My Chemical Romance Tag Archive
Soldiers of a Wrong War – Slow
Bassi incisivi, chitarre graffianti, drumming preciso più di un orologio svizzero e una voce con una pronuncia inglese invidiabile: queste in sintesi le qualità dei Soldiers of a Wrong War. Del resto è lo stesso quartetto (tutto made in Italy!) a dichiarare: “Viviamo, sanguiniamo e respiriamo per la musica: è qualcosa che va oltre le parole, le melodiee le note mescolate insieme, la musica è la nostra linfa vitale, la musica è dove noi prosperiamo!”. E come dar loro torto dopo aver ascoltato decine di volte in loop continuo l’ep Slow composto da (purtroppo) soli tre pezzi. Tre minuti circa per brano, appena dieci in totale di puro Rock alternativo. Tuttavia la qualità è davvero evidente ed il disco è la logica conseguenza di quel Lights & Karma che quasi quattro anni fa seppe entusiasmare i loro fans. La titletrack ha un sound determinato, tagliente, ma allo stesso tempo facilmente assimilabile da ogni vero amante dell’Alternative Rock con venature che talvolta ricordano i migliori U2 recenti e un po’ più spesso i Linkin Park. “Walls” è invece una ballad descritta dal gruppo come “una tempesta che ritrova l’abbraccio della luce per poi tramutarsi in un uragano”. Un vero e proprio uragano sonoro che ricorda i Lost Prophets e che fa da spartiacque con “Inside my Bones” che chiude con dignità questo Ep. Se qualche fan si era distaccato negli anni dal gruppo, ascoltando Slow sicuramente si riavvicinerà, ma di certo l’obiettivo dei Soldiers of a Wrong War sarà quello di conquistare anche nuovi adepti per la loro musica. E se ci sono riusciti con me che normalmente ascolto generi molto diversi, sono sicuro che potranno convincere facilmente anche voi. Del resto anche l’Ammonia Records ha già scommesso su di loro pubblicando questo Ep che certamente è una piccola gemma sonora di quest’anno che si sta per chiudere e che troverà il suo giusto mercato spingendosi anche oltre la nostra penisola.
Consigliatissimo a tutti i sostenitori di Afi e My Chemical Romance!
Sleepmakeswaves – Love of Cartography
Quando decollano le prime note (“Perfect Detonator”) del secondo full length targato Sleepmakeswaves, la prima preoccupazione da cui il mio istinto ha cercato di sfuggire è stato dovermi sciroppare dieci pezzi di una mistura Emo Pop dalle venature sinfoniche con un qualche vocalist dall’imbarazzante intonazione in stile Gerarg Way (My Chemical Romance) a massacrare la mia pazienza. Per fortuna, la memoria funziona ancora abbastanza bene e, con facilità, ho potuto distinguere, nelle note di Love of Cartography, lo stesso stile (una specie di Ambient Rock prettamente strumentale) melodico e dalle tendenze a una certa epicità che mi colpì, senza far danni, tre anni orsono con …And So We Destroyed Everything e ancor prima, nel 2008, con In Today Already Walks Tomorrow (non sono queste però le prime produzioni del quartetto di Sidney, le cui radici vanno invece ad affondare ancor più in là, agli inizi del 2007).
Rispetto al passato, il sound di Jonathan Khor (chitarre), Alex Wilson (basso, programming, tastiere), Tim Adderley (batteria) e Otto Wicks-Green (chitarre), diviene ancor più rapsodico, gonfiandosi di un’energia che si sfalda nell’ inoltrarsi dei minuti, disfacendosi nell’incapacità di plasmare una trepidazione sonica di sorta. Perspicace la scelta di non abbandonare la melodia, alla ricerca di una sperimentazione che li avrebbe resi ancor di più difficile ascolto e costruttivo è l’uso dell’elettronica che si fa più incalzante da “Emergent”. Eppure, Love of Cartography annoia, non incanta, non fornisce la giusta carica che solo certi album strumentali riescono a dare (penso a Lift Yr. Skinny Fists Like Antennas to Heaven! dei Godspeed You Black Emperor! o The Earth Is Not a Cold Dead Place degli Explosions in the Sky) e finisce per somigliare a un album ancora abbozzato al quale si debba aggiungere una voce, più che a un’opera compiuta. Provano a spezzare la monotonia alcuni brani più elastici come “A Little Spark” e convincono altri più vicino al rock strumentale moderno (“How We Built the Ocean”) ma nel complesso, nel già intricato e contorto mondo del fosco Post Rock, c’è ancora troppa roba con un passo decisamente oltre quello di questi nuovi Sleepmakeswaves.