Melodic Hardcore Tag Archive

Spiral in a Straight Line, la spirale emotiva dei Touché Amoré

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L’hardcore melodico della band californiana continua ad essere una forma di terapia inossidabile, oltre i traumi e il caos della vita di tutti i giorni.
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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #20.01.2017

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Recensioni | maggio 2016

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Jenny Penny Full – Eos (Dream Pop, Folk, Psych) 7/10
Misurati e cullanti come la migliore delle ninne-nanne. Un’incantevole voce femminile e tappeti sonori che stregano senza mai eccedere, forse peccando, qui e là, di troppa linearità, ma recuperando altrove in piccole fughe eteree, fumose ascensioni improvvise. Prodotto dalla Vaggimal dei C+C=Maxigross, Eos è un debutto sussurrato, ma convincente.

[ ascolta “Far Continents” ]

Echoes of the Moon – Entropy (Doom Metal, Ambient, Post Rock) 4,5/10
Prolisso e noiosetto concentrato di batterie finte, distorsioni acide, urla distanti e cupezza senza fine. Troppo immerso nei cliché per poter sostenere brani da 10 minuti senza evocare sbadigli o prurito al tasto “skip”. Solo per fan del genere, sfegatati al punto da sfiorare il masochismo (ce ne sono).

[ ascolta “Entropy” ]

Foxhound – Camera Obscura (Alt Pop, Funk) 7/10
L’ex quartetto torinese sembra muoversi con più disinvoltura in questo EP, che in cabina di regia ospita Mario Conte (Meg, Colapesce). Rimasti in tre, i Foxhound continuano a muoversi in territori Funk ma si lasciano andare a sperimentazioni analogiche che li rendono soffici e gradevolmente retrò. Ora che la nuova rotta è fissata e funziona attendiamo la prova in long-playing.

[ ascolta “My Oh My” ]

Blackmail Of Murder – Giants’ Inheritance (Metalcore) 6/10
I bresciani, freschi di contratto con la label Indiebox, ci presentano il loro secondo disco: Metalcore indiavolato come da tradizione Killswitch Engage, Caliban e compagnia bella. Il confronto con i mostri sacri del genere regge bene, compresa la ballata “Whisper”, unica variante di un lavoro che ha come punto debole la troppa somiglianza tra i singoli pezzi, risultando, alla fine, impossibile distinguerne uno dall’altro.

[ ascolta “Never Enough” ]

Oaken – King Beast (Dark Ambient, Post Hardcore) 5,5/10
Gli Oaken da Budapest hanno il coraggio di osare, influenzando il Death Metal con una massiccia dose di Dark Ambient e degli inserti Melodic Hardcore. Immaginatevi dei Converge fatti andare a briglia sciolta e calmati con forti scosse elettriche. I brani sono solo quattro ma durano un’eternità, allungati da contaminazioni a profusione. Si salva la voce femminile che impreziosisce “The Hyena” e poco altro.

[ ascolta “The Hyena” ]

Kai Reznik – Scary Sleep Paralysis (Elettronica, Ambient) 4,5/10
Dalla Francia, un’elettronica cupa e retrò che non stupisce per ricerca sonora né per maestria compositiva, tra arpeggiatori ossessivi e synth poco a fuoco. Un poco più interessanti le voci di Sasha Andrès degli Heliogabale su “Post” e “Nails & Crosses”. Se le atmosfere claustrofobiche sono volute, ci sarebbe da lavorare sui suoni per renderle masticabili e non distrarci troppo con gli spigoli grossolani dell’impianto strumentale.
[ ascolta “Post” ]

HUTA – How To Understand Animals (Alternative, Post-Grunge, Shoegaze) 6/10
Un mix saporito di sporcizia echeggiante attitudine Grunge e tappeti sonori e rumoristici da trip oscuro e nervoso. Il trio di Cuneo sforna un album che non delude dal punto di vista strumentale, abbastanza muscolare e ipnotico da convincere nonostante la voce non eccelsa e i suoni a cavalcioni del confine tra frizzone Noise controllato e amalgama poco riuscito, ribelle, fastidioso. Un equilibrio in bilico che mette in luce una qualche potenzialità senza però esplicitarla compiutamente.

[ ascolta “Hone” ]

Guns Love Stories – The Beauty of Irony (Alt Rock) 6/10
Unite il cantante degli Hardcore Superstar ad una qualsiasi band del filone Emocore stile Silverstein o Emery, per fare due nomi a caso, e avrete ben presente come suonano gli svizzeri Guns Love Stories. L’album gode di una produzione ottima che tira a lucido dieci canzoni ad alto tasso di infiammabilità. Eppure, nonostante ciò, il senso di incompiuto è perennemente dietro l’angolo.

[ ascolta “Predigested Hollywood” ]

Xayra – Resilience Blues (Pop) 5,5/10
Se questo disco fosse stato pubblicato più o meno vent’anni fa si sarebbe potuto tranquillamente gridare al miracolo: sarebbe stato un mix perfetto fra Silencers, Smashing Pumpkins, Ellis, Beggs and Howard e il primo Brit Pop. 
Tuttavia la musica negli anni si è evoluta ed è forse giunto il momento per gli Xayra di aggiornarsi e di adeguarsi ai giorni nostri. Certamente un bel lavoro ma fuori tempo massimo.
[ ascolta “Worries+Faults” ]

Filippo Dr Panico – Tu Sei Pazza (Punk, Cantautorato) 6,5/10
Si può descrivere il rapporto di coppia in musica senza mai delineare troppo il confine tra Punk e Cantautorato? Per Filippo Dr Panico è impresa fin troppo facile. Il suo valore lo aveva già dimostrato con il precedente lavoro, ora però ascoltatevi con attenzione “Bravo a Parole” e la title track meditando sui testi, chissà che non vi identifichiate nelle medesime situazioni. Da segnalare inoltre “Ci Vorrebbe Una Notte”, scritta assieme a Calcutta.

[ ascolta “Ogni volta che te ne vai” ]

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Coffeeshower – Houses

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Quanto abbiamo ancora sulla pelle questo suono? Noi nati negli anni 80 che abbiamo visto le prime creste sulle musicassette dei nostri compagni delle medie, per poi vederle sul cranio dei rappresentanti di istituto, sedicenni liceali brufolosi. E infine MTV che ha ridotto tutto questo ad una bella confezione regalo, buttata in pattumiera poco dopo. In Italia però pare che il buon vecchio Punk “all’americana” (o meglio “alla californiana”) non sia proprio mai veramente stato spazzato via. Rosicchia l’underground, mordendone le gambe con denti sempre più luccicanti, riga da un lato e barboni da hipster. Si potrebbe storcere un po’ il naso al nome Punk ma le radici risiedono ancora nello squallore e nella rabbia, anche se ci avviciniamo a produzioni ben pettinate come questa. Gli abruzzesi Coffeeshower non sono però dei ragazzini a cui piace farsi i fighi con le chitarre, i loro armadi saranno pieni di magliette sgualcite dei NOFX e dischi dei Pennywise. Nati nel 1999 hanno all’attivo numerosi tour in Europa, album e addirittura un Greatest Hits. Ma soprattutto una costanza che è degna di chi la musica non la prende nè come lavoro nè come passione, ma come vera e unica compagna di vita. Houses è un disco cliché, poco da aggiungere. Solo tanto sudore, passione e voglia di suonare vivi, cercando (perché no?) di stare al passo coi tempi. “Tom Sawyer” viaggia in quell’Hardcore melodico che non può che fare rigonfiare i polsi di sangue. Basso e batteria roboanti, chitarroni da salti a pie pari. La produzione americana si sente in tutte e tredici le tracce del disco. “It’s Your Birthday” e il singolo “Broken Pieces” sono adolescenziali come l’amore per questo sound, come quella voglia di ribellione che per fortuna fa fatica a svanire. L’aggressività non molla mai la presa e vede il suo apice in “Four Walls”, il growl alla voce è una mina, un pugno in faccia, un’onda anomala.  Il resto del disco fila dritto, sempre ben apparecchiato. Per fortuna ci regala ancora un paio di deviazioni (mai forzate) nelle due strumentali “Houses”. Sentieri verdi e freddi. La prima parte sembra ambientata in un bosco del nord Europa, la seconda in una grande metropoli statunitense. Due concetti diversi di casa, ma la stessa sensazione di famiglia. “Houses Pt.2” ci porta dritti verso l’ultimo brano del disco “The Sentimental/Favourite”, un  pezzo che sottolinea la maturità compositiva dei Coffeeshower. A loro detta “solo una band con uno stupido nome”, a mio parere solo quattro ragazzi un po’ cresciutelli che prendono in mano i loro strumenti ancora con la necessità di voler sputare fuori il veleno. E perché no di divertirsi anche se i vent’anni sono passati da un pezzo.

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Day After Rules – Innocence

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I lodigiani Day After Rules arrivano al secondo lavoro con l’attuale formazione con una buona padronanza degli stilemi del Punk pucciato nel Pop, quell’Hardcore melodico di stampo americano che ha grande successo oltreoceano. Il loro Innocence è un concentrato (sette brani per meno di diciassette minuti) di batterie pestate, chitarre taglienti e una voce (femminile) che sa muoversi tra cantato e urlato con facilità. Se a livello di suoni si può ancora migliorare molto (la batteria suona artificiale e le chitarre in alcuni frangenti appaiono troppo acide) sulla composizione e l’esecuzione siamo ad un buon livello per il genere: i Day After Rules non inventano granché, ma sanno accelerare e rallentare come si deve, spingere quando la musica si gonfia e prende la rincorsa, ripiegare sulla morbidezza e l’armonia quando invece la marea scende (molto apprezzabile l’ondeggiare di “No More Future”, che ha pause quasi Post-Rock). Non fraintendetemi: il disco suona bello cattivo, schiaffeggia a dovere, merito soprattutto delle ritmiche e della voce mai fuori posto di Giulia, cantante e chitarrista, che ci porta alla mente, qua e là, sia una Hayley Williams che una Brody Dalle. Un buon disco di Hc Melodico, tirato, pestato, e sapientemente svuotato e ammorbidito quando serve. È suonato bene e scritto bene per il genere che incarna: forse una minore aderenza al canone avrebbe giovato alla speranza di vita di Innocence, che comunque ci presenta una band che ha studiato e sa addossarsi la responsabilità delle proprie scelte.

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