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Fab (e i Fiori) – Nonmiscordardite

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Ecco il primo capitolo sincero e pulito dei Fab (E i Fiori). Si intitola Nonmiscordadite ed approda sul mercato discografico per mano di Spigolo e Brutture Moderne (quest’ultima storica label dei Sacri Cuori). Romagnoli in tutto e per tutto, in attività relativamente da poco ma già con un bello zaino di riscontri spesso incoronati proprio al MEI di Faenza dove hanno anche ricevuto il riconoscimento come miglior band emergente. Questo disco quindi è tanto, nel senso che porta dentro di se vita, strade, persone e un entusiasmo difficile da contenere in poche righe suonate. Un quartetto decisamente acustico dove intervengono cajon, percussioni, violoncelli chitarre acustiche e poco poco altro. Un lavoro interamente analogico o quasi, naturale e senza editing perchè – riportando proprio le loro parole – “non si è voluto restituire al disco qualcosa che sia contro natura o fuorviante dal loro reale impatto sonoro”. Quindi “Nonmiscordardite” è un disco grezzo (nel bel senso del termine), verace, un lavoro di campagna più che di città, di terra più che di metallo industriale. Certo che mantenere lo stesso mood per tredici brani è pericoloso per l’attenzione e la curiosità ma è anche vero che ci vuol arte e mestiere a rendere vivere e innovativa la creatività così a lungo. Un disco che nel brio di un cantautorato molto artigianale canta l’amore da un punto di vista certamente adolescenziale ma anche e soprattutto un amore mai scontato e mai banale, mai pop, attuale nelle sue tecnologie di comunicazione – vedi anche il nuovo video del singolo “Pose (la Regina del Telefono)” – e quindi nelle tematiche di cui si rende complice. Un disco anche diviso per mood: se da una parte troviamo quella leggerezza capace di prendersi un po’ in giro dall’altra troviamo una marcata vena di malinconia, si incupiscono i toni e per una strana ragione si diventa anche più maturi. La frontiera della nuova canzone d’autore quindi non è fatta solo di dissonanze e di dischi mal registrati purché distorti di elettricità. Non è fatta di musica pop e di citazioni colte di maestri d’altri tempi. La nostra musica d’autore, quella nuova, è anche fatta di leggerezza, che non deve per forza rivoluzionare o insegnare una nuova via. Magari, per uno strano motivo che non serve neanche spiegare, Fab (e i Fiori) ci regalano solo la semplicità di far musica per gioco prima e per mestiere poi. Il resto in fondo, come è giusto che sia, non dovrebbe tanto interessare.

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New Babylon – My New Baby

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Prendete cinque ragazzi romani che hanno il Rock nelle vene, in presenza maggiore persino del sangue. Ecco a voi materializzarsi i New Babylon, gruppo con quasi un decennio di musica alle spalle che dopo essere tornati con una nuova line up nel 2012 dopo un breve periodo di pausa arrivano finalmente alla prima prova discografica dopo circa due anni. Cinque brani per l’ep My New Baby interamente registrato, mixato e masterizzato da Danilo Silvestri e Daniele Scaramella al Green Mountain Audio presso lo Stex Sound di Roma. Puro Hard Rock tipico degli anni Ottanta concentrato in soli diciotto minuti di assoluto piacere sonoro! Ecco come si potrebbe sintetizzare questo lavoro in appena una riga… Del resto se queste canzoni fossero state pubblicate in un disco dei Gund N’ Roses o degli EnuffZ’nuff non avrebbero certo fatto cattiva figura…
Davvero strano se si considera le origini musicali di Matt e Pane che fecero parte dei thrashers Enemynside… Ma Wolf (voce), Matt (chitarra e cori), Jonna (chitarra e cori), Pane (basso e cori) e Sergente (batteria e cori) ce la mettono davvero tutta e dimostrano infatti il loro valore sin dalle prime note di “Can’t Stop”, in cui il gruppo scarica tutta la sua energia sonora.
“Any Given Day (Big Brother)” inizia con una splendida apertura (davvero azzeccata!) di batteria che scandisce il tempo e dà il La al resto del gruppo ed è sinceramente un peccato che duri solo poco più di tre minuti. La titletrack è certamente l’episodio migliore del disco, sia per il suo sound grezzo sia per le sue liriche e per i riuscitissimi backingvocals; in “The Big House of Love” invece colpisce subito il grande lavoro effettuato dalle chitarre soprattutto negli assoli, semplici ma mai banali e sempre duri ed incisivi. La favola giunge purtroppo al termine con “One Step Further” in cui ci sono persino rimembranze di Iggy Pop and Stooges.
Probabilmente i New Babylon non avranno inventato nulla di nuovo con questo disco ma come dicevano i Rolling Stones: “It’s only Rock ‘n Roll but i like it!”. E piacerà pure a voi (statene certi!). PS: Le ultime notizie sulla band riportano un nuovo cambio di formazione con l’entrata alla voce della nuova cantante Cris che ha già esordito col gruppo dal vivo e che sarà al microfono anche per la prima trasferta in Inghilterra al The Iron Road di Evesham il prossimo 11 aprile.

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Moonerkey

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Con un anno di ritardo (parlando solamente del titolo) raccontiamo il futuro. Il concetto del continuo in un disco di bel Pop Rock italiano, l’esordio cantautorale che si fa conoscere con lo pseudonimo di Moonerkey. Equilibri sottili e quel senso liquido del tempo che passa… ed è necessario fermarsi in una fotografia. In rete il video del singolo di lancio dal titolo “La Pelle”. L’intervista per Rockambula:

Moonerkey. Iniziamo proprio da questo nome. Da dove prende origine?
Il nome letteralmente significa “la chiave di colui che vaga distrattamente, che guarda per aria”, insomma di una persona che si perde nei suoi pensieri, quale può essere una persona che compone musica. Per chiave si intende la chiave di lettura del mondo, lo sguardo sulle cose, la loro interpretazione.

Pop Rock, per dirla in breve, ma già dal primo ascolto c’è molto altro. Quanto e cosa hai rapito dall’Italia e cosa invece dal resto del mondo?
Dall’Italia ho tratto la rabbia, le delusioni, le speranze, le gioie della vita di tutti i giorni ed i ricordi. Dal resto del mondo la curiosità per i diversi approcci alla vita e certamente alla musica. In termini di riferimenti musicali per fare solo qualche nome, posso dire che in Italia sono un grande estimatore degli Afterhours ed in particolare della scrittura di Manuel Agnelli; inoltre mi sento certamente influenzato dalle suggestioni dei CSI. Fuori dell’Italia i Pearl Jam hanno un ruolo importante, così come la poesia urbana di Mark Lanegan o quella di Hugo Race.

Il primo singolo e video “La Pelle”. L’immaginario di una ballerina, il cambiare pelle, il rumore di fondo che sta cambiando. Come si legano assieme questi elementi?
La ballerina all’inizio ha gli occhi rigati di pianto e si spoglia dei vestiti di scena, abbandona la sua pelle, per conquistare una dimensione più propria, per appartenersi; alla fine del ballo infatti ha il volto pulito, sereno. E’ l’immagine di una rinascita, della straordinaria sensazione di avere ancora una volta energia e voglia di inseguire ciò che si vuole davvero. Ciò che tutti noi possiamo provare quando avvertiamo che nel profondo qualcosa si muove (il rumore di sottofondo che cambia) e decidiamo di non ignorarlo.

Mi ha colpito il brano “Il Tempo della Volgarità” dove mi è parso di scorgere una certa Italia anni ’60/‘70, almeno nella costruzione melodica. Sbaglio?
Sinceramente non l’ho scritto pensando a quelle atmosfere, almeno coscientemente. Ad ogni modo, la melodia fu scritta di getto, in una condizione di emozioni debordanti, dato che proprio in quei giorni si consumava la fine di una storia d’amore di cui parla il testo.

Bellissima l’ultima traccia “Chissà se Vedi Adesso”. Un brano minimalista, intimo e dolcissimo. Altra dimensione, altro spirito e altro cambio di scena. Ma dovendo scegliere, quale habitat sonoro ti rispecchia veramente?
Tutti quelli contenuti in 2014 mi rispecchiano perché, così come sono “vestite”, le canzoni riflettono le sfaccettature dei miei stati d’animo e dei miei gusti mutevoli per forme espressive ora più morbide ed intimiste, ora più dirette e più aggressive.

Il concetto del “Continuo”. Dalla copertina al filo conduttore di tutto il progetto. Mi piace. Viaggio come andare o come arrivare? Moonerkey verso dove sta andando?
In questo caso il viaggio è continuare ad andare, cioè proseguire verso una direzione avendo ben presente da dove si viene. Io sto andando anagraficamente verso la maturità ed artisticamente verso una nuova adolescenza.

2014. Un bel modo per iniziare il 2015. Quando sarà l’alba del 2016? Che continuo per questa musica ci sarà secondo te?
Credo di avere materiale, idee e valide collaborazioni per poter mettere in cantiere già il secondo disco, se non anche il terzo. Nei live ad esempio suoneremo anche brani inediti che faranno parte dei lavori futuri. Questo per dire che sento di avere molto da comunicare e condividere nei prossimi anni. Allo stesso tempo mi auguro che questa città riesca ad offrire alla musica originale spazi, non necessariamente materiali, qualificati.

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John De Leo

Written by Interviste

John De Leo è un artista eclettico dalle eccelse doti vocali, personaggio di spicco della musica italiana e con un fedele seguito di fan; ha da poco pubblicato il suo nuovo lavoro, Il Grande Abarasse ed ha gentilmente accettato di rispondere ad alcune domande per voi lettori di Rockambula. “180 grammi” : Intervista a John De Leo.

Partiamo dal titolo del nuovo cd Il Grande Abarasse… Cosa significa?
Semplificando molto, secondo gli studiosi, la polivalenza semantica dell’espressione – oramai in disuso – potrebbe essere traducibile in molteplici sensi.* Riassumo qui di seguito quelli più accreditati e comprensibili per il linguaggio odierno, Abarasse può significare: un punto di rottura, possibile sinonimo di “corto circuito”; un’apocalissi; un pensiero deplorevole innescato da paura; una rinnovata forma di attaccamento alla vita causata da uno spavento; un evento che costringe le persone a relazionarsi fisicamente; un sinonimo di Caos; quando riferito all’andamento politico, pare alludere genericamente alle distorsioni del concetto di Democrazia; un’arcaica forma di saluto comparabile a “arrivederci”; con Abarasse, s’intendono anche le inimmaginabili conseguenze, o “brutture sociali”, causate da crisi culturale; una fine inaspettata per quanto prevedibile; sorta di dolce perdizione assoluta essenzialmente indotta da ozio; stadio di stasi ansiogena dovuto a tempo perduto; una esplosione, più che altro immaginata; Abarasse o “Abababa”, animale mitologico che inebetiva gli umani alla sola vista o semplicemente nell’udire il suo verso, specialmente i bambini. Probabilmente un antesignano di Peppa pig; una forma di simpatica antipatia; sensazione di sdegno rivolta a ciò che risulta sbagliato perché non corrispondente ai propri gusti; quella sorta di inettitudine e pochezza di sé che si rivale sul prossimo;
Accezioni: una forma di ringraziamento, per lo più contratta in “Grabas”; unita all’aggettivo qualificativo “Grande”, solitamente fa riferimento a un mago, a un qualcosa di magico, o a un dio antropomorfo. Informazioni tratte da L’Accademia dell’Abarasse ( www.puristidellabarasse.com ).

Raccontaci in poche parole di questo disco…
E’ il frutto di quattro anni di lavoro. La veste grafica è opera di Orecchio Acerbo, le illustrazioni dell’amico Andrea Serio, prodotto da Carosello Records. Vorrei aggiungere brevemente che è composto di 10 tracce.

La tua voce può a tutti gli effetti essere considerata uno strumento multiforme che si adatta a ogni stile e situazione. Posso azzardare un paragone con il grande e compianto Demetrio Stratos?
Sono lusingato e sorpreso: un paragone originale, grazie.

Di cosa parlano i testi delle tue canzoni? Hai mai fatto riferimenti autobiografici?
Ogni brano ha motivazioni a sé. Sicuramente ricorre in modo più o meno esplicito il tema del Consumismo. I riferimenti autobiografici sono quasi imprescindibili ma, come ho cercato di dire anche in altre occasioni, diffido di chi parla solo di sé, e l’altro da sé è interessante se non altro perché ignoto.

Io non ha senso… cosa vuol dire?
Le tue domande hanno scovato quello che per certi versi è il brano più autobiografico. Prima di tutto però, quell’Io va inteso in senso universale, il tuo Io, il nostro Io. Interrogandomi sui perché di questo brano, mi sono convinto che “Io” trova senso quando è parte: io individuo parte di una famiglia, parte di una società, parte del genere umano. Nella missione di ricapitolare sé stesso, il senso per me più soddisfacente di Io è nel Noi.

Quali differenze e quali affinità ci sono fra Il Grande Abarasse e Vago Svanendo?
Differenze: le copertine dei cd sono diverse. Affinità: per certi versi le copertine si somigliano. Scherzi a parte, non saprei, forse Vago Svanendo rispetto all’ultimo album è vagamente più intimista, da qui forse l’esigenza opposta di allargare la visione al microcosmo umano del condominio come nell’ultimo lavoro. Non che in Vago Svanendo sventolassi i fatti miei, ma forse in Il Grande Abarasse m’illudo di riuscire meglio nel distacco da me, cercando di ribadire e ribadirmi che ogni soggettiva è significativa quanto quella di un altro, e che ogni cosa che accade nel mondo ci riguarda tutti. Tra le affinità c’è la volontà di continuare a sperimentare sia dal punto di vista musicale sia letterario; forse in Vago Svanendo c’erano brani nettamente diversi tra loro mentre nell’ultimo album provo ad assemblare i tasselli differenti nell’ambizione di un risultato più omogeneo. C’è poi una sorta di continuità piuttosto esplicita: il nuovo lavoro discografico
inizia con il finale dello scorso.

Com’è nata la collaborazione con Uri Caine?
Nell’ottobre del 2011 condividemmo il palco del teatro Alighieri di Ravenna. Ero ospite nel progetto tributo a Nino Rota “Il Bidone” diretto da Gianluca Petrella. Caine al pianoforte si esibiva prima di noi, anche lui per reinterpretare l’ideatore delle colonne sonore dei film di Fellini. Ci fu una jam session finale. Nei camerini, ancora sull’onda adrenalinica dell’esibizione,ci siamo riproposti di fare qualcosa insieme. Ho pensato quindi di coinvolgerlo in “The Other Side of a Shadow”, un brano del nuovo album il cui testo è tratto da “Linea d’ombra” di J. Conrad. Uri ha consigliato di assemblare le takes registrate in un caotico “cut ‘n’ copy”: sulla narrazione di Conrad, nella quale si alzano correnti improvvise, mi è parsa una soluzione particolarmente calzante.

E quella con l’Orchestra dei Filarmonici del Comunale di Bologna?
Ho potuto lavorare con l’Orchestra dei Filarmonici del Teatro Comunale di Bologna grazie alla collaborazione di Stefano Brugnara e Arci. L’orchestra si insinua spesso tra i brani, soprattutto nelle tracce nascoste, nel Ghost Album: la parte forse più sperimentale. Per chi volesse, consiglio l’ascolto del Ghost Album in cuffia, poiché l’orchestra è stata registrata con l’ausilio di microfoni “Binaurali” che conferiscono un’ambientazione uditiva straniante in 3D.

Ti va di parlarci del “Ghost album”?
Volentieri. Da anni pensavo a un numero di tracce o a una durata tale da poter comporre un intero album nascosto. Che io sappia non è mai stato fatto. Quindi devo farlo, mi sono detto. Oramai ne è stata svelata l’esistenza ma per chi non lo sapesse compare dopo le 10 tracce dell’album ufficiale. In definitiva le sei tracce strumentali del Ghost Album, per la durata complessiva di circa mezzora, costituiscono idealmente una unica composizione. E’ stato un lavoro molto impegnativo al quale ho dato importanza pari all’album ufficiale. Il Grande Abarasse è un concept album idealmente ambientato in un condominio: la musica del Ghost é la parte più astratta, quasi filmica, nella quale si frappongono anche fields recording e sound design. L’intento era quello di sonorizzare una storia la cui sceneggiatura però dovrà costruirsi nell’immaginario dell’ascoltatore. Egli potrà decidere cosa stiano facendo o pensando i condomini. Vorrei ricordare che al Ghost Album hanno partecipato due geniali miei collaboratori storici come Dario Giovannini e Stefano Sasso.

Negli ultimi tempi hai frequentato la scena jazz italiana; come si differenzia da quella estera? Ci sono artisti che possono competere con i loro colleghi oltralpe?
In linea di massima nel resto dell’Europa come negli Stati Uniti, il Jazz (come molte altre musiche) è tendenzialmente più evoluto, quantomeno da un punto di vista tecnico esecutivo. Il fatto è che in Italia la professione del musicista, più in generale dell’artista, è particolarmente difficile, osteggiata da infinite burocrazie, mal considerata dall’economia, corrotta dalla cultura del profitto, e dall’ansia del profitto della Cultura. Sto banalizzando molto, il problema è globale ma in Italia è più brutto. In Italia ci sono ancora grandi artisti. Tra questi, molti sono fortunati figli di benestanti. Spesso ci sono poi grandi artisti alle spalle di qualche stella del mercato. Ce ne sono altri di cui sappiamo poco, altri ancora che non conosceremo mai e che dovranno presto dedicarsi a un lavoro sicuro. Se lo troveranno. I loro progetti quasi mai giungono al nostro orecchio, prima che si dissolvano; quando possiamo fruirne è grazie alla tenacia antistorica di qualche piccola associazione culturale illuminata e idealista che presto chiuderà i battenti. In ogni caso, oggi come oggi gli artisti italiani -intendo quelli veri, quelli che hanno davvero qualcosa da dire- per sopravvivere all’oppressione della cultura dell’utile -unita alla conseguente crisi economica- devono comunque ingegnarsi “all’italiana“ per poterci deliziare della loro poesia. Per rispondere alla domanda: si, in Italia ci sono alcuni jazzisti meritevoli a livello internazionale; la differenza sostanziale con gli stranieri è che il motore dei nostri non è l’ispirazione ma l’esasperazione.

Sul palco vi presentate in nove elementi. E’ possibile riprodurre quindi i suoni e le emozioni del cd nella dimensione live?
Quanto alle sonorità, è possibile riprodurle dal vivo. Come da sempre, gli arrangiamenti sono scritti in modo da poter essere riprodotti. E’ chiaro che per restituire la massa sonora di un’orchestra, con in più il nucleo elettrico, é stato necessario implicare parecchi musicisti. Sul Palco: una rappresentanza delle varie sezioni archi (Dimitri Sillato, Valeria Sturba, PaoloBaldani) e fiati (Beppe Scardino e Piero Bittolo Bon), una chitarra (Fabrizio Tarroni), un pianoforte (Silvia Valtieri) e l’effettistica (Franco Naddei), quest’ultima ottenuta sempre rigorosamente in tempo reale. Il cospicuo ensemble col quale mi esibisco attualmente si chiama JDL Grande Abarasse Orchestra.

Parlaci del tuo impegno in Lugo Contemporanea…
Lugocontemporanea è un’Associazione Culturale senza fini di lucro fondata da me, Nicola Franco Ranieri e Monia Mosconi. L’omonima Rassegna estiva, si tiene da dieci anni nel centro storico di Lugo di Romagna (RA) tra luglio e agosto. Fin dagli albori, la peculiarità di Lugocontemporanea è quella di assumere la Musica come punto d’osservazione attraverso il quale gettare un ampio sguardo in tutte le direzioni e gli ambiti artistici del contemporaneo. Durante la rassegna, prendono vita originali forme d’arte multidisciplinari che giustappongono musica e teatro, musica e gesto corporeo, musica e arti visive, musica e spazio (installazioni sonore). Dal 2005 a oggi la rassegna ha ospitato numerosi artisti emergenti accanto a nomi di rilevanza nazionale e internazionale, i quali hanno liberamente interpretato il tema di ogni edizione realizzando sempre produzioni inedite e inattese. Fra i tanti nomi ricordiamo: il trombettista Cuong Vu, il trombonista Gianluca Petrella, la compagnia teatrale Societas Raffaello Sanzio, il cantante Howie Gelb, il sassofonista Maurizio Giammarco, il video-scenografo Gianluigi Toccafondo, il video-animatore Simone Massi, il chitarrista e compositore Fred Frith, il performer Giorgio Rossi, lo scrittore Stefano Benni, il compositore fondatore del Movimento Fluxus Philip Corner, il ballerino Guillelm Alonso, il violoncellista e compositore Tristan Honsinger, il compositore Luigi Ceccarelli, il pianista Franco D’Andrea, il trombonista e compositore Giancarlo Schiaffini. Gli eventi tra Musica e Poesia sono organizzati in collaborazione con Caffè Letterario: nel corso degli anni hanno partecipato Lietta Manganelli, Carlo Lucarelli, Enrico Ghezzi, Mariangela Gualtieri. Alle mostre – sempre aperte al pubblico durante le giornate della rassegna e a ingresso gratuito – sono intervenuti alcuni esponenti delle più diverse discipline artistiche, dalla pittura alla scultura, dalla fotografia al mosaico, fino ai linguaggi dell’installazione contemporanea: Stefania Galegati Shines, Andrea Nurcis, Enrico Corte, Claudio Ballestracci, Piero Dosi, Gian Ruggero Manzoni, Mara Cerri, Altan, Tanino Liberatore Paolo Bacilieri, Lorenzo Mattotti, Elisa Caldana, Andrea Serio, Carlo Ambrosini, Andrea Salvatori, Emergency, Nicola Samorì. La rassegna da sempre si distingue per attenzione sociale ed etica negli intenti nonché nelle proposte artistiche; naturale quindi il sodalizio, con le associazioni Emergency e Greenpeace. Lugocontemporanea è organizzata da Ass. Culturale Lugocontemporanea, Fondazione
Teatro Rossini, con il patrocinio del Comune di Lugo, della Regione Emilia Romagna e di
Greenpeace Italia.

Progetti futuri?
Sono tanti gli impegni cui dovrò dedicarmi nei prossimi mesi. Uno su tutti, quello imminente: sto lavorando alla realizzazione di Il Grande Abarasse nella versione in vinile, una felice proposta di Carosello, la mia casa discografica. Nel vinile, molti dei brani che compaiono sul cd, sono in versioni alternative: leggermente più lunghi alcuni, altri più corti, altri ancora in un arrangiamento diverso, almeno una bonus track. 180 grammi.
Grazie Marco, e Abarasse a tutti, John.

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Rocky Horror (…e Pino Scotto)

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In Italia sono in pochi a fare Crossover. Fra i più noti esponenti del genere ci sono sicuramente i Rocky Horror, band pugliese nata nel 2002 ed oggi composta da Giovanni “Justice” Placido (voce), Antonio “The Racio” Racioppa (chitarra), Francesco “Baron Frankenheimer” Rinaldi (basso) e Paolo Damato (batteria). Abbiamo parlato del nuovo disco Sciogli il Tempo in compagnia di Justice, m.c. della band, e con Pino Scotto, il più grande rocker italiano, che ha prestato la sua voce al gruppo in veste di ospite nell’album insieme a tanti altri volti noti del panorama musicale italiano. (Risponde a questa intervista Justice, m.c. della band, “in collaborazione” con Pino Scotto)

Rocky Horror a chi vi ispirate artisticamente?
J- Rage Against The Machine, 99 Posse, Casino Royale, Assalti Frontali e chi più ne ha più ne metta! (risate, ndr)

Il Crossover in Italia è ancora poco diffuso rispetto a paesi quali gli U.S.A., come mai? Perché avete scelto proprio questo genere fatto di contaminazioni e fusioni stilistiche e come si relaziona con la vostra regione, la Puglia, che musicalmente è più nota per ben altre sonorità?
J- In Italia se ti discosti dalla “canzone italiana” qualunque genere sembra “di nicchia”, anche se poi ha più estimatori di quanto si pensi. Noi fondamentalmente ci consideriamo un gruppo Rock, ma abbiamo scelto questa sua variante per poter miscelare vari stili e dimostrare inoltre che la Puglia è molto più variegata a livello musicale di quanto si creda.

Parliamo ora di Sciogli il Tempo (Protosound Records / Edel), il vostro nuovo album uscito da poco in tutti i negozi e piattaforme digitali, un lavoro alquanto ricco di collaborazioni?
J- Si, infatti oltre al nostro “bro” Pino Scotto, che ha partecipato nel singolo e video “Lo Spazio Che ti Spetta”, ci sono anche Ru Catania (Africa Unite), Luca (Los Fastidios), Simone Martorana (Folkabbestia), Nico Mudù (Suoni Mudù), Vince Carpentieri (ex Almamegretta), Mr. T-Bone (ex Africa Unite e Giuliano Palma & The Bluebeaters), Dj Argento, Dj Fede e tanti altri, anzi, colgo l’occasione per salutarli e ringraziarli tutti!
P- È un grande album, con bei testi, è stato bello collaborare coi miei fratelli Rocky Horror e ora siamo in tour tutti assieme a divertirci (“Sciogli il Tempo Tour” col side project Pino Scotto & Rocky Horror, ndr): sabato 28 Febbraio saremo al Bobby’S Live Bar di S. Giacomo degli Schiavoni (CB), mentre domenica 1 Marzo ci aspetta il Crazy Diamond di Massafra (TA)!

Pino vuoi dirci qualcosa sul tuo di disco, uscito qualche mese fa?
P- S’intitola Vuoti di Memoria, è uscito a maggio scorso, ed all’interno ci sono cover di Renato Rascel, Adriano Cementano e poi ci sono due inediti: uno in italiano, “La Resa Dei Conti (Kiss my Ass)” e l’altro in inglese.

Justice, quali differenze e quali affinità ci sono con Dritto in Faccia, il vostro precedente full-lenght?
J- Li accomuna l’attitudine, l’impegno e l’amore che abbiamo messo nel farli. Li differenzia però la qualità sonora ed anche la maturità compositiva.
Come mai la scelta di inserire nella tracklist la cover “Stop al Panico” degli Isola Posse All Stars? Vi sentite legati al fenomeno delle Posse anni ‘90 che vedeva in Italia gruppi come Onda Rossa Posse e, per l’appunto, Isola Posse All Stars?
J- Nel nostro sound il Rap è una componente fondamentale, ed in Italia questo genere ha preso piede proprio grazie al movimento delle Posse, ecco perché ci è sembrato doveroso rendere omaggio ad una crew che a nostro parere ha fatto la storia della scena underground italiana… ed in questo è stata utile la collaborazione di Vince Carpentieri (ex Almamegretta) alla chitarra.

Questi sono stati i giorni del festival di Sanremo… se ve lo chiedessero vi partecipereste?
J- Penso di sì, l’importante è proporre la propria musica senza compromessi e se questo viene rispettato immagino che ci si possa esibire “a cuor leggero” un po’ ovunque… e comunque in passato ci si sono esibiti anche i nostri amici Almamegretta, ecc. senza perdere di credibilità.


Dove vi immaginate fra dieci anni artisticamente parlando?
J- In studio a registrare almeno il nostro quinto album ed in tour con Pino!

Un saluto per i lettori di Rockambula.com…
P- Ciao, ciao a tutti!
J- Bella Rockambula, un saluto a tutti i vostri lettori!

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Il Rebus – A Cosa Stai Pensando?

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Le lente chitarre di “Gerontocomi” aprono A Cosa Stai Pensando? disco dei comaschi Il Rebus. Rimane da chiedersi invece a cosa pensasse il gruppo mentre ne scriveva e componeva i brani contenuti in esso. La risposta è quasi ignota, quasi… un rebus (perdonatemi il gioco di parole). Il risultato? Ottimale certamente, ma forse un po’ troppo variegato nello stile e negli arrangiamenti. Un esempio? In “Quello che non Dico” si gioca a fare un po’ gli U2, mentre in “Avere Trent’Anni” si torna alla classica ballad un po’ più veloce alla Bon Jovi. Sia chiaro: Il Rebus non ha nulla da invidiare ai colleghi stranieri, ma il sospetto è che il genere proposto possa prestarsi più a mercati esteri che a quello italiano. In “Roma Brucia” sono molto gradevoli sia la parte iniziale di drumming (perfetto l’uso dei piatti) sia il cantato, un po’ meno il testo. “La Notte Urla” è dal canto suo molto migliore a livello lirico, ma il top del disco arriva con “Nei Ghetti d’Italia”, tanto malinconica quanto affascinante in un cantato recitato che ricorda i nostrani Offlaga Disco Pax e i Massimo Volume. “Vuoti a Rendere” lo vedrei ottimamente nella dimensione di singolo per le radio grazie a un ritornello che entra subito in testa. Nella più orchestrale “Questo è un Uomo” torna il recitato / cantato ma per fortuna il Rock puro si rifà vivo già con la successiva “Scie” che mostra una grande maturità nel songwriting. “Equità” e “Brava Sara” concludono un lavoro tanto variegato quanto affascinante. Una nota di lode va al produttore Max Zanotti, cantante e frontman dei Deasonika (attualmente in pausa di meditazione dal lontano gennaio 2010) e oggi apprezzato solista. Del resto lo avevamo potuto apprezzare in queste vesti anche con i Cockoo ed in altri lavori quali il disco solista di Eva Poles, voce storica dei Prozac +. Di lui voglio ricordare inoltre le sue collaborazioni al fianco dei Magazzini Della Comunicazione e dei Rezophonic e quelle con artisti più mainstream quali Valerio Scanu e Giusy Ferreri. Non so a voi, ma a me questo strano gioco di alternanze fra cantautorato e Rock ha entusiasmato ed intrigato non poco. Il problema è vedere come questo disco verrà accolto dal pubblico, io sono pronto a puntare su di loro, e voi?

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Tony Hadley 17/07/2014

Written by Live Report

Chi pensava di trovarsi davanti a un viaggio malinconico negli anni Ottanta si è dovuto ricredere dopo aver assistito ad oltre novanta minuti di puro spettacolo. Tony Hadley e la sua band hanno dato il meglio, senza sbagliare un solo colpo e la cosa era già evidente dal pomeriggio, dal soundcheck (aperto al pubblico essendosi svolto in piazza, la stessa del concerto serale ovviamente) , da quando hanno provato estratti da dieci canzoni di cui ben nove degli Spandau Ballet. L’aspettativa in città per l’evento era davvero tantissima, perché tutti i teatini erano consci di essere forse davanti al più grande esperimento di marketing territoriale da quando alla Civitella si esibì Patti Smith con la sua band nelle cui file svettava un certo Tom Verlaine alla chitarra. Un esperimento riuscito certamente a pieni voti visto che c’erano molte persone venute da fuori regione (Puglia e Marche prevalentemente) e qualcuna persino dall’estero (ho conosciuto due coppie russe che sono venute a Chieti solo ed esclusivamente per l’evento).

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L’auspicio è quindi che non sia stato un caso unico e che l’anno prossimo la Settimana Mozartiana porti (almeno) un altro grande artista dello stesso calibro. Tony Hadley ovviamente non ha più vent’anni come quando uscì il primo singolo degli Spandau Ballet, “To Cut a Long Story Short”, riproposto anche a Chieti dopo l’iniziale “Feeling Good” (inedita), ma la voce ha la stessa potenza di un tempo. Del resto c’era persino chi lo considerava il miglior cantante degli anni Ottanta, forse erroneamente, perché a mio parere c’erano Jim Kerr dei Simple Minds, Bono degli U2, Mike Peters degli Alarm, Stuart Adamson dei Big Country che in quegli stessi anni dimostravano al mondo intero di cosa erano capaci ma preferisco non andare oltre in questo discorso anche per non incappare nelle ire di qualche fan sfegatata. Il concerto prosegue con un grazie, grazie in perfetto italiano (del resto Tony ha sempre avuto un grande feeling col nostro paese) e con quella “Higly Strung” che conquistò la posizione numero quindici nel Regno Unito. “Somebody Told Me”dei Killers e “My Imagination” (estratte dal suo ultimo lavoro Live from Metropolis Studios) seguono a ruota ma solo per fare da introduzione a quella “I’ll Fly for You” che decretò il successo dei “rivali dei Duran Duran” in Italia.

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“Only When You Leave”, per chi lo ricorderà, era la canzone che apriva “Parade”, da molti considerato il capolavoro degli Spandau Ballet. “Take Back Everything” è invece un brano tuttora inedito ma di cui Tony ha già parlato in alcune interviste essendo uno dei pochi già ultimati in vista di un prossimo nuovo album in studio. “Round and Round” uscì al tempo anche  in una speciale edizione solo per noi italiani in vinile 12” che includeva cinque foto, un poster e due cartoline e risentirla live fa un certo effetto. Oggi tale disco ha un valore commerciale bassissimo ma nonostante ciò rimane uno degli oggetti più amato a livello mondiale dai collezionisti di musica degli anni Ottanta peril suo prezioso contenuto. Con “With or Without You” (A fantastic song, the best from U2) si giunge alla seconda metà del concerto, quella parte forse più affascinante che comincerà altri grandi classici quali “True”, “Through the Barricades” e “Lifeline”.

Tutti singoli di grande appeal nei confronti dei presenti che però sono consci che lo spettacolo si stia avvicinando alla fine. “Every Time” e “Somebody to Love” dei Queen mettono in risalto la voce di Tony, sempre al top, anche se il confronto con Freddie Mercury  non reggerebbe per nessuno. Lui rimarrà per tutti il più grande entertainer che il Rock abbia mai avuto e difficilmente potrà essere superato in futuro. Del resto lo stesso Hadley lo chiama one of the best best best singer ever, a lovely man, a good friend

La scaletta prosegue con una cover che spiazza un po’ tutti… “Rio” degli amici / rivali Duran Duran! Peccato solo che Simon Willescroft (attuale sassofonista del gruppo) non fosse presente sul palco per eseguire il classico assolo insieme al basso. Chiuderanno la serata “Gold” e la cover degli Stereophonics “Dakota” (che potrete ascoltare sempre sul Live from Metropolis Studios). Peccato per l’assenza di John Keeble, la sua presenza avrebbe dato quel qualcosa in più allo spettacolo, ma per fortuna è stato egregiamente sostituito da Simon Merry che tra l’altro era per la prima volta dietro le pelli con Tony Hadley & co!!! Per un giorno Chieti è stata un po’ la capitale della musica ma la Settimana Mozartiana è un evento che quest’anno offre anche tanti altri eventi di grande livello quali i concerti di Richard Galliano e Uri Caine per una sette giorni davvero intensa in cui vale la pena immergersi a pieno ritmo.

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The Dust – Remembrance

Written by Recensioni

Dopo vari cambiamenti nella formazione i The Dust hanno finalmente trovato la loro giusta dimensione assemblandosi come un trio costituito da Roberto Grillo (Ego) alla voce, Michele Pin alle chitarre e Luca Somera alla batteria e alle percussioni. A quasi vent’anni dalla costituzione il gruppo dà alle stampe Remembrance, disco dalle sonorità mature che consta di ben undici brani in scaletta. Si parte con le atmosfere orientali della titletrack per arrivare poi a “Inside Out”, il cui unico peccato è forse di durare eccessivamente (6:30 sono effettivamente troppi, non essendo i The Dust un gruppo propriamente Progressive, nonostante si definiscano anche tali ed influenzati dai King Crimson di Robert Fripp che proprio quest’anno sono tornati in attività, seppur solo per un breve tour americano). La musica del trio attraversa vari generi spingendosi dal Pop Rock al Glame al Blues passando per l’Hard Rock e la Psichedelia pura. Difficile infatti stabilire i confini di brani quali “Scarlet” o “A Little Bit of Savoir Faire”, nonostante in quest’ultima ci sia qualcosa dei Queen di Freddie Mercury (sempre meglio specificare perché, con i cantanti che si sono succeduti al grande ed indimenticato frontman, lo spirito e l’anima dello storico gruppo sono cambiati radicalmente). Non potevano quindi mancare virtuosismi chitarristici nella strumentale “The Dreamspeaker” e i fischiettii di “You And me” in cui sono graditi ospiti Giulia Somera al basso, Elena Zanette, Enrico Sanson, Elia Celotto e Alberto Petterle agli archi e Alberto Stefanon coadiuvato dalla già citata Elena Zanette ai cori. “Detune Promenade” fa da interludio strumentale al Rock sinfonico di ”Are You Gonna Getit” (chissà perché intitolata senza punto interrogativo che invece figura nei testi…). Rimangono appena tre brani alla conclusione, “Tears in Her Eyes”, “Something Happened” e “Lord of the Flies” che mantengono costante la qualità dell’ascolto ma che poco aggiungono a quanto sentito precedentemente. In fondo che i The Dust ci sapessero fare si era già capito! Perfetti gli arrangiamenti, da migliorare (forse) solo i testi, scritti in un inglese un po’ troppo semplice e basilare, ma probabilmente questo “difetto” può diventare persino un punto di forza perché si riesce ad arrivare senza problemi anche a chi non è molto pratico delle lingue straniere. Gli ingredienti (ops, i brani!) per un “piatto”, pardon un disco, di qualità ci sono tutti… Ora tocca a voi a mescolarli nell’ordine che preferite partendo con un ascolto random che modificherà di poco il vostro indice di gradimento.

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Julie Slick & Marco Machera 13/09/2014

Written by Live Report

Sabato 13 settembre 2014 è una data che i teatini non dimenticheranno molto facilmente. Mentre alcuni preferivano vedere i Matia Bazar a Chieti Scalo che si esibivano in piazza davanti a un pubblico di famiglie, molti musicisti locali e non, intenditori di musica e persino qualche semplice curioso ha optato per un evento che ha avuto dell’incredibile: il talento di Marco Machera si è unito a quello di Julie Slick, nota ai più per far parte dell’Adrian Belew Power Trio e dei Crimson ProjeKCt, in un concerto indimenticabile che si è tenuto al Cueva Brigante, locale affascinante presso cui si sono esibiti anche Anemamè, Andrea Castelfrenato, Claudette & The Farmer, La Bruja, Acoustic Ladyland e tanti altri.

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Per l’occasione al duo ha voluto aggiungersi anche un certo Tim Motzer (lo conoscete vero?), chitarrista dalle spiccate doti che non ha bisogno di presentazioni, che dalla terza canzone in poi non lascerà più la scena e che verso la metà del concerto si concederà persino un’improvvisazione personale tanto delicata quanto aggressiva e rumoristica. Del resto sedi anni di tour in tutto il mondo e con collaborazioni alle spalle con artisti del calibro di Ursula Rucker, David Sylvian, Burnt Friedman, Jaki Liebezeit, Kurt Rosenwinkel, JamaaladeenTacuma, Markus Reuter, DJ King Britt e con oltre sessanta album in cui è creditato, sappiamo ormai tutti di cosa è capace quando prende in mano una chitarra.

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A impreziosire ulteriormente l’evento sono state le proiezioni video a cura di Dehja Ti, un’artista a tutto tondo che crea nella vita di tutti i giorni applicazioni, film, campagne, spot pubblicitari e installazioni interattiveper marchi e clienti in tutto il mondo. Insomma un appuntamento imperdibile a cui ovviamente Rockambula non poteva mancare!

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Tra i brani suonati durante la serata spiccano certamente “Green”, che apre anche Fourth Dementia,  il disco appena pubblicato dalla coppia Slick / Machera e “Infinity # 1”, brano dall’incipit Ambient che ha ricordato molto le sonorità del più sperimentale Brian Eno, ma con un pizzico di virtuosismo in più che non guasta mai. La differenza con la versione del disco è nell’assenza della batteria ma, detto tra noi, l’esecuzione è stata talmente tanto perfetta che credo nessuno abbia avuto di che lamentarsi. “Esteem” ha sconfinato anche nel puro rumorismo alla Sonic Youth (per la gioia dei presenti), la velocissima “Krush” è stata molto più orchestrale e complessa all’ascolto; “Overcome”  invece ha fatto un largo uso di delay da parte del basso di Machera con un loop affascinante a cui si è aggiunta anche un’inedita coda. La vera sorpresa della serata comunque è stata“1986”, che si è fusa perfettamente alle proiezioni che correvano veloci sull’edificio retrostante. “Ci provo” ha goduto di un cantato affascinante da parte di Machera che ha spiegato anche il titolo della canzone dicendo che è dovuto a queste due parole che Julie dice ogni volta che parla in italiano. Di pregevole fattura anche “Skypark” dal repertorio solista di Julie Slick, che nel suo disco Terroir vedeva collaborazioni eccelse quali quelle di Mike Visser, David Torn (session man fra i più richiesti a livello mondiale) e Carl Bahner.

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Ha chiuso la serata “Dinosaur” (cover dei maestri del progressive King Crimson) eseguita a grande richiesta del pubblico per l’unico bis della serata. Sono seguiti foto ed autografi per tutti i presenti e subito dopo un brindisi finale con dell’ottimo vino locale sono tornato a casa soddisfatto e contento come non mai conscio di aver assistito a uno dei concerti più particolari della mia vita. Voglio, last but not least, far notare che il concerto si è svolto in maniera totalmente gratuita, grazie a una cordata di imprenditori locali che hanno voluto sponsorizzare l’evento credendo nel forte valore culturale che esso ha espresso e che gli artisti sono venuti qui al solo rimborso “spese vive” in segno di amicizia verso  Lucio Di Francesco, organizzatore della serata che ringrazio personalmente per la sua preziosa collaborazione insieme ai ragazzi della Cueva sempre molto attivi nella vita culturale della città di Chieti.

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Dream Theater 23/07/2014 Photo Report

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Caparezza 15/07/2014 (Photo Report)

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Mike Zaffa – Rockstars

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“Perché Rockstars? Il significato è ambivalente. È un dito puntato a tutti quei cantanti che calcano palchi più o meno importanti, convinti di reincarnare l’aura delle rockstars del passato, idoli indiscussi di intere generazioni.In realtà oggi questa gente non ha nulla da dire.  L’altro e più importante significato, è una questione di attitudine: questo disco è dedicato alle vere rockstars, cioè tutte quelle persone “comuni” che la mattina si svegliano alle 7 e combattono per raggiungere un obiettivo preciso, anche se questo vuol dire spesso affrontare un lavoro di merda che con quell’obiettivo non ha nulla a che vedere”.

Con queste poche righe Mike Zaffa giustifica l’uscita del suo secondo lavoro in studio che ha ambizioni grandi, quali quelle di mischiare il Rap, la Dubstep e le chitarre del Rock. Insomma un progetto abbastanza bramoso, soprattutto se da realizzare in Italia dove le produzioni non hanno gli stessi budget di quelle americane e dove l’unico esempio che potrebbe tornare alla mente è Noyz Narcos (che però potremmo definire molto più “commerciale”). A dimostrare l’impegno profuso ci pensa la terza traccia del disco, “Gli Occhi di un Cobra”, che unisce liriche e rime velocissime a ritmi raffinati e lenti, che si contrastano senza mai calpestarsi a vicenda. Un flusso di parole e musica che scorre come un fiume in piena. A tratti il disco ricorderebbe anche roba d’oltreoceano tipo i Beastie Boys, ma le vocalità, i flow e i beats sono più fedeli a quelli dell’Hip Hop italiano, soprattutto in “Sottozero”, brano effervescente e mai banale. “Venomous” è il singolo perfetto per questo artista, con un testo che parla di droga e in cui non mancano anche un paragone con il suo “collega” Neslie e una bestemmia che forse si sarebbe potuta evitare. L’effetto, o forse lo scopo ultimo, è quello di attrarre diverse categorie di pubblico senza cedere ai compromessi e alle logiche del mercato discografico. A mio giudizio Mike Zaffa ci è riuscito, soprattutto con brani quali “Tatuaggi e Cicatrici” e “L’Erede di Bukowski”, ma preferirei aspettare un’ulteriore prova discografica per poter avere un giudizio più preciso su di lui e sul suo operato. Intanto strappa la sufficienza che attesta la validità di “Rockstars.

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