Da sempre teso verso la ricerca sonora estrema ma pur sempre legata ai classicismi meno anacronistici, il marsigliese Philippe Petit celebra i suoi trent’anni di attività con un album che si lega inevitabilmente alle esperienze consumate fatte di manipolazione, field recordings e composizione pura ma lo fa, questa volta, con orecchio rivolto maggiormente agli aspetti melodici. Ovvio che chi si è già imbattuto in passato in opere di Philippe Petit, non si aspetterà quel tipo di melodia di facile ascolto caratteristica dell’Elettronica da dance floor più spicciola. I tre brani (il terzo in due distinte parti) che vanno a formare Multicoloured Shadows sono infatti pregni di quella tensione nervosa, evocativa ed eterea cui il francese ci ha abituati; una miriade di riverberi, ritmiche cupe, una miscela di rumore che pare sprigionarsi dai posti più remoti dell’universo, della terra o della nostra mente in preda a sogni/incubi frenetici. Continui controtempi fanno da specchio alla strumentazione classica generando brani dalla struttura precisa ma con un apparente caos di fondo. Un album di Elettronica moderno ma che sembra giunto a noi dal glorioso passato della Berlino dei Sessanta e Settanta, un’opera che mostra, come uno specchio appunto, il suo lato più istintivo e nello stesso tempo la sua veste più celebrale, a seconda del punto di osservazione dell’ascoltatore, un’opera che mostra il compositore transalpino, o meglio la sua musica, in tutte le sue forme, come una danza di ombre, ognuna colorata in modo diverso, ma che insieme formano il dipinto fantastico delle emozioni umane.