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Le Classifiche 2016 di Silvio “Don” Pizzica

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Il Babau e I Maledetti Cretini – Il Cuore Rivelatore

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Non ascoltate questo disco, non guardate queste immagini, non leggete questa storia. Gettatelo nel fuoco prima che sia troppo tardi. Dio abbia pietà di noi.

Prende forma la Trilogia del Mistero e del Terrore, con questa seconda prova, Il Cuore Rivelatore, ancora una volta opera ispirata da un racconto del maestro Edgar Allan Poe. Il primo capitolo, La Maschera della Morte Rossa, è un racconto che narra di una pestilenza e delle vicende del principe Prospero, il quale si rifugia in un palazzo per evitare il contagio per poi essere raggiunto e ucciso insieme ai suoi invitati dalla Morte Rossa durante un ballo in maschera. Il secondo fonodramma riprende la stessa linea guida ma stavolta si basa su una narrazione ancor più nota dell’autore di Boston e, dalle precedenti atmosfere medievali e diaboliche, si passa a un contesto più inquieto e ansioso.

Sotto la produzione artistica di Roberto Rizzo, Il Babau e I Maledetti Cretini confezionano un’opera perfetta sotto ogni aspetto, a partire da una ricercata prefazione firmata Dr. M. Scheller e strutturata secondo un artificio noto in letteratura, per cui tale dottore (proprietario dell’etichetta Btf) avrebbe finalmente trovato il disco e la trilogia in un imprecisato futuro e abbia lasciato scritte alcune parole per ammonire chiunque a stare lontano da queste opere malefiche e maledette, come si trattasse di un cimelio oscuro. Anche il resto del libretto di quasi cinquanta pagine è di pregevole fattura con le illustrazioni di Gianni Zara ad alternarsi alle parole dei vari brani riportate sia secondo l’originale in inglese di Poe, sia con la traduzione italiana degli stessi artisti.

Per quanto concerne l’aspetto musicale, Il Cuore Rivelatore è di difficilissima catalogazione e valutazione. Il canto è quasi totalmente assente, visto che Franz Casanova si limita, per modo di dire, a recitare i testi con qualche divagazione più melodica e cori surreali di Andrea Dicò. Stessa cosa per melodia e forma canzone. Il resto del lavoro affidato alle sue tastiere, alla batteria di quest’ultimo e alle chitarre di Damiano Casanova, si risolve in un Progressive di avanguardia che tanto si rifà alle opere dei maestri del genere anni Sessanta e Settanta, con una notevole propensione per gli aspetti più psicotici e psichedelici e, alternativamente, a un sound minimale e aggressivo che, in talune reiterazioni ritmiche, ricorda anche le sperimentazioni degli Swans più nevrotici.

Come detto, la valutazione di questo disco è cosa in sostanza impossibile, se si vuole inserire in un ambiente prettamente discografico. Al di fuori dei confini non ha certo la forza, causa lingua italiana, per attecchire e sotto l’aspetto musicale tutto è forgiato per far si che le note rendano nel migliore dei modi le sensazioni date dal momento narrante, l’agitazione e la tensione crescente, senza distogliere l’attenzione dalle parole. Del resto, non siamo di fronte ad una serie di canzoni o a un semplice concept album ma a un vero e proprio fonodramma, la cui musica ha solo lo scopo predetto, senza fare troppi sforzi per agognare e individuare una stilistica davvero avanguardistica. Il Cuore Rivelatore è un disco/non disco che quasi non ha valore sotto l’aspetto musicale, o meglio, ne ha nei limiti del suo seguire le dinamiche standard del Prog, forgiato da una band che ha l’incredibile merito di aver riscoperto e reinventato la traduzione musicata di opere letterarie, scegliendo di concentrarsi sugli aspetti enigmatici, tetri ed estrosi di tali opere. In questo caso, forse anche più che nell’episodio precedente, l’obiettivo è stato raggiunto pienamente, con una grande cura per i dettagli, musicali e non, esecuzioni impeccabili, eccellente resa sonora della fluidità del racconto e ottima capacità recitativa. Basta questo per definire Il Cuore Rivelatore un grandissimo album.

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Elisa Rossi – Eco

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Dopo Viola Selise e Il Dubbio pubblicato nel 2013, torna la cantautrice riminese con un Ep Pop che più Pop non si può e lo fa con sette tracce gradevoli sia per la voce, sia per melodie e arrangiamenti semplici ma che rendono perfettamente l’idea stilistica di Elisa Rossi. È lei stessa a comporre e scrivere i testi di queste canzoni apprezzabili, con il tutto a fare da cornice brillante ma non invadente al suo canto audace che vuole farsi portavoce del proprio Io, attraverso uno stile energico, passionale, a tratti enigmatico. “Tempo fa ho letto che il profilo è l’immagine di noi stessi che conosciamo meno eppure il suo disegno ci rappresenta in maniera inequivocabile. Il volto di profilo si può disegnare con un unico tratto continuo. È un segno forte, essenziale ma riconoscibile e io, essenzialmente, non faccio altro che seguire la linea del mio profilo e raccontarne i tratti attraverso le canzoni, per riconoscermi e rendermi riconoscibile agli altri”. Questo è l’archetipo essenziale di Eco, secondo la stessa Elisa Rossi e presenta esattamente il senso di questo lavoro della vincitrice 2007 di Musicultura. Un’opera che con semplicità e decisione riesce a esprimere tutta l’artista. Un estended play Pop nel senso più classico del termine, con piccolissime e dosate intrusioni elettroniche e qualche melodia eterea che finisce per accostarla al più delicato Dream Pop e la rende perfetta overture dei live di uno dei più grandi interpreti del cantautorato alternativo tricolore, Paolo Benvegnù. Eco non è qualcosa adatto a chi nella musica cerca forzatamente le spigolature, a chi nella voce non cerca la perfezione estetica e nei testi vuole aggressività e attitudine Punk Rock o malinconia hipster ma è innegabilmente un lavoro confezionato con cura ammirevole, tanta da non poter passare inosservata.

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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #18.11.2016

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VIAGGI MUSICALI | Intervista ai Push Button Gently

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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #11.11.2016

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Mike Spine – Forage&Glean

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L’artista di Seattle fa le cose in grande e pubblica per la Global Seepej Records questo doppio best of che raccoglie le sue migliori canzoni divise in due diverse anime, quella più Folk del volume uno e quella più Punk del volume due. Dopo dieci album all’attivo, Mike Spine, nato nella terra del Grunge ma che divide la sua vita con l’Europa, pubblica per la prima volta un lavoro nel vecchio continente ed anche per questo motivo il suo nome non è ancora materia per le masse, nonostante abbia suonato in ogni dove dividendo il palco con Los Lobos, Creedence Clearwater Revisited, Damien Jurado e tanti altri. Pur non essendo eccessivamente legati stilisticamente, se si esclude la materia prima Folk, la figura di Spine e le sue liriche quasi seguono il solco di quel Billy Bragg che fu strenuo avversario del thatcherismo in Inghilterra. Mike Spine, come il britannico, usa la sua musica, le sue parole e la sua voce per raccontare le vicende e le esperienze dei lavoratori delle diverse città in cui ha soggiornato, osteggiando le ingiustizie sociali, finanziarie e ambientali tanto nei fatti quanto artisticamente. Proprio Billy Bragg affermava: “Io non sono un cantautore politico. Sono un cantautore onesto e cerco di scrivere onestamente su ciò che vedo intorno a me in questo momento”. Questa frase trova altresì applicazione in Spine e quest’onestà la ritroveremo in tutte le trentadue canzoni che compongono Forage&Glean, registrate, per la cronaca, negli studi Haywire Recording di Portland da Rob Bartleson (Wilco, Pink Martini) e masterizzato da Ed Brooks (Pearl Jam, R.E.M.) a Seattle. Prima di giungere a questa raccolta, il musicista ha militato nella band At the Spine pubblicando cinque album che miscelavano il Punk ricercato di The Clash, alla potenza del Post Hardcore, l’intensità di Neil Young al Grunge dei Nirvana; nel 2010 la prima svolta con la band The Beautiful Sunsets, con cui pubblica Coalminers & Moonshiners e, finalmente, nel 2015, il primo album solista; nel mezzo, una serie incredibile di concerti e un tour europeo con la polistrumentista Barbara Luna. Forage&Glean non è dunque semplicemente un’ammucchiata di vecchie canzoni ma un viaggio a ritroso nella vita di Spine, che ripercorre le sue esperienze artistiche e di vita dall’oggi agli esordi, dall’Europa agli States, impreziosendosi delle tante anime con cui è entrato in contatto.

Stilisticamente, oltre ad una voce accattivante che, nella timbrica, molto ricorda quella del cantautore di Huddersfield, Merz, tutte le influenze già citate si ritrovano con una certa facilità, e se nella prima parte è il folk e la melodia a farla da padrone, con pezzi che lasciano spaziare la mente tra reminiscenze di Dylan, Young e Van Morrison, il secondo volume è di tutt’altra fattura, con pezzi veloci, aggressivi, che si distaccano dal Folk per inseguire un alternative e Hard Rock dall’attitudine Punk totalmente inaspettato viste le premesse dei primi brani tanto che andrebbero scomodati termini di paragone quali Beck, Pixies o Sonic Youth per rendere l’idea ma anche Okkerville River pur consapevoli che tra Spine e Will Sheff c’è una bella differenza a favore di quest’ultimo.

Detto tutto questo ci si aspetterebbe un apprezzamento incondizionato a Forage&Glean ma non è così perché, se è vero che la varietà stilistica espressa può accontentare palati dalla diversa sensibilità e se apprezzabilissimo è il tema dell’impegno sociale, è anche vero che questa sorta di punto di arrivo per Spine, vuole essere anche un punto di partenza per puntare a un pubblico più ampio, il quale rischia di finire in confusione per la troppa carne messa sul fuoco. Si aggiunga a questo il fatto che la proposta vista da ogni punto di vista non ha nulla di originale e che le doti del musicista di Seattle sono ben lontane da quelle dei suoi padri putativi ecco che viene a forgiarsi un giudizio che non può andare oltre una timida valutazione.

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L’immenso Club to Club 2016

Written by Live Report

Il mio Club to Club inizia qualche mese fa, quando, durante una serata al Garbage Live Club di Pratola Peligna dedicata alla Warp Records, un mio amico dj e futuro compagno di avventura a Torino, viene da me con entusiasmo fanciullesco e mi dice: “Oh, a novembre si parte”. “E dove si va?”, faccio io. “Al Club to Club; ci sono gli Swans“. “E chi altro?” dico. Lacrime agli occhi ed eccitazione alle stelle. “Autechre e Amnesia Scanner bastano?”. Basteranno.

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La Band della Settimana || Hope You’re Fine Blondie

Written by Novità

Un trio Trevigiano formato da Paolo Forte (chitarra e voce), Luca Ramon (Batteria e cori) e Nicola Gubernale (Basso).

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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #04.11.2016

Written by Playlist

Wild Beasts @ Circolo Magnolia, Segrate (MI) 25/10/2016

Written by Live Report

Il loro ultimo lavoro in studio (Boy King, uscito lo scorso agosto, il quinto sotto Domino Records) è stato l’ennesimo tiro messo a segno per i caleidoscopici Wild Beasts, da ormai un decennio tra i più compiuti e concettuali nel panorama Indie Rock britannico.

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Parranda Groove Factory – Nothing but the Rhythm

Written by Recensioni