Il freddo e una buia città industriale. Verrebbe subito in mente la pioggerellina fastidiosa e costante dei sobborghi polverosi di Manchester. Ma qui tutto ci riporta alla densa nebbia della Val Padana e ai grigi uffici, ornati come templi al dio denaro.
In Her Eye è un gruppo di Milano, di nome e di fatto. Il loro primo full length “Anywhere Out Of The Word” ci riporta in realtà in un mondo molto vicino a noi, anzi a pochi kilometri dalle nostre case e perennemente proposto in tutti i telegiornali. Un mondo triste, debole e noioso, specchio di una realtà dalla fragile spina dorsale.
I tre ragazzi provano faticosamente a trasportarci in posti lontani, utilizzando ossessivamente vecchi trucchetti come voce offuscata e chitarre vetrose ma il risultato rimane molto statico, una timida rassegnazione al freddo della città, matematica alchimia tra Inghilterra new wave anni 80 e America noise anni 90 e non decolla quasi mai. Solo quando la melodia spezza gli schemi, come in “It’s Not A Game To Fall”, sembra intravedersi qualcosa aldilà di questo grigio, uno sputo di luce che trafigge la nebbia.
Il prodotto rimane comunque ben registrato, nonostante qualche imprecisione tecnica ognuno fa il suo buon mestiere da impiegato senza troppi “straordinari“, senza la pericolosità di un rischio che dovrebbe essere invece necessario. A spiccare la chitarra di Stefano, che pare aver studiato meticolosamente le lezioni di The Cure e Sonic Youth per ottenerne sempre un buon frullato omogeneo di onirici arpeggi e prepotenti pennate.
Il disco non ha mordente e passa lento, freddo e macchinoso nelle sue 14 tracce (un po’ troppe?) per poi chiudersi con il magistrale feedback di “Flying Away” che arriva come un lampo che colora le casse dello stereo. Tiepida speranza di rivedere presto la faccia dei tre impiegati più incazzata e pericolosa, anche a costo di rompersi la fragile spina dorsale.