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Recensioni | ottobre 2014
Montauk – Montauk (Alt Rock, 2013) Voto 7/10
Scoperti con colpevole ritardo, i quattro bolognesi che si celano dietro le leggende di Montauk, propongono un Alt Rock cantato in lingua italiana che si miscela alle illustrazioni e prosegue la strada del miglior Rock underground italiano anni 90.
Dark Lunacy – The Day of Victory (Symphonic Death Metal 2014) Voto 7/10
Ennesimo album della scena Metal made in Italy degno di lodi. The Day of Victory dei Dark Lunacy è una vera martellata vichinga sui denti!
Sundance – House of the Sun (Folk Rock 2014) Voto 7/10
Max e Davide non ci pensano su due volte prima di riesumare Jeff Buckley. Due chitarre come vanghe a scavar nel suolo, giù verso l’essenza stessa della musica. Un biglietto in prima fila per i puristi classe 1990; uno spettacolo da evitare per gli avanguardisti alla ricerca dello schema perfetto.
Leo Folgori – Vieni Via (Cantautorale, Folk Rock 2014) Voto 7/10
Storie di ultimi ed esclusi, indifferenza e diversità. Tra Fabrizio De André e Pier Vittorio Tondelli, tra il cantautorato italiano classico ed echi d’America. Una voce ipnotica e sghemba per un disco dalla schiena dritta.
Sparkle in Grey – The Calendar (Ambient, Sperimentale 2014) Voto 6,5/10
Una confezione variopinta e interessante, con libricino illustrato accluso: canzoni come mesi del calendario, in bagni di chitarre, violini, rumori, che ci trascinano per atmosfere rarefatte e lievi, col dubbio che sia più interessante il fuori che il dentro.
La Dodicesima Notte – Il Venerdì dei Mostri (Alt Rock, 2013) Voto 6/10
Alt Rock in lingua italiana che miscela Stoner, Post Grunge, Shoegaze e Noise risputando un suono classico per certi versi, elaborato ma non complesso con uno stile perfetto per trovare consenso nel pubblico underground attento alle liriche oltre che alla musica.
Bjorn Pehrson & The Late Sound Band – Fire (Blues Rock, Funk 2014) Voto 6/10
Un Ep che inaugura la collaborazione tra un cantautore olandese e una band tutta italiana, fatto di liriche easy e vocazione Blues riarrangiata in chiave Pop Funk. Blues spensierato? A dirlo suona un po’ come un ossimoro ma il risultato non è poi così blasfemo.
Fankaz – Burning Leaves of Empty Fawns (Hardcore, 2013) Voto 5/10
A distanza di quattro anni, torna la band Skate Punk di Ferrara con un lavoro maturo, pieno di collaborazioni senza troppa voglia di osare e staccarsi da certi cliché del genere. Liriche in inglese per un lavoro ben fatto e poco più.
Montauk – S/t
Altro disco che riscuote interesse già dal packaging, in cartone grezzo, tenuto chiuso da un comunissimo elastico di gomma e che contiene una serie di immagini, disegni, illustrazioni. Questa è la faccia dei Montauk, che dicono di loro, in terza persona: “[Montauk] non è i Fugazi né gli Husker Du e nemmeno i Fine Before You Came, non siamo Il Teatro Degli Orrori, Montauk è un teatro di strada, acceso sotto le insegne al neon, in una città che sembra in festa e che invece vuole solo guardarsi allo specchio”, che è come dire tutto e niente.
Andiamo quindi oltre la faccia e le parole, dentro il groviglio sporco di questo disco omonimo dai suoni taglienti e impastati, dove abbondano distorsioni e voci arretrate, che parlano, gridano e osservano le cose con uno sguardo urgente, a volte rassegnato, spesso adolescenziale (“prova tu a pensare guardando il mondo come un ragazzo”, “Il Mondo”), quasi sempre appassionato (“la rabbia è una religione”, “Song No Tomorrow”).
Il disco fila, tutto sommato: i pezzi si lasciano ricordare e ri-ascoltare volentieri, tra ritornelli da Rock italiano (“Io”) e la modernissima morbidezza violenta o violenza morbida che va così di moda ultimamente (la parlata de “Il Bruco”,“Il Mondo”, ma in realtà tutto il disco). Alcune idee sono musicalmente godibili ma, forse, fanno poco per elevare i Montauk al di sopra della media nazionale dei gruppi Indie-Rock-Pop (tipo Fast Animals & Slow Kids, per intenderci). La voce esce poco, quando esce non brilla di personalità, ma è un genere, questo, che accetta di buon grado la semplicità vocale, per cui potrebbe accadere che una voce simile, alla fine, sia la voce perfetta per i Montauk.
Insomma, un esordio sicuramente senza infamia, ma anche senza troppa lode. La speranza è che i ragazzi proseguano a testa alta il loro personale percorso e che nelle prossime produzioni facciano uscire di più le loro voci (in tutti i sensi), cosicché non si debba più dire “i Montauk non sono questo, non sono quest’altro”, ma solo che i Montauk, alla fine, sono i Montauk. E basta.