Dentro c’è tutto: indie, brit, pop, grattini sixsteen e una grande facilità di calarsi nelle antenne musicali di tutti, di molti, una mezza freschezza che arriva da lontano, magari anche dietro l’angolo. “Monna Lisa Store” è il disco dei Flowers, fiori elettrici della provincia di Piacenza che – alla faccia delle differenze climatiche – portano i calori “stemperati” di Terra d’Albione fino dentro i nostri riproduttori di suoni, quella compagine sonora che tanto a riversato nelle planimetrie amplificate di mezzo mondo, ma appunto sono storie passate, già appartenenti agli annali della storia e dunque tanta energia adoperata dai nostri Flowers all’interno di questa tracklist – ottima e carboidratica – potrebbe apparire poco giustificabile se non addirittura troppo “adesiva” alle forze originali, ma se non si hanno poi velleità a comparire tra i primi della classe, tutta va bene e tutto fa brodo, anche un disco “omaggiante” – che so – a band come Supergrass ai velenosi fratelli Gallagher può starci.
Cantato in inglese, il lotto è tuttavia responsabile di una bella ambientazione di gruppo, collaudatissima l’architettura generale della timbrica e degli arrangiamenti, a tratti vintage con un bella passata di Hammond “Let me”, la “passeggiata sulle coste di Dover” in compagnia appunto dei Supergrass “Four in a row”, “It’s gonna be all right”, bellissima la Oasisiana ballad che griffa “Just another song”; l’attenzione dell’ascolto va comunque alla capacità di assemblare una stilistica rinata all’insegna della rivisitazione perfetta, alla accentuata bravura di creare una vera “sinfonia all english” nel giro di pochissimi minuti e di catturare la simpatia dei più refrattari con polluzioni distorte e epilettismi “Easy to do, hard to explain” o con il birichino caracollare pensieroso e poppyes di “For any time” per la gioia di tutti.
Oltre ad Alex, Steve, Mel e Mark, partecipano all’avventura anche Andy McFarlane (Rock’n’roll Kamikazes) e Paolo “Apollo” Negri (Link Quartet) e quello che alla fine ne viene fuori è un disco estremamente comunicativo, agli antipodi del nuovo, ma che applica vistose macchie di bel colore su di un panorama musicale vuoto di tutto, pieno di niente.