Ultimamente mi capita spesso di recensire album di band romane. La scena capitolina è incredibilmente variegata, oltre che di buonissima qualità, e, per me che sono piemontese, scoprire quanto il sound sia differenziato è sempre una sorpresa. Ciò che mi colpisce è soprattutto realizzare una certa affezione verso gli anni 80. Non sono da meno i Black Deep White, che dopo l’Ep Tonight del 2012, tornano con questo full length, Invisible, in omaggio alla celebrare frase tratta dal “Piccolo Principe”: l’essenziale è invisibile agli occhi. Il disco apre con la title-track, una commistione di Elettro Pop anni 90 e synth che strizzano l’occhio a qualche anno prima. Segue “All For You” con il suo cambio drastico di atmosfere e sensazioni, con un fischiettato quasi Folk e sonorità acustiche di sfondo. Il brano apre poco, non c’è una vera e propria esplosione, ma nel complesso non è male. Un’altra sterzata repentina arriva con “Farther Back”, praticamente un brano Disco anni 90, forse addirittura un po’ troppo Disco (e con “troppo” intendo che il primo rimando mentale sono gli Eiffel65). La prosecuzione naturale è la cover dei Level 42, “Lessons in Love”. Le sonorità Elettro Dance proseguono con “Utopia”, sostenuta però da un riff a intervalli brevi piuttosto accattivante. E fino a qui tutto fila piuttosto liscio: la band padroneggia la tecnica con una certa competenza, i brani sono piuttosto omogenei fra loro a parte un paio di inserimenti a cui io magari avrei riservato un’altra posizione nel disco, ma, insomma, è un bel sample. Con “Lost in a Moment” mi si insinua un dubbio però: era il caso di fare un album intero e non valutare la possibilità invece di partorire un altro Ep? Perché in questo brano appaiono ispirazioni alla Marylin Manson e ai Bauhaus, con un utilizzo ben più cupo dell’elettronica, che stride con le tracce precedenti. E di nuovo la formazione cambia registro in “Shattered”, Pop puro e semplice, come se i Negramaro avessero fatto un salto negli anni 80 e gridassero di voler sposare Simon Le Bon. Il mio dubbio sembra trovare una ragionevole conferma di esistere nell’ennesimo cambio di “Up to Some Days Ago”: questi ragazzi hanno davvero tante inclinazioni diverse o semplicemente non hanno ancora individuato la propria strada? “Tonight” e “Loneliness and Death” sembrano confermare una preponderante tendenza danzereccia, ma l’impressione a questo punto è che la Dance venga solo impiegata come pretestuoso calderone di ispirazioni diversissime da esplorare, ma ancora senza la giusta consapevolezza ed espressione di personalità. La capacità tecnica, ripeto, non manca, e, questo è il momento giusto di sottolinearlo, neppure la presentazione: il press kit ha davvero tutto quello che un giornalista vuole sapere ed è incredibilmente ammirevole l’attenzione che viene dedicata ai testi e al concept che sta alla base di tutto il lavoro, ma il risultato è, sciaguratamente, un disco macedonia. Il consiglio è cercare di ascoltarsi di più, di non affezionarsi ai brani in sé, ma capire prima di tutto chi si è.
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Deluded by Lesbians – Heavy Medal / L’Altra Faccia della Medaglia
I Deluded by Lesbians – un nome, un programma – fanno Rock Demenziale. Manco a dirlo. E fare Rock Demenziale è tutt’altro che facile: bisogna saper suonare, certo, e bisogna soprattutto saper far ridere, arte sottile, complessa, che implica l’abilità di trovare i giusti riferimenti, i giusti argomenti, i giusti mezzi retorici perché il messaggio possa arrivare. La band sforna un Cd di tutto pregio: copertina cartonata, che raffigura tre donne in reggiseno e mutandine con le tre medaglie (oro, argento e bronzo) e due cd. Heavy Medal è il primo, L’Altra Faccia della Medaglia il secondo. Che poi si scopre essere lo stesso Cd, con le stesse tracce, ma cantato interamente in inglese il primo e in italiano il secondo. Ah. Un packaging complesso quindi e costi di stampa e realizzazione non indifferenti. Per cosa? Scopriamolo. “The Drummer” (o “Il Batterista” nella versione italiana) è una presa per il culo del mondo dell’elettronica che può fare tranquillamente a meno della figura del batterista. Interessante – sono ironica. “V.I.T.O.A.N.T.O.N.I.O” è indubbiamente una traccia idiota, retta da ispirazioni Punk americano a cavallo tra Green Day e Blink 182, ma non fa assolutamente ridere. Lasciamo stare “Firemen” (“Vigili del Fuoco”) e “Supersummersong” (aka “Canzone dell’Estate”), che proprio non dice nulla. “Onion Rings” è molto più Rock, con distorsioni fuzzate e powerchords. Con “Torture” si scopre che probabilmente sono molto più seri di quanto non vogliano far credere, molto più convinti di sé di quanto non ci si aspetterebbe da una band demenziale. Ed esattamente come si era sentito con “The Drummer”, in cui si diceva che il batterista è inutile per poi farlo entrare nel tessuto strumentale, qui si dice I don’t want distortion e alé con un bordello elettrico esagerato. La gemella italiana, “Cane Morto”, è invece un gran pezzo, bisogna riconoscerlo: il testo è molto più articolato e non si tratta assolutamente solo di una traduzione letterale arrangiata e aggiustata, ma di liriche nuove costruite per immagini giustapposte nervose, arrabbiate, stizzite. Molto ben fatto. “Walking on the Beach” è Hard Rock old school. Non aggiunge assolutamente nulla al genere ma non è assolutamente sgradevole o poco incisiva come le precedenti tracce. Con “Stonehenge” ci si rende conto che i ragazzi non sono completamente bruciati: il brano è davvero ben composto e infatti stilisticamente non c’entra nulla con quanto ascoltato fino ad ora. La chitarra spadroneggia giocandosi il tema principale con il basso, in un bel dialogo di poche battute reiterate. “Pigs Are Indifferent to Gastronomy” vanta un intro Noise alla Sonic Youth che però lascia subito spazio a costruzioni molto più semplici e a un tremendo cantato alla Marylin Manson. E vabbè. Con la title track “Heavy Medal” lo stile musicale diventa Funky, giusto perché mancava un ingrediente a questa macedonia musicale assolutamente incapace di divertire (ma nemmeno di strappare un sorriso eh), suonata da musicisti tecnicamente validi a cui però manca un’omogeneità stilistica di fondo e soprattutto un messaggio vero da comunicare. Cosa che mi lascia perplessa anche sul bisogno di comporre (e incidere!) addirittura in due lingue. I Delude by Lesbians danno l’impressione di credere di aver molto più da dire di quanto non abbiano in realtà, dovendosi rendere persino intellegibili in due lingue. Mah. Sicuramente quello che dimostrano è di avere molti soldi da spendere in studio di registrazione. E beati loro. Voi che magari nel denaro non sguazzate, evitate di comprare questo disco.