Neutral Milk Hotel Tag Archive

Black Country, New Road – Ants From Up There

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Cambia rotta e cambia stile la più promettente band alternative londinese.
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The Lanterns – Pointless & the Moon Is Cracking

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Lo-Fi folk al servizio della più profonda tristezza.
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Home Is Where – I Became Birds

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Midwest folk punk dedicato a chiunque stia lottando con la propria identità di genere.
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Ramper – Nuestros mejores deseos

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Gli spagnoli ci regalano il disco più triste di questo tristissimo aprile.
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Neutral Milk Hotel, vent’anni di “In the Aeroplane Over the Sea”

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Primavera Sound Festival 2014 | Day 1

Written by Live Report

È giovedì 29. Vengo svegliata da un trillo del cellulare mai udito prima. Sono le 15.45 e l’app del Primavera Sound mi ricorda che tra un quarto d’ora c’è Colin Stetson all’Auditori Rockdelux. La serata di ieri seppur deludente si è conclusa alle 5 di questa mattina, ed io mi sono fatta fregare dal jet lag della corsa in taxi tra l’Apolo e il Borne. Questa applicazione che funziona da reminder e ti avverte ogni qual volta sta per iniziare una delle esibizioni che hai salvato tra i preferiti si rivelerà ben presto un’ansiogena trovata, complice la mia ingenuità prima della partenza nell’apporre stelline sulla quasi totalità degli show. Pur di non ascoltare quel trillo che arriverà puntuale ogni quarto d’ora la disinstallerò prima della fine del festival. In questi tre giorni il Forum non conoscerà imprevisti. Ogni evento inizierà e terminerà quando stabilito. Roba da sospettare che in questa rassegna che si tiene in una morbida cornice mediterranea ci siano in realtà molti ferrei zampini anglosassoni. D’altra parte, sarebbe impossibile pensare alla riuscita di tutta la storia senza una buona dose di disciplina alla base. L’organizzazione del Primavera Sound è una macchina sapientemente progettata per la prevenzione di ogni tipo di catastrofe ambientale che una bolgia di circa duecentomila persone che bramano divertimento sarebbe in grado di provocare. L’area in questione è uno spazio di circa 95.000 metri quadrati. Tre sono le coppie di palchi su cui si alternano gli headliner (Heineken-Sony, ATP-Rayban, Pitchfork-Vice), e tutt’intorno altri stage di dimensioni più piccole ospitano decine di altri artisti: uno di questi spazi è l’Adidas Original, su cui si esibiranno le band italiane di Sfera Cubica. Nel lasso di tempo in cui uno degli stage ospita un set, sul palco gemello i tecnici smontano l’allestimento del precedente show e rimontano il tutto per quello successivo. Se nella vita avete avuto modo di vedere l’armamentario di luci di scena che si portano dietro i Nine Inch Nails capite bene che il tempo di una esibizione, che va dai 40 ai 90 minuti, per questa operazione è estremamente ridotto.

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Oltre agli stage all’aperto c’è un auditorium, il Rockdelux, al piano interrato del suggestivo edificio antistante il parco, fatto di specchi e roccia azzurro mare, il Museu Blau di Herzog & de Meuron. È qui che si esibisce Julian Cope. Lo storico cantante dei Teardrop Explode dagli anni 70 a oggi ha attraversato tutte le tendenze uscendone illeso e più eclettico di prima. Accompagnando la sua voce roca e intensa solo con la chitarra acustica, intona il collaudato repertorio di fronte a un pubblico trasversale per età ma omogeneo in quanto a predisposizione a lasciarsi coinvolgere da un sound nostalgico che è inevitabilmente le fondamenta di tutti i giovani performer là fuori sugli stage. Nel frattempo sul palco Heineken, uno dei più grandi, si fanno spazio i Real Estate. Americani del New Jersey e figli di Pitchfork, con un nuovo album registrato nello studio degli Wilco si guadagnano i piani alti della line-up dei uno dei festival più cazzuti. Personalmente non disdegno il Dream Pop, e mai oserei contraddire supporter di tale calibro, ma arrivata all’estremità sud del recinto del Primavera scopro che il numero dei presenti è alquanto esiguo, tanto che mi lasciano persino oltrepassare la prima fila di transenne fino all’area vip semi deserta (passeremo i giorni successivi a chiederci chi siano questi fantomatici vip senza peraltro giungere a una risposta). Il ritornello di “It’s Real”, noto agli italiani per lo più come jingle dello spot della tv in digitale del Berlusca, riesce appena a scaldare gli animi. I ragazzi saranno anche arrivati fin qui ma a quanto pare nessuno è riuscito a togliere loro quell’attitude da liceali che strimpellano in garage.  Il primo intenso live della mia giornata deve ancora iniziare, e sta per farlo proprio alle mie spalle. I Midlake salgono sul Sony al tramonto, e l’atmosfera è quanto di più appropriato si possa immaginare. Tengono botta nonostante il peso dell’assenza di Tim Smith, e l’aria vibra in egual misura della compostezza melodica dei brani rodati di The Trials of Van Occupanther così come delle sferzate elettriche del nuovo Antiphon. Nel mentre, a qualche centinaio di metri da qui, sono certa che i C+C=Maxigross se la stanno cavando alla grande, dando sfoggio del loro Folk fatto di lisergici cori a cappella. Un pizzico di orgoglio italiano mi dice che dovrei presenziare, ma questo è solo il primo dei tanti momenti che mi vedranno costretta a scegliere tra la performance di una pietra miliare della musica degli ultimi decenni e quella di un promettente progetto affacciatosi da poco sulla scena contemporanea. Resto al Sony a veder calare il sole di questo primo giorno di Primavera sul giro di chitarra di “Head Home”.  Quest’oggi i miei piani prevedono poche brevi corse, palleggiandomi dal palco Sony all’Heineken, che si fronteggiano a poche centinaia di metri l’uno dall’altro. Dopo una decina di minuti di performance delle Warpaint però mi pento un po’ di non aver fatto una lunga passeggiata fino allo stage Vice, dove nel frattempo immagino quella bolla emozionale di sintetizzatori allo stato liquido che dev’essere il set dei Caveman. L’Art Rock tutto al femminile delle Warpaint è interessante nel suo muoversi in un preciso universo sonoro, che non si lascia scalfire da tentazioni mainstream, ma i malinconici bassi sembrano non riempire a sufficienza un palco tanto imponente e gli spiriti di un pubblico avido di energia propulsiva che faccia partire la serata.  Alle ore nove e un quarto, con in mano un hamburger che sa di topo, sono di fronte alla più dilaniante delle decisioni di oggi. Dopo questo surrogato di cena le strade possibili saranno tre. Tra poco lo stage ATP sarà invaso da una numerosa formazione da poco ricongiuntasi, caposaldo del Folk Rock del secolo appena trascorso. A dieci minuti a piedi da qui, sul palco Pitchfork, sta invece per salire una delle band più promettenti dell’anno, freschi di un album con la 4AD che mi è piaciuto un sacco. Tra i Neutral Milk Hotel e i  Future Islands scelgo la terza strada, e con una discreta scorta di birra torno al Sony ad attendere St. Vincent. A conti fatti, delle gesta passate di questa fanciulla dalle sembianze della strega buona del Mago di Oz sono abbastanza ignara. Il self-titled uscito quest’anno è il suo quarto album e a quanto pare finalmente il disco della consacrazione, polistrumentale nel sound e polisemico nelle liriche, che le vale il nome scritto col font grande sul cartellone del festival, come quello di alcune band con cui fino a ieri si esibiva come opening act. Qualcosa mi dice che vale la pena vederla en directo. Annie Clark sale sul palco, è eterea e stupenda e sprigiona immediatamente tutta l’energia della sua musica inusuale come il fascino che emana da ogni poro. Elegantemente robotica nelle movenze, che diventano spesso vere e proprie coreografie, mi dice che la mia scelta è quella giusta, questo è uno show di quelli che meritano di essere visti dalle prime file: la maestria negli assoli di chitarra e la voce suadente e rotonda sono un tutt’uno con il suo sguardo altero e maledettamente magnetico fisso sul pubblico davanti a lei. Sofisticata nel suo look futuristico fatto di opposti che combaciano, il bianco platino della chioma selvaggia e il nero del neoprene che le calza come un guanto, intonando la melliflua “Prince Johnny” sale su un piedistallo sui cui gradini poi improvvisamente si abbandona, ed io penso solo che poche dive nella storia sono state in grado di rotolarsi giù per le scale in maniera tanto sensuale.

Al termine della performance di St.Vincent, il palco sui cui a breve saliranno i Queens of the Stone Age è già sotto assedio. Mi tocca un bel posto sfigato da cui non ho la possibilità di vedere altro che i maxischermi, tra gli stand degli alcolici e i cessi. I QOTSA mi regalano le inconfondibili chitarre di “No One Knows” poco prima che io mi congedi: mi inchino a tutto il Rock e il Blues e la psichedelia del talento di Josh Hommes e soci ma nel procedere all’infausta selezione a cui mi sono dovuta piegare ho ormai capito che una corsia preferenziale va riservata a quelle esibizioni che si prospettano veri e propri live show sotto ogni aspetto, in cui è essenziale la componente visiva, e se con Annie Clark ne avevo solo il sentore con gli Arcade Fire sono invece pronta a metterci la mano sul fuoco. Lancio un’occhiata di nuovo verso lo stage Sony e capisco che è già ora di andasi a sudare uno spazietto vitale tra la folla.  Quand’è che gli Arcade Fire sono diventati grandi? Voglio dire, per me lo sono stati sin dal primo ascolto di Funeral, ma quand’è che in generale la devozione per loro è passata dalla forma dell’ascolto estatico a quella dell’esaltazione collettiva? Sì, voglio dire esattamente quella cosa là: quando sono passati dall’underground al mainstream? Non parlo di dimensioni ne’ di zeri nel cachet. Il mio è puro stupore nel constatare che ad attendere gli eclettici canadesi ci sia una campionario umano tra i più assortiti, ragazzini che ti aspetteresti di trovare ai piedi di Justin Bieber compresi. Sentire poi intonare “Rococo” dalla folla come fosse un coro da stadio è l’ultima cosa che mi sarei aspettata. Si può giungere ad un prodotto dal taglio tanto universale pur percorrendo strade squisitamente tortuose e innovative? Credo che sia questa la scommessa che gli Arcade Fire hanno vinto a mani basse. Il set dura un’ora e mezza che vola via, su un palco pieno zeppo di strumentazione di ogni epoca, Win Butler e la sua chitarra piantati nel mezzo di un carnevale di luci ed effetti e di specchi sospesi che li moltiplicano all’infinito, Régine che volteggia da un capo all’altro imbracciando gli strumenti più impensati, e tutta intorno una grande famiglia allargata di musicisti che si producono in armonizzazioni estreme con una disinvoltura sconvolgente. Lo spettacolo ruota tutto intorno ai brani di Reflektor. Quattro adolescenti spagnoli accanto a me gridano indemoniati in un inglese esilarante le parole di ogni pezzo. Dopo il sofisticato ritmo Dance di “Afterlife” le luci si abbassano, e in un attimo Régine è su una pedana del bel mezzo della folla, lei e Win si guardano da lontano duettando sulla morbida di coda di “It’s Never Over”. Un intermezzo di Samba tropicale, su cui salgono sul palco a ballare anche le testone di cartapesta ormai segno distintivo del Reflektor Tour, sfuma poi in un Rock acido che diventa “Normal Person”. Nel bel mezzo del ritmo travolgente di “Here Comes the Night Time” una miriade di coriandoli esplode e colora l’arco di cielo scuro sopra la folla. È un crescendo interminabile, che soltanto nei cori trionfali di “Wake Up” trova la sua naturale conclusione.

Ne esco sazia ed esausta. Sono in piedi da sette ore ed è per mia pura e inesorabile stanchezza che i Disclosure vincono sulla Techno teutonica dei Moderat. Quando la folla dietro di me si disperde i fratelli Lawrence sono già sul palco Heineken. È un set House che possiamo anche gustarci seduti a terra in mezzo a una specie di discarica di bicchieri di plastica. La realtà è che tutto quello che verrà dopo i pirotecnici Arcade non avrà molto impatto sui miei sensi. Gli stessi Metronomy sottolineano meravigliati (e forse un po’ delusi) il fatto che a loro tocca chiudere alle 3.30 una giornata che ha visto susseguirsi una serie di mostri sacri, davanti a un pubblico ormai più che appagato. Un po’ del loro elegante Elettro Pop dal sapore anni 70 seduti sui gradini della cavea del  Rayban ed è ora di salutare il Forum.  Al cospetto di Mangum e soci c’era invece la mia amica Elena.

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Attendevo con ansia il live dei Neutral Milk Hotel, più o meno da quando rimasi folgorata al primo ascolto del loro album più acclamato. Ed avevo delle grandi aspettative che sono state più che confermate. Il fondatore della band Jeff Mangum sale sul palco con il suo gruppo fresco fresco di reunion (fortuna per noi). Difficile non restare colpiti dai personaggi quasi fiabeschi che lo compongono e dalla particolare strumentazione che hanno, tra cui banjo, cornamuse ed una sega ad arco. Il concerto inizia con la prima traccia di In the Aeroplane Over the Sea ed il pubblico è già in delirio. Ma è solo quando il resto della band lascia solo sul palco Mangum per intonare “Two Headed Boy” che mi rendo conto del grande potere di quest’uomo. Soltanto con la sua voce ruvida e con la sua chitarra, è in grado di toccare le parti più intime di ognuno di noi. Tutti  attorno a me cantano, ammaliati, e a me scende quasi una lacrimuccia. Il resto della band poi torna sul palco per concludere con “The Fool”, Mangum si fa da un lato e sembra quasi un direttore che con la sua chitarra dirige la sua orchestra. Un concerto indimenticabile!

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Le Superclassifiche di Rockambula: Top Ten anni Novanta

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RADAR FESTIVAL 2014, tutta la Line Up!

Written by Senza categoria

Torna con una nuova formula il Radar Festival, ormai al suo quarto anno di vita e sempre nella splendida cornice del Parco delle Mura di Padova: cinque giorni di concerti con quaranta artisti su due palchi all’aperto, più un palco al chiuso che ospiterà i dj-set, anticipati da due preview night. Questa è l’edizione del salto di qualità, come preannunciato dal Day 1 del festival che vedrà il ritorno sul palco degli Slowdive, nella loro prima e unica data italiana. Lo stavamo promettendo da mesi, ed ora con l’annuncio della line up lo possiamo confermare: il Radar Festival quest’anno diventa grande per davvero.

3 giugno 2014 / Circolo MAME
Deafheaven (USA, Deathwish Inc.)
Aidan (ITA, Redsound Records)
Have It All (ITA, Tide & Anchor)
Red Line Season (ITA, Upupa Produzioni)

4 giugno 2014 / Venue TBA / *tickets sold out*
Neutral Milk Hotel (USA, Merge)
Jennifer Gentle (ITA, Sub Pop)

16 luglio 2014 / Park Nord Stadio Euganeo
Slowdive (UK, Creation Records) UNICA DATA ITALIANA
Be Forest (ITA, We Were Never Being Boring)
Brothers In Law (ITA, We Were Never Being Boring)
Soviet Soviet (ITA, Felte)

23 luglio 2014 / Parco delle Mura
Mount Kimbie (UK, Warp)
Calibro 35 (ITA, Record Kicks)
We Were Promised Jetpacks (UK, FatCat) UNICA DATA ITALIANA
The Oscillation (UK, All Time Low) UNICA DATA ITALIANA
Redwormsfarm (ITA, Infecta)
Julie’s Haircut (ITA, Woodworm/Santeria)
Did (ITA, Foolica)
Foxhound (ITA, Self Released)

24 luglio 2014 / Parco delle Mura
Calexico (USA, Anti)
I Cani (ITA, 42 Records)
William Fitzsimmons (USA, Mercer Street)
M+A (ITA, Monotreme)
His Clancyness (ITA, FatCat)
Boxerin Club (ITA, Bomba Dischi)
SybiAnn (ITA, Shit Music For Shit People)
Flamingods (UK, Shape)

25 luglio 2014 / Parco delle Mura
Thyco (USA, Ghostly International)
Plaid (UK, Warp) UNICA DATA ITALIANA
Dente (ITA, RCA / Sony Music)
Populous (ITA, Morr Music)
In Zaire (ITA, Holidays)
Machweo w/ full band (ITA, Bad Panda)
Yakamoto Kotzuga (ITA, Bad Panda)
Sin/Cos (ITA, Anemic Dracula)
Niagara (ITA, Monotreme)

26 luglio 2014 / Parco delle Mura
Joan As Police Woman (USA, Pias)
The Drones (AUS, ATP)
Zu (ITA, La Tempesta)
Ornaments (ITA, Tannen)
Sonic Jesus (ITA, Fuzz Club)
Gazebo Penguins (ITA, To Lose La Track)
Wu Ming Contingent (ITA, Woodworm)
Santa Margaret (ITA, Carosello)
Warias (ITA, Self Released)
Havah (ITA, Self Released)

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Analisi di un disatro annunciato! La classifica dei dischi più venduti nel 2013.

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Censored

Quello che trovate subito sotto è il risultato di una piccola analisi che ho voluto fare dopo aver letto le classifiche di vendita degli album in Italia nel 2013. Andiamo per ordine e cerchiamo di capire di che cosa si tratta. Qualche giorno fa sono stati resi pubblici i dati concernenti la vendita dei dischi nell’anno solare appena passato sul territorio italiano e in testa troviamo Ligabue con Mondovisione seguito da Modà e Jovanotti. A fine articolo trovate la lista delle prime cinquanta posizioni. Senza troppi giri di parole, la domanda è una sola: dove sta la nostra bella musica indipendente? Dove si sono ficcati quei nomi “giganteschi”, almeno per noi e probabilmente per chi ci legge, come Arcade Fire, Placebo, Low e via dicendo? Scorrendo la classifica, il primo nominativo sul quale vale la pena soffermarci è quello dei Daft Punk al diciassettesimo posto, tallonati dai Depeche Mode; poi abbiamo i Pearl Jam al trentesimo e più staccati David Bowie e i Muse. Andando oltre la posizione numero cinquanta, scopriamo il primo e unico nome tutto italiano del panorama Indie (passatemi il termine che mi permette di sintetizzare) e cioè quello dei Baustelle. La cosa che pare chiara, dunque, è che c’è una spaccatura netta tra il pubblico musicalmente “colto” o meglio quello che si pone con più attenzione alle uscite underground (in linea di massima le stesse proposte da webzine come Rockambula ma anche dai giganti Ondarock, SentireAscoltare o Rockit o le riviste cartacee come Rumore, Il Mucchio e via dicendo) e chi effettivamente i dischi li compra.

O quantomeno, il pubblico che ascolta e apprezza le band che questi magazine o webzine come la nostra promuovono, non è evidentemente abbastanza numeroso da far sì che i loro artisti preferiti possano entrare nelle classifiche riguardanti gli album più venduti, al fianco dei sopracitati re (con la minuscola) del pop/rock (con la minuscola) tricolore. In quest’ottica poco stupisce che gli Arcade Fire vendano circa seimila copie e i Marlene Kuntz appena settemila e comunque mille in più dei canadesi, che invece, nei nostri discorsi da musicofili, collezionisti di vinili, talent scout dell’Indie Rock, insomma, nelle chiacchierate tra noi Indie Snob che al concerto degli U2 se ne vanno dopo aver ascoltato il gruppo spalla, sembrano il non plus ultra del panorama mondiale. Partendo da questo presupposto e visto che il mio ruolo mi permette di affermare la scarsissima qualità delle classifiche di vendita nostrane, una domanda sorge spontanea ed è una questione che in molti hanno sollevato in questi giorni. Quando esattamente ci siamo ridotti cosi e cosa ci ha portato a questo? L’avvento dei reality show, l’affermarsi della Tv come principale strumento d’informazione, l’arrivo degli mp3, il download illegale, il generale impoverimento culturale? In quale anno, in quale preciso istante l’Italia è caduta nel baratro? Per cercare di dare una risposta a queste domande ho deciso di realizzare questo piccolo studio da cui scaturisce il grafico che trovate di seguito.

Grafico

Semplicemente ho considerato tutte le classifiche di vendita degli album, anno per anno, dal 2009 al 1964 (dati www.hitparadeitalia.it) e ho analizzato i dischi che si trovano nelle prime posizioni. Poi ho esaminato il gradimento di quei dischi, attraverso un portale che avesse un pubblico quanto più variegato possibile (www.rateyourmusic.com), usandolo come strumento quanto più oggettivo possibile per valutare la qualità (o meglio la percezione qualitativa di un dato pubblico) degli album analizzati. Ovviamente, parlando di giudizi su album, ci sarà una miriade di variabili da considerare (dal tipo di pubblico del sito, alla preparazione dei votanti e cosi via) tanto che una qualsiasi valutazione oggettiva è pressoché impossibile, ma ho cercato di usare gli strumenti più adatti allo scopo, tentando di non influenzare il risultato. Quello che ho cercato di capire è quanto la qualità media dei dischi più venduti è variata nel tempo e se c’è un momento storico in cui la spaccatura si è fatta più evidente.

Nel grafico dunque trovate tutti gli anni sull’asse orizzontale mentre in verticale è presente la valutazione qualitativa che, attraverso il mio sistema, va da un minimo di zero a un massimo di quindici. Tanto per capirci, i tre album con il voto più alto presenti nel sito arrivano a 12,84. Quello che emerge chiaramente è che (sempre considerando la presenza d’infinite variabili che rendono l’analisi interessante più come curiosità) pare esserci effettivamente un peggioramento nel pregio dei dischi che si trovano nella parte alta della classifica, ma, nello stesso tempo, non c’è apparentemente un momento preciso cui sembra corrispondere questo calo. La cosa lascerebbe supporre che nessun motivo unico scatenante debba riscontrarsi in questa spregevole inclinazione ma che anzi, inevitabilmente, una serie di concause, ci stia portando ad allargare il divario tra album di qualità e album più venduti. Allo stesso modo, sembra anche esserci una sorta d’inversione di tendenza dagli anni 2000/2001 ma si tratta di un periodo troppo breve perché si parli di vera ripresa in tal senso, anche perché, spostando tali considerazioni oltre il 2006 e analizzando proprio i dati 2013, potremo notare come l’anno appena passato, si piazzerebbe nel grafico sugli stessi bassissimi livelli d’inizio millennio.

Che cosa dire dunque. Noi continuiamo per la nostra strada, proseguiamo a promuovere e ascoltare quella musica che riteniamo essere veramente di qualità con la consapevolezza che sarà solo una minoranza a seguirci, quella stessa minoranza che però ci piace incontrare ai concerti dei Massimo Volume o, tra qualche mese, dei Neutral Milk Hotel. Probabilmente non ha senso cercare un solo e unico colpevole e probabilmente, quest’analisi andrebbe raffrontata con altre che rivelino la situazione culturale generale del paese e la sua involuzione. Allo stesso modo non possiamo che ridere di chi ancora è riuscito a stupirsi di questi dati, che trovate di seguito. Cosa vi aspettavate di vedere? I These New Puritans in vetta?

 

 Pos. Att. TITOLO ARTISTA
1 MONDOVISIONE LIGABUE
2 GIOIA … NON E’ MAI ABBASTANZA! MODÀ
3 BACKUP 1987-2012 IL BEST JOVANOTTI
4 STECCA MORENO
5 SCHIENA VS SCHIENA EMMA
6 SIG. BRAINWASH – L’ARTE DI ACCONTENTARE FEDEZ
7 #PRONTOACORREREILVIAGGIO MARCO MENGONI
8 MIDNIGHT MEMORIES ONE DIRECTION
9 20 THE GREATEST HITS LAURA PAUSINI
10 MAX 20 MAX PEZZALI
11 AMO RENATO ZERO
12 NOI DUE EROS RAMAZZOTTI
13 SONG BOOK VOL.1 MIKA
14 MARIO CHRISTMAS MARIO BIONDI
15 L’ANIMA VOLA ELISA
16 AMORE PURO ALESSANDRA AMOROSO
17 RANDOM ACCESS MEMORIES DAFT PUNK
18 DELTA MACHINE DEPECHE MODE
19 LA SESION CUBANA ZUCCHERO
20 INNO GIANNA NANNINI
21 UNA STORIA SEMPLICE NEGRAMARO
22 SENZA PAURA GIORGIA
23 BRAVO RAGAZZO GUE PEQUENO
24 GUERRA E PACE FABRI FIBRA
25 SUN MARIO BIONDI
26 CONVOI CLAUDIO BAGLIONI
27 TAKE ME HOME ONE DIRECTION
28 MERCURIO EMIS KILLA
29 AMO – CAPITOLO II RENATO ZERO
30 LIGHTNING BOLT PEARL JAM
31 PASSIONE ANDREA BOCELLI
32 CHRISTMAS SONG BOOK MINA
33 L’AMORE È UNA COSA SEMPLICE TIZIANO FERRO
34 A TE FIORELLA MANNOIA
35 THE TRUTH ABOUT LOVE PINK
36 MIDNITE SALMO
37 TO BE LOVED MICHAEL BUBLE’
38 THE NEXT DAY DAVID BOWIE
39 BELIEVE JUSTIN BIEBER
40 UN POSTO NEL MONDO CHIARA
41 LORENZO NEGLI STADI – BACKUP TOUR 2013 JOVANOTTI
42 LIVE KOM 011: THE COMPLETE EDITION VASCO ROSSI
43 SOTTO CASA MAX GAZZÉ
44 ORA GIGI D’ALESSIO
45 SWINGS BOTH WAYS ROBBIE WILLIAMS
46 THE 2ND LAW MUSE
47 LA TEORIA DEI COLORI CESARE CREMONINI
48 IN A TIME LAPSE EINAUDI
49 UNORTHODOX JUKEBOX BRUNO MARS
50 ARTPOP LADY GAGA

NON HO TROVATO UNA CANZONE PIU’ ADATTA!!!

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NEUTRAL MILK HOTEL in Italia!

Written by Senza categoria

La band di culto scioltasi nel 1999 si riunisce per un tour che toccherà anche l’Italia a giugno  per due date da non perdere a Padova e a Ravenna!

Dopo un silenzio durato quasi quindici anni i Neutral Milk Hotel hanno annunciato il loro ritorno sulle scene con un tour che toccherà l’ Australia, gli Usa, Il Giappone l’Europa e che li vedrà tra gli headliner dell’edizione 2014 del Primavera Sound. La notizia della loro reunion è rimbalzata di sito in sito, di tweet a tweet, catalizzando l’attenzione della stampa e degli appassionati di indie rock di tutto il mondo, cresciuti ascoltando la mitica band della Louisiana.

Featuring Jeff Mangum, Scott Spillane, Julian Koster, and Jeremy Barnes.

04 giugno 2014 – Padova – Radar Festival 2014 Preview Night – Castello Carrarese
Apertura porte: 18,00
Inizio concerti: ore 20,00
ingresso: 15 euro+ d.p.
Prevendite disponibili dal 26 novembre alle 15:00

05 giugno 2014 – Marina di Ravenna – Beaches Brew – Hana Bi
Ingresso gratuito

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Pills خمسة أسابيع (consigli per gli ascolti)

Written by Articoli

Pastiglie per viaggiare, per dormire, per mangiare, per sognare, per il bene, per il male
… Pastiglie…Pastiglie…
Autechre, Matmos, Echo & The Bunnymen, Eels, Perturbazione, Pearl Jam, Blastema, Julia Holter, Guillemots, Impossibili, Lagwagon, Neutral Milk Hotel, Club Dogo…e tanta altra roba. Scegliete voi. Di che colore volete la vostra pillola?

Silvio Don Pizzica
Autechre – Exai   (Uk 2013)   IDM   3,5/5
Ritorno in grande stile per i padri della Intelligent Dance Music, a tre anni dall’ultimo lavoro e a venti anni dal capolavoro Incunabula. La classe non sparisce col tempo.
Matmos – The Marriage Of True Minds   (USA 2013)   Experimental IDM, Glitch   3,5/5
Leggenda narra che in un vecchio album il duo statunitense si fosse messo a registrare e rielaborare il suono di alcune lumache calpestate. Quale che sia la realtà, loro sono senza dubbio i più strani cacciatori di suoni del pianeta. Che sia il gocciolare della pioggia, o il rumore di una vecchia caldaia, tutto può diventare musica.
Violassenzio – Nel Dominio    (ITA 2012)   Alternative Pop/Rock   3,5/5
Non è un semplice insieme di canzoni. NelDominio dei Violassenzio è un disco Pop/Rock con un’anima, quel tipo di dischi che raramente ti capita di ascoltare. Quel tipo di Pop gradevole da udire ma capace di far scorrere e fluire il pensiero.

Max Sannella
Ian Dury – Do It Yourself   (UK 1979)   Punk    5/5
Il piccolo eroe della stagione punk inglese e il disco delle reinvenzioni.
Echo & The Bunnymen – Heaven Up Here – (UK 1981)   Alt/Rock  4/5
L’elettrorock screziato di psichedelia, dopo i Beatles la Liverpool gode di nuovo di una parentesi di notorietà.
Eels – Beautiful Freak   (USA 1996)   Folk-Elettrorock   5/5
La stravaganza incontenibile di Everett e soci, tra malinconia e droghe libere.

Lorenzo Cetrangolo
Perturbazione – Del Nostro Tempo Rubato   (ITA 2010)  Pop,Rrock   4,5/5
Sesto disco, dalle mille sfaccettature, per la band torinese, che si conferma come punta di diamante del pop di casa nostra.
Yawning Man – Rock formations   (USA 2005)   Desert Rock   4/5
Pilastri della scena Palm Desert, un album strumentale che difficilmente dimenticherete.
Ozric Tentacles – Eternal Wheel (the best of)   (UK 2004)   Psichedelica, Progressive   3.5/5
Una delle band più folli e coerenti del progressive inglese. Dal 1983 fanno tour e vendono dischi senza avere una major alle spalle. Colorati e new age.

Marco Lavagno
Pearl Jam – Yield   (USA 1998)   Rock   4,5/5
Musica che naviga nell’oceano e dall’oceano assimila calma, libertà e forza. Vedder e soci compiono la loro “evoluzione” in un disco perfettamente equilibrato, abbandonano a malincuore la mamma grunge per diventare con grande naturalezza la più grande rock band del presente.
Blastema – Pensieri Illuminati   (ITA 2010) Rock  3,5/5
Li abbiamo sentiti a Sanremo, ma già dal loro esordio discografico dimostrano di saper sprigionare la potenza degli anni 90 senza suonare scomodamente retrò.
Buckcherry – Buckcherry   (USA 1999)   Hard Rock   5/5
Strafottente, ignorante, alcolico, ruffiano, eccessivo e spaventosamente californiano. Il rock’n’roll del 2000 suona così, come uno sputo in faccia a tutti.

Marialuisa Ferraro
Julia Holter – Tragedy   (USA 2013)   Avanguardia   4/5
Indie, elettronica, composizione moderna e sperimentale di matrice colta per un sound etereo, impalpabile che oscilla al cupo. La voce viene usata come mero strumento e si sentono echi atonali alla Schoenberg.
Guillemots – Hello Land    (UK 2012)   Indie   4,5/5
Band multinazionale con influenze diverse, dallo ska all’elettronica, dal surf alle ballate pop rock. Grande sperimentazione fonica e strutturale che rompe la forma convenzionale della canzone. Da osservare con attenzione.

Ida Diana Marinelli
Kiko Loureiro – No Gravity   (BRA 2005)  Progressive metal    4,5/5
Tredici tracce contemporanee e mirabolanti per il debutto solistico del chitarrista brasiliano.
Donatello D’Attoma – Logos   (ITA 2010)   Contemporary Jazz   3,5/5
Un bellissimo album e dei live sofisticati per gli amanti del jazz e per coloro che vorrebbero sperimentarlo per la prima volta.

Ulderico Liberatore
Gli Impossibili – Impossimania Ep   (ITA 1998) Punk Rock   3/5
Un po’ di spazio alle vecchi glorie del panorama tardo punk italiano.
Quando i testi e la musica da garage ti danno la carica e l’adrenalina per spaccare tuttoooooo!!!!!

Riccardo Merolli
Lagwagon – Double Plaidinum   (USA 1997)   Melodic Hardcore   4/5
Ironia della sorte, escono quasi tutti i membri originali e viene fuori un grande disco. Melodico e molto malinconico. Un punk molto strano, alieno appunto.

Vittorio Massa
Neutral Milk Hotel – In the Aeroplane over the Sea   (USA 1998) Indie Rock   3,5/5
Malinconiche schitarrate acustiche, cornamuse frizzanti e linee melodiche che ricordano i R.E.M.
Di facile ascolto e ricco di spunti interessanti.
Club Dogo – Noi siamo il Club   (ITA 2012)   Hip Hop, House   1/5
Ben lontani dal flow e dalle tematiche dei primi album. Un concept su come essere zarri a Milano.
Sean Lennon – Friendly Fire   (UK 2006)  Pop rock, Alternative Rock   5/5
Un figlio d’arte di tutto punto. Atmosfere lennoniane rivisitate e per nulla scontate.

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