturalezza della musica pop.

Il secondo EP dei torinesi Il Terzo Istante ha dunque un titolo azzeccatissimo. “Forselandia” esprime al meglio la scoperta di un nuovo mondo, ma anche di nuove indecisioni, di vecchi vizi e nuovi desideri e (forse?) di una società che vuole cambiare, che trova in nuovi orizzonti nuove speranze ma (forse?) non ha nessuna intenzione e stimolo nel raggiungerle. Tutto ancora molto vago e per questo tremendamente affascinante. Certo che se l’analisi si ferma al suono, la band suona terribilmente nuova e moderna e non solo perché sfrutta tutte le nuove diavolerie del caso (leggete la loro intervista a Rockambula sul crowdfunding e capirete come sono all’avanguardia i ragazzi) ma perché, a partire dallo strampalato combo batteria-chitarra-tastiera, il loro sound è molto semplicemente fresco e spiazzante.

Le quattro tracce dell’EP spaziano tra la psichedelia (sempre ben dosata e tenuta al guinzaglio), il rock più viscerale e la melodia dei classici italiani, mai ripudiati o intrappolati nel muro di suono. La voce di Lorenzo De Masi (anche alle tastiere) graffia la schiena già nel ballo storto de “Il Primo Difetto”, pezzo molto intelligente e dedicato al vizio del fumo. Il ritmo non si smorza e si continua con la danza tetra di “C’è Chi Non Muore”, a graffiare qui ci si mettono anche le strisciate sulla chitarra taglientissima di Fabio Casalegno, a dire il vero spesso fin troppo tagliente nell’economia del suono. Anche la mancanza del basso a volte lascia un po’ la bocca impastata, marcando una leggera mancanza di amalgama e di pasta sonora. “Ogni cosa è di Tutti” è spietata e cinica ma non scade nelle solite banalità da giovane disilluso. Le ritmiche storpie di Carlo Bellavia aumentano il senso di angoscia e ci portano barcollanti ad una frase epica: “di una cosa sei certo, nel 70 il rock’n’roll era già morto”. Certo che ascoltando questo pezzo mi viene da pensare che non sia proprio così.

L’EP si chiude con la ballata “Forselandia”. L’equilibrio è più che mai precario e l’idea geniale dello xilofono a questo punto del disco sembra quasi naturale. Spunta l’ombra malefica degli abusatissimi Radiohead, ma Il Terzo Istante paga il suo scomodo tributo e supera il pesante paragone facendo vincere la propria entità in un finale ricco di delay, suoni lontani e un crescendo che ci lascia sospesi in questo nuovo mondo. Attendiamo ancora qualche altra cronaca da questi abili e astuti esploratori. Abbiamo trovato qualcosa di nuovo all’orizzonte. Forse.

Read More

Giovanni Truppi – Il Mondo è Come te lo Metti in Testa

Written by Recensioni

Quando avevo 10 anni sognavo di essere il frontman di una band. Imbracciavo un righello da 60 cm, di quelli azzurri semi trasparenti e fingevo di suonare inventando canzoni sul momento che mi sembravano fichissime, in grado di ammaliare l’orda di fanciulle scalpitanti in prima fila che nitidamente distinguevo nel mio favoloso immaginario. Non sono certamente un esperto di psicologia giovanile ma mi sembra chiaro che la fantasia e la spontaneità sono tratti sani e comuni in un bambino di 10 anni. Ma cosa potrebbe capitare se questo bambino invece arrivasse ad avere 30 anni?
Potremmo chiederlo a Giovanni Truppi che sforna uno dei dischi più originali e allo stesso tempo spontanei degli ultimi tempi. Musica a cui puoi dare qualsiasi aggettivo, ma non di certo “indifferente”. Vivace e violento, bipolare (bastano davvero in questo caso due polarità?), un caos descritto e regolato dalla più complessa equazione matematica. Un mondo in cui tuffarsi dentro vestiti per uscire nudi e privi di ogni barriera con l’esterno.

Il Mondo e’ Come te lo Metti in Testa è il secondo album del cantastorie napoletano e racconta “favole di vita vissuta” con la semplicità disarmante di un bambino un po’ troppo cresciuto che però amplifica ancora tutte le sensazioni. Non esistono filtri: ci sono nomi e cognomi, ci sono nella sessa canzone lo stereo portato a spalle stile anni 80 e Gesù Cristo, ci sono i ministri ladri, “I Cinesi”, il maglione del collega Sabino e le più banali domande sull’esistenzialismo (“Quante volte dovrò nascere? Speriamo che bastino”). Una zuppa indecente che io berrei in continuazione, nonostante le parole di Giovanni si incastrino a martellate e le melodie sfiorino spesso la cacofonia.
Nell’universo del cantautore partenopeo spiccano sicuramente dei piccoli capolavori come: i divertenti e acuti giochi di parole di “Nessuno” (accompagnata anche da un suggestivo video che trovate qui sotto); la stortissima “La Domenica” dove Giovanni e il suo compagno Marco Buccelli alla batteria inventano incastri ritmici da vertigine. Poi degna di nota è certamente “Giovinastro”, risata triste sul nostro incertissimo futuro, pezzo a dir poco geniale composto da Gianfranco Marziano (“da grande voglio fare il giovinastro e so che non farò bene nemmeno questo”).

Il disco è inoltre prodotto in modo perfetto: piano, voce, chitarra e batteria. Niente altro, tutto scarno e scheletrico a sottolineare l’immediatezza di una musica impulsiva. Giovanni cerca di non immagazzinare troppa roba nel cervello, in modo da esportare subito ciò che passa di li senza perdere troppo tempo in inutili elaborazioni. E questo è il risultato: dalla mente si va dritti sulle tracce audio. Forse questo non è un gran disco di musica pop, ma rimane un autoritratto di suprema bellezza.

Read More

Crowdfunding: seconda parte con intervista a Il Terzo Istante

Written by Articoli

Crowdfunding: dopo l’ intervista al team di Musicraiser che trovate qui, ecco la seconda parte con l’intervista a cura di Marco Lavagno alla band Il Terzo Istante , una delle tante che hanno scelto questo metodo di finaziamento/vendita/promozione e quindi le conclusioni di Silvio Don Pizzica.

Il Terzo Istante è una promettente band di Torino, in pista da meno di due anni e che ha deciso di finanziare la produzione e il mixaggio del suo secondo EP tramite Musicraiser. L’iniziativa è stata premiata con un successo strepitoso che ha portato i ragazzi a guadagnare quasi il doppio del previsto! Facciamo due parole con la band.

Ciao ragazzi, innanzitutto benvenuti su Rockambula. A chi di voi è venuta l’idea di finanziare l’EP tramite il crowdfunding? Siete stati spronati da qualche vostro collaboratore o avete fatto di testa vostra?
Ciao a voi e grazie dell’invito. Il merito di averci convinto a percorrere questa strada è tutto di ME. LA (www.associazionemela.com), realtà con cui abbiamo iniziato a collaborare da qualche mese.
Loro non si occupano soltanto di musica, ma anche di comunicazione, arte in generale e organizzazione di eventi, e lo fanno attraverso un approccio particolarmente intelligente e moderno.
Dunque sono piuttosto sensibili alle opportunità che ci offrono sia le nuove tecnologie sia la crisi di settore.

Che cosa avete promesso in cambio ai vostri raisers? Per altro in italiano mi verrebbe da chiamarli tristemente “finanziatori”, invece viene scelta la parola “raiser” che è molto più romantica: coltivatore, allevatore. Trovate sia azzeccato come termine?
Abbiamo promesso un po’ di tutto: intanto con qualsiasi offerta si riceveva, come punto di partenza, il nostro nuovo EP con il proprio nome stampato sopra, nella sezione dedicata ai finanziatori. Poi con offerte a salire si potevano ricevere premi accessori, come lezioni private di uno a scelta dei nostri tre strumenti, una cena offerta e cucinata dalla band, partecipazione al video del primo singolo, registrazione di una cover a scelta in esclusiva, ecc..
Insomma abbiamo dato spazio alla fantasia..
In merito all’etimologia della parola, al di là dei risvolti pratici o romantici crediamo che la cosa importante sia cogliere il concetto e la filosofia di base del crowdfunding: non si tratta di elemosina, non si regalano dei soldi. Si compra un bene o un servizio, spesso esclusivo, prendendo parte (anche con una cifra piccolissima) all’opera di finanziamento di un progetto in cui si crede.

E’ vero che ci sono band che promettono cene o foto autografate? Ma davvero si riescono a fare soldi in questo modo? Pensavo che gruppi come i Backstreet Boys non avessero bisogno di Musicraiser…
Sì, ci sono band che offrono anche questo tipo di premi. Ad esempio….noi. J
Non si tratta di fare soldi, il concetto di partecipazione è del tutto differente. Qui si prende parte a un progetto e si comprano, come dicevamo prima, beni esclusivi.
Una cena con l’artista che si sta finanziando, o perché no una sua foto autografata, rappresenta un bene/servizio esclusivo, non acquistabile sul mercato.
Ovviamente in Italia, siamo appena agli inizi, per cui il crowdfunding è qualcosa che per ora viene preso in considerazione principalmente dagli emergenti e l’appetibilità di questo tipo di premi è proporzionale alla fama dell’artista in questione, ma ovviamente anche i relativi prezzi…
Nel momento in cui, come avviene già ora in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, anche gli artisti mainstream dovessero adottare questa metodologia di finanziamento, siamo pronti a scommettere che ci sarebbero orde di fan pronti a spendere per una cena o un concerto privato di Tiziano Ferro, piuttosto che degli Afterhours.
In merito ai Backstreet Boys ti dobbiamo smentire: siamo anche noi una boy band e ne abbiamo avuto bisogno.

Non vi sembra che chiedere soldi ai vostri supporter sia una forma un po’ vile per finanziare un progetto? Soprattutto senza garantire nulla nell’immediato? E se poi l’EP non convincesse i vostri “allevatori”?
Abbiamo seguito con interesse tutte queste polemiche (molto “italiane”) sul crowdfunding e sinceramente non capiamo proprio cosa ci sia di vile. Comprare la musica non ci sembra vile. Perché è di questo che si tratta. Ed è quello che abbiamo sempre fatto fino a quindici anni fa (anzi molti di noi lo fanno ancora): comprare musica a scatola chiusa, semplicemente perché credi in un’artista o in un progetto.
La differenza è che puoi decidere se comprare semplicemente il cd, oppure fare una cena con la band, farti registrare da loro una cover, ecc..
C’è un’opportunità in più: quella di condividere un’esperienza con degli artisti che stimi, oltre alla possibilità di prendere parte attivamente al processo di creazione di un’opera artistica.

Ma una band emergente non dovrebbe pelarsi le mani a suonare in garage e poi finanziarsi facendo miriadi di concerti anche nei peggiori bar di periferia? Non è meglio a questo punto mettere su qualche cover e suonare di più in giro piuttosto che fare soldi sul web?
Innanzitutto ci fa sorridere il riferimento al “far soldi”. Non c’è niente di più lontano dall’attività musicale in questo momento…
In secondo luogo, potremmo concordare se ci trovassimo nel migliore dei mondi possibili. Spieghiamo meglio: se la musica live fosse pagata decentemente (o se venisse semplicemente comprata la musica su qualsiasi supporto), probabilmente non avremmo bisogno del crowdfunding. Ma dal momento che non è così (e non è una questione di cover o pezzi originali) le nuove tecnologie ci vengono in soccorso. Non è così difficile o dispendioso organizzare una campagna crowdfunding.
Puoi continuare a provare nei tuoi garage, fare miriadi di concerti e nel frattempo farti la tua campagna in contemporanea.
E’ chiaro che la musica è e deve rimanere il centro della questione: ma su questo non avrei molti dubbi visto che il musicista moderno si “rovina la vita” per la semplice esigenza di esprimersi in musica attraverso i dischi e la musica live, senza peraltro ricevere quasi nulla in cambio.

Grazie mille ragazzi! In bocca al lupo e complimenti per questa nuova band. Poi mandateci una copia di questo famigerato EP che cercheremo di mettervi sotto torchio per valutare se i vostri raisers hanno speso bene i loro soldi.
Grazie a voi sia per l’opportunità che per i complimenti!
Poi vi manderemo anche il disco da recensire!

Tutto è chiaro ora. Forse. E invece no. Perché, anche se sono sempre più favorevole all’idea base del crowdfunding, i dubbi vengono continuamente. Uno mi è venuto proprio ora, a dire il vero. A che serve l’”obiettivo”? Se arrivo al 90% invece che al 100% che problema c’è? Perché la band deve rimborsare (sempre che non si autofinanzi sottobanco; vedi prima parte)? In fondo ha comunque venduto qualcosa. Questa è solo una delle domande che mi passano per la testa ma forse sono io che mi faccio troppi problemi. Con tutti questi dubbi crescere è complicato. Forse. O invece no?

E a voi nessun dubbio?

Read More

Settembre Nero – La Dittatura Del Piano B

Written by Recensioni

Duro come l’asfalto, decadente come un antico palazzo abbandonato in periferia e spaventoso come il gruppo terroristico da cui prende il nome. Questo è il sound dei Settembre Nero. E non dimentichiamoci il nero, senza alcuna sfumatura se non quella del grigio nebuloso di una sigaretta ormai sull’orlo del filtro.
La band nasce un paio di anni fa da un’idea di Nino Tosh, musicista torinese non di certo nuovo alla scena underground per aver militato in band come Petrol, Mambassa e Betty Page. Il progetto viene portato avanti e trova poi il suo giusto equilibrio nel 2012 con l’ingresso nella band di altri due nomi altrettanto conosciuti nel panorama piemontese: Vito Guerrieri alla batteria e Franco Cazzola alle chitarre e tastiere.
Il suono e l’attitudine non sono nulla di nuovo, ma quanto c’è una botta del genere è difficile rimanere indifferenti. E la botta la si assapora maligna e assetata in questo album di esordio, che come ogni album di esordio che si rispetti, pecca di magnifica immediatezza e irrazionalità. Testi ermetici, ripetitivi, martellati in testa da melodie semplici e ritmiche da hangover violento. Pochissimi fronzoli e un cuore metallico che pompa sangue sporchissimo.

L’apertura con “Boia di sé” ci fa subito capire che di sfumature di colore non ce ne saranno molte e le luci rimarranno spesso spente, gli unici barlumi arriveranno dal fuoco e dai lampi. L’elettronica fa da padrona e il lavoro dei ragazzi dietro i beat assassini è stato magistrale. Il corpo si sbatte da una parte all’altra di un corridoio stretto, avanza strafatto a zig zag con gambe pesanti e testa ubriaca di rumore. “Fiore Nero” presenta una tastierina dai richiami new wave sotto l’uragano di chitarre, “Che Cosa Dire Di Noi” pare affievolire un poco la violenza inaudita in cambio di melodie più ragionate e articolate, senza rinunciare alla azzeccata cantilena martellante. I nervi non si rilassano mai.
L’episodio più riuscito rimane “Sexy Kitten #1”, perfetto esempio di vento analogico dal sapore rock’n’roll mischiato alla digitale e onnipresente tastiera robotica (dal vivo fidatevi che questo pezzo spacca in due gli stomaci). Il suono sembra sempre impacchettato e un po’ ovattato e rimane forte energia potenziale pronta ad esplodere, quasi come se fosse fiero di vestire underground, onorato di stare nel sottosuolo.

Oltre le sette tracce sono poi presenti vari remix più o meno tamarri ad aumentare il nostro vagare in questo claustrofobico labirinto. Il tunnel sembra riecheggiare e rimbombare anche al suono della cover Beatles “Helter Skelter”, perfettamente riadattata al suono nero di Settembre senza rinunciare ad una chitarra figlia della vecchia scuola. Si il rock’n’roll rimane vivo e vegeto anche in questo tornado digitale, e chi l’avrebbe mai detto?

Read More

Le Storie – Vieni Con Me BOPS

Written by Novità

Forse suona un po’ anacronistico questo primo album dei romani Le Storie, ma ha dalla sua un atteggiamento quieto e pacato, privo (per fortuna?) di pretese rivoluzionarie. Sta al suo posto, ben delineato e non vuole strafare. Ligabue, Ruggeri, Rats sono solo i primi nomi che mi vengono in mente per descrivere quello che è un classico tuffo negli anni 90, un tentativo (direi anche riuscito) di suonare Rock in Italia, senza sfoderare i nervi implacabili dei Ministri o senza seguire onde latineggiati alla Negrita. Una via facile certo, ma non per questo così fuori dal tempo e innaturale.

“Guardando in Cielo” ci fa intuire che quando riabbassiamo gli occhi puntati verso l’alto, vediamo una lunga e deserta highway americana (e questa fuori moda non ci andrà mai). E nonostante gli incastri vocali forzati e l’assolo eccessivo (non è l’unico purtroppo) il pezzo si salva dignitosamente. “Uomini di Niente” paga il suo tributo alla grande musica popolare italiana, guarda indietro fottendosene delle tendenze. Racconta con meticolosità la vita di mare in un testo che sembra estrapolato dagli antichi archivi dei Nomadi, “Sfido Dio con le stelle e il sole”, la canzone sembra dalla rima sempliciotta ma mantiene alta la dignità, certo il finale stride un po’, forse più perché inatteso che per altri motivi. Il temporale che anticipa “Lontano” è invece solo presagio di una semplice e bella canzone, ben arrangiata nonostante qualche eccessivo fasto tecnico e suoni di chitarra che (si questi ora si!) suonano anacronistici.

In fin dei conti se volete liriche illuminate, canzoni graffianti, carisma da poeti decadenti questo non è il disco per voi, ma se vi accontentate di buone e semplici storie e di un buon esercizio di rock’n’roll all’italiana, siete nel posto giusto.

Read More

Audio Magazine – Audio Magazine BOPS

Written by Novità

Che bella la musica spensierata. Pronta a strapparti un sorriso già dalle prime note e tenertelo stampato in faccia anche solo per una timida mezz’ora. Una serata sulla spiaggia, un falò, vento del Sud, una chitarra e una musica che suona nell’aria più che nelle mani o nelle bocche.
I romani Audio Magazine sono ciò di cui ha spesso bisogno la canzone italiana: un’onda anomala, positiva che ci trasporta su una riva incantata dove la fiesta è appena iniziata. I ragazzi servono un cocktail fresco di Reggae (che forse paga il suo tributo più al revival salentino che alle terre jamaicane) e melodia Pop (ma che più Pop non si può), senza mai scadere però in retorica o facili costumi. E allora “Toda la Vida” e “Sono Qui” sono brani estivi che mi piacerebbe davvero sentire dalle gracchianti casse dei lidi, mentre “Cambierò” azzarda un sound più moderno e aggressivo che mescola alla perfezione le voci di Andrea Cardillo e Francesco Carusi (ok, inutile nasconderlo: è vero che la timbrica di quest’ultimo ricorda Marco Masini?).
Fuori dall’isola felice “Un Sole Spento”, malinconica conclusione che ci riconsegna alla triste realtà. Forse questa potevano risparmiarcela, in un EP tutto fiesta e costume da bagno la ballatona stona e fa da “guastafeste”. Ma non facciamo gli schizzinosi: in un paesaggio stracolmo di nuvole, un EP così rimane un raro raggio di sole che fa risplendere tutti i denti che sfoderiamo al suo ascolto.

Read More