Mark Lanegan Tag Archive
Ma noi lo sappiamo chi era Mark Lanegan
Pensieri sparsi e del tutto personali su un artista dalle mille vite, musicali e non.
Continue ReadingThe Armed – Ultrapop
La rivoluzione anarchica e caotica contro gli idoli del presente.
Continue ReadingRecensioni #01.2017
Brian Eno // Jumping the Shark // Tiger! Shit! Tiger! Tiger! // Il Diluvio // Duke Garwood
Continue ReadingMoonerkey
Con un anno di ritardo (parlando solamente del titolo) raccontiamo il futuro. Il concetto del continuo in un disco di bel Pop Rock italiano, l’esordio cantautorale che si fa conoscere con lo pseudonimo di Moonerkey. Equilibri sottili e quel senso liquido del tempo che passa… ed è necessario fermarsi in una fotografia. In rete il video del singolo di lancio dal titolo “La Pelle”. L’intervista per Rockambula:
Moonerkey. Iniziamo proprio da questo nome. Da dove prende origine?
Il nome letteralmente significa “la chiave di colui che vaga distrattamente, che guarda per aria”, insomma di una persona che si perde nei suoi pensieri, quale può essere una persona che compone musica. Per chiave si intende la chiave di lettura del mondo, lo sguardo sulle cose, la loro interpretazione.
Pop Rock, per dirla in breve, ma già dal primo ascolto c’è molto altro. Quanto e cosa hai rapito dall’Italia e cosa invece dal resto del mondo?
Dall’Italia ho tratto la rabbia, le delusioni, le speranze, le gioie della vita di tutti i giorni ed i ricordi. Dal resto del mondo la curiosità per i diversi approcci alla vita e certamente alla musica. In termini di riferimenti musicali per fare solo qualche nome, posso dire che in Italia sono un grande estimatore degli Afterhours ed in particolare della scrittura di Manuel Agnelli; inoltre mi sento certamente influenzato dalle suggestioni dei CSI. Fuori dell’Italia i Pearl Jam hanno un ruolo importante, così come la poesia urbana di Mark Lanegan o quella di Hugo Race.
Il primo singolo e video “La Pelle”. L’immaginario di una ballerina, il cambiare pelle, il rumore di fondo che sta cambiando. Come si legano assieme questi elementi?
La ballerina all’inizio ha gli occhi rigati di pianto e si spoglia dei vestiti di scena, abbandona la sua pelle, per conquistare una dimensione più propria, per appartenersi; alla fine del ballo infatti ha il volto pulito, sereno. E’ l’immagine di una rinascita, della straordinaria sensazione di avere ancora una volta energia e voglia di inseguire ciò che si vuole davvero. Ciò che tutti noi possiamo provare quando avvertiamo che nel profondo qualcosa si muove (il rumore di sottofondo che cambia) e decidiamo di non ignorarlo.
Mi ha colpito il brano “Il Tempo della Volgarità” dove mi è parso di scorgere una certa Italia anni ’60/‘70, almeno nella costruzione melodica. Sbaglio?
Sinceramente non l’ho scritto pensando a quelle atmosfere, almeno coscientemente. Ad ogni modo, la melodia fu scritta di getto, in una condizione di emozioni debordanti, dato che proprio in quei giorni si consumava la fine di una storia d’amore di cui parla il testo.
Bellissima l’ultima traccia “Chissà se Vedi Adesso”. Un brano minimalista, intimo e dolcissimo. Altra dimensione, altro spirito e altro cambio di scena. Ma dovendo scegliere, quale habitat sonoro ti rispecchia veramente?
Tutti quelli contenuti in 2014 mi rispecchiano perché, così come sono “vestite”, le canzoni riflettono le sfaccettature dei miei stati d’animo e dei miei gusti mutevoli per forme espressive ora più morbide ed intimiste, ora più dirette e più aggressive.
Il concetto del “Continuo”. Dalla copertina al filo conduttore di tutto il progetto. Mi piace. Viaggio come andare o come arrivare? Moonerkey verso dove sta andando?
In questo caso il viaggio è continuare ad andare, cioè proseguire verso una direzione avendo ben presente da dove si viene. Io sto andando anagraficamente verso la maturità ed artisticamente verso una nuova adolescenza.
2014. Un bel modo per iniziare il 2015. Quando sarà l’alba del 2016? Che continuo per questa musica ci sarà secondo te?
Credo di avere materiale, idee e valide collaborazioni per poter mettere in cantiere già il secondo disco, se non anche il terzo. Nei live ad esempio suoneremo anche brani inediti che faranno parte dei lavori futuri. Questo per dire che sento di avere molto da comunicare e condividere nei prossimi anni. Allo stesso tempo mi auguro che questa città riesca ad offrire alla musica originale spazi, non necessariamente materiali, qualificati.
Lydia Lunch & Cypress Groove – A Fistful of Desert Blues
With too much patience and too much pain
I’m going to the mountain with the fire spirit
To make amends for all of me
And the fire will stop
The Gun Club- Fire Spirit (Fire Of Love, Ruby Records, 1981)
Attraversare più di tre decenni di carriera, vissuti pericolosamente e sempre da borderline, adottando come modus vivendi un’insaziabile sete di malsanità e depravazioni di ogni genere. Raschiare il fondo del proprio inconscio, fino quasi all’autodistruzione e poterlo raccontare è fortuna di pochi. A vederla adesso Lydia Lunch, ultracinquantenne, voce ruvida, viso anfibio e consumato, sembra non aver perso quella nevrastenia creativa, che le permette di evolversi continuamente nelle forme sonore più disparate. Quest’anno si presenta nelle vesti di blues woman mortifera, accompagnata dal chitarrista Cypress Groove, alias Tony Chmelik. L’incontro tra i due avviene durante il funerale di Jeffrey Lee Pierce ugola dei grandissimi Gun Club, passato quasi inosservato in vita, morto di emorragia cerebrale nel marzo del 1996 a soli trentasei anni dopo un’esistenza segnata da alcol, droga e malattia. Cypress Groove di nazionalità britannica, collaborò con Pierce quando viveva a Londra, a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta. Per pura casualità nella sua mansarda Chmelik ritrova alcuni nastri con bozze di canzoni registrate da Pierce prima di morire e decide di contattare alcuni dei suoi più cari amici (Nick Cave, Mick Harvey, Debbie Harry, Mark Lanegan, David E. Edwards ed appunto la Lunch) per formare un’iper band: The Jeffrey Lee Pierce Project e sviluppare quei frammenti sonori.
In quell’occasione la Lunch e Chmelik, registrarono insieme l’ottimo brano Country Noir “St Mark Place”, riproposto nella loro ultima fatica A Fistful Of Desert Blues. Le undici tracce proposte da questo sodalizio funereo, navigano sulle coordinate di un Desert Blues, torbido e sanguinante, sorretto perfettamente dalla voce della Vestale Nera, dalla chitarra dolente di Chmelik e dallo spirito di Ramblin ‘ Pierce. Il paesaggio che ne viene fuori rimanda alle epopee western più crepuscolari di Sam Peckinpah, colme d’inquietudine e peccato; il viaggio attraverso questo deserto dell’anima costa fatica e si rischia di morire di sete o assaliti da un branco di sciacalli puzzolenti e affamati.
Fa da apripista l’ipnotica “Sandpit” dal sapore iberico, “ Devil Winds” incanta con il suo Folk sulfureo e deviato. In “I’ ll Be Damned “ la litania orchestrata dai due tocca vertici di pathos altissimi, “Jericho “ e “Tuscaloosa” sono i brani migliori, ritmati e movimentati dove soprattutto nella chitarra l’influenza di Pierce fa sentire tutto il suo peso. Insomma per i fan più accaniti della Lunch e gli estimatori dei Gun Club, è un album imperdibile. Carico di un misticismo sciamanico e desolante, il disco ci trasporta attraverso un flusso di coscienza rivelatore, dove si cela nascosta la verità più grande; l’amore.