Dargen D’Amico live @ Arci Ohibò, Milano, 9 maggio 2015
L’elemento dei live di Dargen D’Amico che mi stupisce sempre è la scioltezza con cui tiene il palco. Non è solo questione di carisma, sebbene il nostro cantautorap ne dimostri a chili (sarà il personaggio: camicia e bodyglasses, umorismo assurdo e nonsense, un’apertura emotiva e un approccio carnale, fisico, che lo fa sembrare quasi un profeta – colpa della barba? – ma un profeta buono, di quelli che non si prendono troppo sul serio). È che lui sul palco è proprio vivo e ti trascina nella sua corsa, e trascina con te quelle quattrocentocinquanta persone che riempiono la stanza ballando, che cantano con lui ogni pezzo, dalle hit disimpegnate à la “Bocciofili” fino ai flussi di coscienza cosmici come “Io, Quello che Credo”. Questa capacità di tenerti attento per più di un’ora e mezza passando attraverso mood così diversi e senza farti soffrire (troppo) i quaranta gradi da foresta tropicale che appiccicavano tutto l’Ohibò è la dimostrazione di quanto Dargen riesca ad essere vero, naturale: crede in ogni singola parola, dalle ironie di “SMS alla Madonna” alle analisi politico-storiche di “Il Presidente”, e te le fa arrivare con la stessa forza. L’esibizione di DD è stata preceduta da un breve live di Edipo, non eccelso nella resa sonora (soprattutto a livello vocale) ma i cui brani hanno sempre quell’aforisma geniale, quell’idea tagliente che ti fa sorridere e pensare (apprezzabili alcuni scampoli di “Terra” e la chiusura con “I Nudisti del Mar Baltico”). Un set anomalo, con (oltre alle basi) chitarra elettrica, batteria, e lo stesso Edipo all’acustica o al piano, che non so quanto abbia giovato ai pezzi. Un antipasto dignitoso anche se non del tutto convincente. Dopo l’antipasto, arriva la portata principale: Dargen sale sul palco accompagnato da Matteo Bennici e parte con una bella versione voce/violoncello/loop station di “Arrivi Stai Scomodo E Te Ne Vai”. Il violoncello di Bennici è un’ottima idea, non fosse che all’ascolto spesso sembra venire fagocitato dalle basi e non si riesce sempre a distinguere dal caos generale. Il live prosegue energico, rapido, sempre intenso: non cala mai. Anche nelle pause, dove Dargen intrattiene il pubblico con il suo stile caratteristico, la partecipazione è sempre alta. Cantano in tantissimi, in molti senza smettere mai. Ogni tanto Dargen esegue un brano a cappella, ed è incredibile come riesca ad avere la stessa forza anche senza basi. Ha dalla sua un mix strano e bellissimo: lo stile vocale, così peculiare e misurato; la scrittura, che non si appoggia mai, sempre in tensione, sempre ambiziosa, anche nei brani apparentemente più innocui; e questo link emotivo tra lui e il suo pubblico, questa sincerità “morbida” di fondo, che è il vero segreto di ogni artista: raccontarti il suo mondo, con i suoi occhi, facendotelo apparire vero, e vitale, mostrandosi nudo, per certi versi – di una nudità estrema, da carne viva. Un’apertura totale che è quasi un paradosso: mettendosi al centro, raccontandosi e quasi confessandosi, Dargen si sottomette al suo pubblico e il suo pubblico, di rimando, lo prende in braccio e lo tiene alto sopra la testa. Non puoi non volergli bene. Dargen D’Amico si conferma uno degli artisti più vitali che possiamo trovare al momento nella penisola, e non intendo solo nel recinto del rap, ma in generale. Intrattiene e fa riflettere, diverte e incuriosisce: è disposto ad accontentare il suo pubblico tanto quanto il suo pubblico vuole accontentare lui. Inoltre – dettagli non da poco – scrive con un’abilità miracolosa, canta con precisione e intensità e musicalmente non ci fa mancare nulla: ogni base pompa con decisione o accarezza con grazia. Se vi capitasse di poterlo sentire live, non perdetevelo: ne vale la pena.