In seguito all’annullamento per motivi tecnici del concerto dei Marta Sui Tubi a Le Naiadi a Pescara previsto per il 31 luglio 2013, la produzione indica qui di seguito le modalità di rimborso dei biglietti acquistati in prevendita.
I tagliandi acquistati non potranno essere in alcun modo riutilizzati per eventuali date future del gruppo in altre locations ma potranno essere rimborsati entro e non oltre il 10 agosto 2013 presso il punto vendita presso cui sono stati precedentemente comprati. Il prezzo del biglietto sarà ovviamente rimborsato comprensivo anche dei diritti di prevendita solo ed esclusivamente esibendolo al punto vendita comprensivo di matrice.
Attualmente non è previsto il recupero della data in futuro.
La produzione ringrazia coloro i quali avevano già provveduto all’acquisto e supportano da sempre gli spettacoli dal vivo e si scusa per l’inconveniente.
Marta Sui Tubi Tag Archive
Annullata data a Pescara dei Marta Sui Tubi
Pierpaolo Marino – Otto Brevi Racconti
Il cantautore marsalese Pierpaolo Marino esordisce con questo bellissimo full lenght album, Otto Brevi Racconti dal titolo alquanto insolito in quanto ogni singola canzone dura almeno tre minuti risultando quindi in linea con lo standard dei suoi colleghi nazionali. Un disco dal sapore sempre intenso, che, come un buon vino di annata appassiona in ogni goccia un sommelier, riesce a conquistare l’ascoltatore in ogni singola nota. La voce dal timbro caldo di Pierpaolo Marino, che condivide solo il nome con l’omonimo dirigente di calcio (di cui se siete appassionati del settore ricorderete le gesta), non delude mai l’ascoltatore sempre ben incastonata in melodie sonore che gridano al miracolo (pur ricordando a volte quelle dei Tiromancino).
L’album è infatti un viaggio di otto tappe vissute a osservare il mondo attorno, per poi ritrovare se stesso, rude quanto basta, mai complesso negli arrangiamenti ma sempre elegante nello stile e nella pennata chitarristica. Otto Brevi Racconti è stato interamente registrato e mixato da Fabio Gencopresso il Vicolo Recording (Nordgarden, Cloudsina Pocket, Black Eyed Dog, Bananalonga) ed è ancora più prezioso grazie alla presenza di alcuni amici musicisti quali Carmelo Pipitonedei Marta Sui Tubi (che avete potuto ammirare sul palco dell’ultimo festival di Sanremo), Paolo Tedesco / Cloudsina Pocket e lo stesso Fabio Genco. Canzoni che esprimono libertà, senso di malinconia e felicità simultanee con versi che parlano di solitudinie amori, di drammied infanzie, di inquietudinie di dolcezza.
“Croce Del Sud” è quel piccolo capolavoro che raramente ti aspetteresti da un esordiente, curatissima in ogni singolo dettaglio ed arrangiamento, come anche l’allegra e vivace “Due Merli” tint a inizialmente dal sapore di old wild west e poi da note di gaberiana memoria. Otto racconti sonori, tutti diversi l’uno dall’altro insomma, sia liricamente sia musicalmente, ma legati indissolubilmente da un unico filo conduttore: la bravura di un nuovo talento che se saprà ripetersi nella seconda prova farà certamente molta strada. Personalmente sarei pronto a scommettere su di lui anche l’intero conto in banca, perché benché sia difficile superare in qualità un lavoro del genere, Pierpaolo Marino ha tutti i mezzi per poterci riuscire.
Avanti così!
Marta Sui Tubi – Cinque, La Luna e Le Spine
Hanno diviso in due come una mela il vasto parterre del loro “fanzinato”, tirati tra la partecipazione a Sanremo e gli ancoraggi nella zona franca dell’underground di stampo indie, due mondi opposti ma che nello stesso tempo sono parte integrante di percorsi o “viottoli” di piacere velocizzato oppure gavette truculente; i siciliani Marta sui Tubi escono con Cinque, La Luna e Le Spine, il nuovo album uscito proprio sotto le serate sanremesi e dove la ribellione degli ortodossi della band si è consumata tra accuse di tradimenti e di “vendite alla facilità mainstream”, un disco – il quinto – che, tra modernità e ponteggi che toccano quasi il progressive, va a scomodare Caino spedito per espiare le sue colpe sanguinarie in un satellite lontanissimo, perso chissà dove.
Undici tracce scoppiettanti, versatilissime in un compendio espressivo che bacia ad intermittenza funk, pop, prog, liriche blues, Peter Gabriel “Vagabond Home”, capricci, tutto complessato in un repertorio sparato, senza tentennamenti e con uno stile subito riconoscibile, svincolato dai soliti modelli, musicalmente originale quanto intensamente consapevole; i MST con dieci anni di carriera alle spalle hanno saputo levigarsi dalla ruvidità fino ad inventare un “lucido” meraviglioso, una completezza d’insieme – prima un duo poi il quintetto dei nostri giorni – che ora li fa protagonisti e questo nuovo lavoro “unlimited”, senza confini di suoni, ne è quasi la condensazione contagiosa del loro essere musicisti in questa era.
Mai atmosfere esagerate, forse il funk tarantolato che scuote “Il Collezionista Di Vizi” e “Tre”, ma la spennata spalancata e folkly “Dispari”, quei sentori melodici Vendittiani “La Ladra”, “I Nostri Segreti”, il passo poetico di archi e atmosfere d’arcadie “Grandine” e le dissonanze etno-acustiche che tremolano in “Polvere Sui Maiali” restano a bilanciare l’intera struttura, tanto che un’altra sensazione d’ascolto si fa avanti tra le pieghe di una graffiata melodia di marca, praticamente l’effetto a catena di un piccola opera d’arte “fuori regola”.
Con un piede sul gradino alto del main stage e l’altro pure, i Marta sui Tubi seguitano a stupire, lo possono fare, è il bello della loro essenza.
Sanremo 2013: le nostre pagelle dello show nazional-popolare più amato-odiato dagli italiani.
Che qualcuno dica a Marco Mengoni (ha passato tutto il festival a tirare su col naso e pulirsi con la manica della giacca… -?-) col sopracciglio spaccato da ragazzino ripulito che s’è tolto il piercing-sbaglio-di-gioventù-mo’-sono-maturato, che dedicare la sua vittoria a Luigi Tenco è circa non aver capito un cazzo di Tenco stesso. Oltre che dimostrare di avere un ego smisurato. Suicidatosi lasciando un biglietto con scritto “faccio questo come atto di protesta contro un pubblico che manda Io, tu e le rose in finale”, Tenco avrebbe fatto altrettanto stanotte a sentire del primo posto. Ma pure del piazzamento dei Modà al terzo posto, del premio come miglior testo a Il Cile e dell’esistenza di Maria Nazionale. Come donna prima ancora che artista.
Prima di dare le pagelle su qualsiasi cosa si sia mossa all’Ariston questa settimana, vorrei sottolineare una cosa che mi ha colpito. Si crede che il Festival sia un evento che ammazza la musica, che promuove solo gli artisti in odore di major, di grandi produttori o di recenti reality musicali. E sono d’accordo in linea generale. Ma è anche e soprattutto la fotografia socio-culturale della nostra Italia e io quest’anno mi sono spaventata. Non per la crisi bistrattata a fronte di tanta magniloquenza (il Festival è stato ripagato e il bilancio si è chiuso con un guadagno, grazie agli introiti della pubblicità e degli sponsor), quanto perché le band fanno ancora paura -stile “Ommiodio quell’uomo ha una chitarra elettrica e una cresta, mi farà del male!”- o comunque sono ancora l’eccezione e soprattutto perchè c’è bisogno che Luciana Littizzetto, il giorno di San Valentino ricordi alle donne italiane che un uomo innamorato non mena, nel tentativo di sensibilizzare il pubblico sulla violenza alle donne. E perchè due omosessuali sul palco che raccontano che andranno a sposarsi a New York fanno ancora notizia. Potete stare, come me, nelle vostre casette dorate, circondati da gente dalla mentalità aperta che ascolta rock da mo’ e i cui amici migliori sono gay, ma la normalità è altra e Sanremo ce l’ha sbattuta in faccia. Ed è triste. Non fraintendetemi, sapevo che siamo un paese di fresconi un po’ retrogradi, ma certi traguardi pensavo li avessimo acquisiti (tipo almeno non chiamare i Marta sui Tubi “complesso”, come ha fatto mia madre).
Fabio Fazio (7/10): se l’è cavata nonostante questa sua conduzione monocorde, nannimorettiana, che non lascia quasi mai trasparire emozioni se non un po’ di gigionismo e che viene messa da parte in favore di una ritrovata selfconfidence per improponibili imitazioni di Bruno Vespa o nella falsa modestia del “vi ho portato Anthony, vi ho portato Asaf Avidan, ché voi ignoranti non sapevate chi fossero”.
Luciana Littizzetto (9/10): mattatrice! Ha tenuto palco meglio di chiunque altro, mantenendo il suo stile ma in modo consono al palco sanremese. Ha cantato, ballato, sfottutto Carla Bruni ed esultato quando Bianca Balti si è inciampata, incarnando il pensiero del 99,9% del pubblico femminile a casa. Ha abbracciato Martin Castrogiovanni come fosse un baobab.
I VECCHI.
Marco Mengoni (4/10): retorico lui, retorico il brano, retorico il grazie papà grazie mammà e la dedica a Tenco. Quindi il perfetto vincitore del Festival.
Raphael Gualazzi (3/10): un buon pianista jazz che si improvvisa cantante per non rimanere nella nicchia del genere. Peccato che non sappia cantare. E qualcuno gli dica che muoversi da sociopatico non lo rende artistoide, ma solo spaventoso.
Daniele Silvestri (6/10): a me non è piaciuto. Anzitutto preferivo il secondo brano, quello che ovviamente non è stato selezionato per continuare la gara, poi ho trovato un po’ troppo didascalica la presenza del traduttore e lasciamo stare il testo mezzo con la cadenza romana che non mi sono proprio spiegata. Non che abbia nulla contro i dialetti, anzi. Ma perchè?
Simona Molinari – Pietro Cincotti (2/10): se lei non si fosse vestita da albero di Natale-prostituta-personaggio di Futurama (solo per citare i tweet che più mi hanno fatto ridere), non me li ricorderei nemmeno.
Marta sui Tubi (6.5/10): ci hanno provato. E ok. Sanremo non è pronto, l’Italia tutta non è pronta a sentire i “complessi”. E ok. Io avrei evitato lo stereotipo della linguaccia sul palco e della cresta (prossima volta corna? Banchettiamo a pipistrelli?) e avrei cercato un arrangiamento meno ruffiano alla Negramaro, in favore di qualcosa di più rischioso e personale.
Maria Nazionale (N.C.): 1) chi? 2) perchè? 3) quanti cellulari sono stati comprati dal boss tal de’ tali per farla televotare?
Chiara (6/10): ha fatto il compitino da cantantessa italiana che va a Sanremo. Brava figlia di X-Factor, per me è una categoria di musicisti che non esiste neanche. Mi fa lo stesso effetto di sentire dire “un dj che suona”. Ssssse.
Modà (4/10): loro sono così. C’è a chi piacciono ecco. “Se un abbraccio si potesse scomparire” comunque, è troppo anche come licenza poetica. Cantante in inglese che almeno non vi si capisce.
Simone Cristicchi (3/10): basta. Lo trovo intollerabile. E una volta i pazzi, una volta quello che muore e si immagina tutte le cose che avrebbe potuto fare. Simone, esci e fatte ‘na vita.
Malika Ayane (7/10): una vocalità indiscussa, indubbiamente una delle migliori sul palco dell’Ariston, con una canzone di poco impatto però, in cui l’impronta di Sangiorgi gravava parecchio sul testo.
Almamegretta (3/10): se la sarebbero pure potuta cavare. Peccato il cattivo gusto dell’ideona di andare a fare i rastafariani con tanto di light designer dell’Ariston che mette luci rosse gialle e verdi -la sagra dell’ovvio- a inneggiare all’erba libera. Ma ancora? Meno male che c’è crisi signori, se pensiamo a come fare a buttar via dei soldi nella marjiuana prêt à porter -lamentandoci poi magari dell’Iva, dell’Imu, del cachet della Littizzetto.
Max Gazzè (6/10): come al solito i suoi brani parlano di disadattati che ti chiamano di notte per dirti che non vogliono fare il solito sesso, di guardoni che ti tengono d’occhio mentre sei in spiaggia col fidanzato o, come quest’anno, di gente che ti suona a casa. Il meeting dello stalker, insomma. E a me Gazzè piace parecchio eh, che è tutto dire.
Annalisa (4/10): questa arriva da Amici di Maria de Filippi. Parlapà si dice dalle mie parti, cioè non parlare, lascia perdere, non aggiungere altro.
Elio e le storie tese (8.5/10): la canzone rompe le palle forte dopo il primo ascolto eh, però ha del genio, della competenza, del talento. Geniali ad averla pensata, talentuosi ad averla realizzata, competenti per avere le conoscenze necessarie a costruire un’impalcatura armonica del genere sotto una melodia composta di una sola nota.
I GIOVANI.
Renzo Rubino (5/10): ecco, la canzone sui gay. Ché c’è bisogno di sensibilizzare come per la violenza sulle donne. Mi mette una certa tristezza. Comunque Rubino non mi è sembrato chissà quanto dotato vocalmente e neanche chissà quanto raffinato nell’interpretazione. Eppure si è preso il premio per critica intitolato a Mia Martini. Il testo moderno e attuale ha avuto ciò per cui era stato realmente scritto. Evvai.
Blastema (7.5/10): li ho apprezzati più dei Marta sui Tubi. Mi sono sembrati più integri e meno corrotti dal Festival, capaci di fare un rock nazionale sicuramente già sentito e anche parecchio scontato, ma di buona qualità.
Il Cile (5/10): ma è voluto che abbiano dato il premio come miglior testo a una canzone che si intitola “Le parole non servono più”? A me non è sembrato niente per cui strapparsi i capelli. Cioè, l’underground è pieno di gente che Il Cile possono prenderlo metaforicamente a calci dal mattino alla sera.
Irene Ghiotto: … forse ero in bagno. Scusate.
Ilaria Porceddu (8/10): sorvolando sul taglio di capelli, la canzone è molto delicata, eseguita con molta grazia e molta dolcezza. Non ho apprezzato la parte cantata in sardo finché non me la sono fatta tradurre da un amico che conosce quel dialetto, scoprendo che avrebbero dovuto trovare il modo di sottotitolarla o altro, perché è una frase davvero ben concepita.
Antonio Maggio (8.5/10): è radiofonica, divertente e ironica. La sentiremo così tanto in radio che romperà le palle alla grande. Per adesso, a piccole dosi, si apprezza e parecchio.
Andrea Nardinocchi (2/10): ditegli di fare altro. Un finto rapper-dj che scrive canzoni con le rime emo che manco i Dari. Sparisci. E lascia qui il Mac.
Paolo Simoni (1/10): no, no, no. Allora: l’idea del brano ricorda “Una musica può fare di Gazzè”, cioè l’elencone dei poteri benefici o meno delle parole. Ovviamente noiosa allo stremo, finto intellettuale, finto riflessiva. Lui poi ricorda Philippe Daverio con tanto di cravattino e canta credendosi Riccardo Cocciante. Altro che giovane: vecchio dentro, vecchio per ispirazione, vecchio con l’odore di giacca di velluto e antitarme. No. Già detto?
Ps. Dov’erano i fiori di Sanremo? Qualcuno era allergico e li hanno aboliti?