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TreesTakeLife – Sounds From Today
TreesTakeLile è un progetto musicale nato nel 2009, un trio di ragazzi romani con un approccio musicale trasversale, focalizzato sui suoni e sul loro utilizzo. I progetti che li vedono coinvolti, sono tanti e per lo più prevedono l’uso della musica come sostegno e supporto alle immagini, ma non mancano le vere e proprie produzioni strettamente discografiche, e infatti dopo un EP e un primo album esce, a tre anni di distanza dal precedente, Sounds From Today. Sei tracce autoprodotte, che racchiudono in sé la sostanza dei TreesTakeLife, musica, emozioni e immaginazione. I suoni sono moderni, elettronici, universali e contemporaneamente portatori di piccole cose, facile lasciarsi trasportare dal flusso di connessioni e immagini. “Alym” e “Neptunes”, sono le tracce più ricche di Elettronica e di beat, hanno una natura duplice che si destreggia tra morbidezza e algidismo, la prima più aliena e distante, un ricco e brulicante mondo sotterraneo in fermento; la seconda gioiosa, ritmata, acquatica, gentile con chi vi s’immerge. “Space”, pulsante e ripetitiva è la cosa che più si avvicina a un brano strumentale Post Rock, ma in versione più asciutta e minimalista. “Come Back” è calda e avvolgente, soprattutto grazie alla chitarra acustica e ai cori, è la traccia più terrena di tutte, il suono di un’ancestrale festa contadina. Chiude l’EP “Outro” la più breve e primordiale, che attraverso riverberi profondi e basso sembra lasciarci con un mantra viscerale. Sound From Today è album intenso con una portata ampia e un grande potenziale interpretativo da parte di chi ascolta. I TreesTakeLife dimostrano con questo nuovo tassello di essere un progetto olistico nell’accezione più pura, quella da “Treccani”, che li rende una realtà che nel suo complesso presenta delle caratteristiche proprie che vanno aldilà della somma delle sue parti. Un ascolto per chi ama lasciarsi trasportare dalla musica e immaginare quale forma potrebbe assumere, come quando da bambini si giocava con le nuvole.
TreesTakeLife _ Come Back from Renato Muro on Vimeo.
Murcof & Philippe Petit – First Chapter
Questo primo capitolo è anche la prima collaborazione tra il barbuto genio (dell’Elettronica) di Tijuana Fernando Corona (in arte Murcof), dal 2001 in poi autore di alcune delle più luminose gemme Drone Music, Minimal/Ambient Techno e Glitch come Remembranza del 2005 e Philippe Petit, multistrumentista marsigliese, ex giornalista e Dj fortemente legato agli aspetti più sperimentali della musica Elettronica e Rock. L’opera è un trittico di brani, per una durata complessiva che raggiunge i quaranta minuti, che si rivela uno strumento di ricerca interiore attraverso l’esperienza meditativa. Lo stile utilizzato è quello consono ai due artisti e il più efficace per raggiungere il suddetto obiettivo. Si passa quindi dall’Elettronica Minimale alla Musica Cosmica, dall’Ambient alla Musica da Camera, passando per gli inserti elettronici Glitch tipici del messicano. Il pezzo d’apertura, “The Call of Circé” racchiude nella sua imponenza tutte le caratteristiche di quest’unione artistica, iniziando con una lieve, delicata, spaziale salita sonica che sfocia nei vocalizzi e nei cori barocchi del mezzo soprano Sarah Jouffroy. La manipolazione sonora di Murcof è già qui evidenziata e portata a livelli sublimi ma, nei passaggi successivi, riuscirà con prepotenza a mettersi in mostra, con vesti nuove, pur nella magniloquenza della multi strumentazione del francese.
Esempio di questa commistione tra struttura e aggraziato caos rumoristico è il secondo pezzo, “Pegasus”, nel quale è addirittura introdotta un’inquietante reminiscenza mediorientale nelle note di Philippe Petit coadiuvato dalla viola da gamba di Gabriel Grosbard. Se questi primi due lunghi momenti dell’opera prima del duo hanno rilevato la stilistica pura, nell’ultima traccia, “The Summoning of The Kraken” si concreta tutta la materia oscura accumulata in precedenza. Gli elementi d’angoscia e tensione sono sottolineati anche dalle puntuali pause mentre, a differenza della prima parte, sono ridotte all’osso le intelaiature più vicine alla realtà, preferendo scenari di stampo metafisico. Sono quindi gli iniziali circa venti minuti di “The Call of Circé” che danno a First Chapter tutta la sua forza espressiva. Sta tutto in quella cavalcata morbida; tutta la tecnica, il tocco magico e la natura psichica del duo che proprio in quel brano può trovare la propria strada eventuale futura, sviando da un semplicistico accostamento delle due forme espressive alla ricerca di una sommatoria che sia più della semplice addizione formale. I due passaggi successivi rivelano invece alcune sostanziali debolezze che vanno dall’eccessiva ostentazione manierata e convenzionale di “Pegasus”, al caos smodatamente deforme del brano di chiusura. Nessuna bocciatura, dunque, per questa coppia in prova che anche in quest’occasione si mostra un gradino sopra alla concorrenza ma solo l’esternazione di una speranza che ha sfavillato nella mia mente durante l’ascolto di “The Call of Circé” e che, per ora, resta tale. Una speranza.
Bruno Bavota Ensemble – La Casa Sulla Luna
La copertina di questo album fatta da disegni semplici, colorati con colori primari, in primis un bellissimo blu notte, e un musicista che con il suo pianoforte raggiunge la luna, mi ha riportato alla mente quando da piccola lessi il Piccolo Principe. Quel musicista che cavalca la nuvola della musica è Bruno Bavota, pianista e compositore partenopeo che nel 2013 esce con il suo secondo album La Casa Sulla Luna, per la Lizard Records.
La Casa sulla Luna è un album di nove tracce strumentali, dedicate nella maggior parte dei casi alla signora luna. “Ho comprato casa sulla luna, qui non ci sono oceani da solcare ma crateri da riempire. Ho comprato casa sulla luna, qui non c’è suono. Come un ruscello canto la mia melodia alla notte”. La luna e la notte che da anni e secoli sono le protagoniste più gettonate non solo della storia della letteratura ma anche della musica, continuano ad esserlo anche nel 2013 e non stupisce che un giovane e romantico compositore possa aver ceduto al loro fascino. Al fascino di una melodia malinconica e di un pianoforte senza tempo, che però il tempo ce l’ha eccome e non solo uno preciso di metronomo ma un tempo di un determinato momento storico musicale, quello minimale/contemporaneo, a cui paragonarlo. Si potrebbero fare dei nomi, come lo stesso Bavota fa sul suo profilo Facebook e sulle sue biografie: Ludovico Enaudi, Roberto Cacciapaglia, Giovanni Allevi …ah no questo non era citato, ma può sempre saltare alla mente anche se cosa abbastanza scontata.Ritornando al disco, “un viaggio musicale della durata di 36 minuti”, potrei dire che uno dei pregi è sicuramente il bel timbro dello strumento principale, un pianoforte Steinway&Sons model D-274, e il piacevole impatto che l’orecchio ha con tutti i nove brani. Brani romantici, malinconici, sereni, a seconda del momento, utili per fare da sottofondo a foto di ricordi romantici (magari anche di qualche ex che vuole farsi del male). Piacevoli anche e soprattutto i brani dove il pianoforte duetta con il violoncello di Marco Pescosolido e il violino di Paolo Sasso. Dall’album è stato anche estratto un singolo che poco tempo fa è diventato video ufficiale e si tratta di “Amour”, girato nella stazione londinese di St. Pancras. “Un pianoforte risuona in solitudine tra pochi passanti.Là dove, tra addii, rincorse e sguardi fugaci tra passanti indifferenti, gli amanti si stringono forte l’un l’altro…”.
Tutto gradevole ma qualche interrogativo può saltare in mente. Del tipo: perché con uno strumento così potente come il pianoforte, che per secoli ci ha abituati a Bach, Mozart, Beethoven, questo giovane musicista non si spinge oltre? Oltre il limite del suono, dell’armonia e di ciò che è conosciuto? Perché si ferma nell’atmosfera scontata di suoni e di melodie già un po’ sentite? Per quale motivo dovrebbe essere ricordato? Nonostante i tempi che corrono, le industrie musicali, il sempre più fiorente moltiplicarsi di gruppi, musicisti e album, e l’estrema facilità che si ha oggi nell’ascoltare musica, l’ascolto vero, studiato che diventa piacere assoluto rimane sempre cosa difficilissima. Infine è pur vero che nell’assoluto c’è il bisogno di avvicinare i giovani alla musica classica, ma non bisogna sempre farlo con la pappa pronta alla mano, anzi all’orecchio. Nonostante queste mie riflessioni, certamente scaturite dall’ascolto de La Casa Sulla Luna (e questo lo inserirei nella lista dei pregi), rimane un lavoro gradevole e ben suonato.