Gli inglesi Mystery Jets preferiscono un week end postmoderno per andare in cerca in qualche modo di un pò di memorabilia anni sessanta e pezzetti di quella strepitosa nigthlife americana un tantino nostalgica, insomma qualsiasi cosa che riporti l’eleganza a perline colorate di quei tempi, ed allora tutti in viaggio verso Austin nel Texas per incidere “Radlands” e per cambiare aria e abitudini, ma anche per crescere un tantino di una spanna.
Tutto poggia su un imbastito 70s folk-rock con glitterama dance accennato, sogni arrampicati come una vite rigogliosa e con Sir McCartney che, come un fantasmino birichino, compare virtualmente in più di un anfratto della tracklist: ma la piacevolezza di queste undici tracce è enorme, con risultati eccellenti insperabili ad una prima “sbircitata d’orecchi”, tracce che suonano di vintage/fresco e alla moda della summerset che la band mantiene senza cedere di una strofa; undici tracce molto a stelle e strisce, assai influenzate – ma del resto lo si voleva – della cultura appena post-freak, forte e tenera insieme e che non disdegna leggere incursioni nella west-coast corale, quella dei CSN&Y “You had me at hello” dirimpetto ai F.lli Gibb “The hale bop”e alle loro surfaggini spumeggianti.
La varietà sonora qui è di casa, una list che si spartisce modi e moduli anti-noia, si è sempre sul filo di una frizzante andatura che si pronuncia nel pop di “Randlands”, “The ballad of Emmerson Lonestar”, nel beat Beatlesiano “Greatest hits”, si lucida delle labbra pronunciate di Jagger e dello sviso chitarristico Richardsiano “ Sister Everett” come nelle immagine solitarie di un Neil Young ringiovanito che in “Lost in Austin” alza la voce e si guarda dentro; se i Mystery Jets volevano stupirci con poco, ebbene ci sono riusciti, hanno richiamato lo spirito di quel decennio e ne hanno riassunto “carnalmente” il sonic operandi alla perfezione.
Che dire, la speranza di catturarli dal vivo in qualche paraggio italico è forte, ma intanto seguirli su disco è altrettanto forte.