Il brano è il secondo estratto dal loro ultimo album Troppa Gente su Questo Pianeta, uscito a febbraio 2014 per l’etichetta milanese Novunque.
Il clip è firmato da Roberto “Rup” Paolini che ne racconta così il concept: “Il brano ha un ritmo Pop molto ballabile, ma racconta di un senso di disillusione, intimità e desiderio di cambiamento. Per questo l’immaginario ha chiamato due visioni opposte se pur con la stessa origine. Da una parte il playback con la sua grafica un po’ eightees, ritmo e colori, e un catalogo di simboli che si rifanno al vizio e a una cultura Pop, anche contemporanea. E dall’altra la contemplazione di soggetti catturati proprio in quel momento di passaggio tra qualcosa che si è fatto e che si farà. Un immaginario già suggerito e contaminato da Andy Warhol e i suoi text screen.
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Egokid, il video di “Non Balliamo Più”
Egokid – Troppa Gente su Questo Pianeta
Il tre è il numero perfetto. E gli Egokid tornano dopo tre anni dall’ultimo disco e giungono al terzo full length della loro carriera. Numeri importanti che creano una certa aspettativa con cui è difficile avere a che fare. Troppa Gente su Questo Pianeta apre con “Il Re Muore”, traccia cantautorale con un’impronta vocale alla Max Gazzè. “La Madre” è Indie Rock puro con le chitarrine plin plin, aperture ariose, tempi dilatati e poco slancio (purtroppo). Gli Egokid si apprezzano particolarmente nella terza traccia, “In un’Altra Dimensione”, con un arrangiamento introduttivo quasi da cantautorato Jazz alla Paolo Conte e fini inserimenti strumentali per brevi incisi melodici gustosi e reiterati con un certo autocompiacimento. Anche qui, però, il pezzo non aggancia l’attenzione.
Ne “Il Mio Orgoglio” echeggia la lezione di Miles Kane e in “Solo Io e Te” quella dei Muse, mentre “L’Alieno” è una ballatona delicata con un arrangiamento abbastanza scontato, costruito su una chitarra arpeggiata e lunghi accordi delle tastiere in sottofondo. Il Pop Italiano, un po’ datato e dal sapore vintage è alla base di “Che Tempo Fa”, ma le troppe rime finiscono per svilire una canzone potenzialmente bella, fresca e frizzante. “Frasi Fatte” è il brano in cui il cantato mi ha convinto di più: è quasi un recitativo teatrale, come se il pezzo fosse estrapolato da un musical. Un certo gusto parodico si trova in “Non Balliamo Più”, siparietto elettronico all’interno di un disco Alternative e colto, come una citazione estemporanea di una certa Dance nostrana che decisamente (e fortunatamente) non c’è più. “La Malattia” ha un arrangiamento molto complesso e molto ben curato e reso, con un tono sommesso e battagliero che ricorda “Solo un Uomo” di Nicolò Fabi. Niente comunque, che basti per convincere che gli Egokid abbiano sfornato un disco che suggelli meritocraticamente la loro carriera. Troppa Gente Su Questo Pianeta è un album pregevole, ma poco accattivante, colto ed elitario ma poco coinvolgente, ben arrangiato e strutturato ma poco comunicativo. Davvero peccato.
Giulio Casale – Dalla parte del torto
Nel ritorno sulle scene musicali di Giulio Casale – l’ex voce degli Estra – l’ossessione di ritrovarsi nel cerchio del rock è forte; dopo molteplici esperienze nel teatro ed in altri paraggi artistici, la voglia di tornare a rapportarsi con la musica mischiandola con le lezioni di Gaber o della Fernanda Pivano è diventata per lui l’esigenza primaria per urlare tutta l’estetica del suo animo inquieto, di quella sua poetica ancora tutta da esprimere per raccontare, raccontarsi e svenarsi in un disco “Dalla parte del torto” che porta sulle note di copertina “dodici pezzi socialmente sensibili” e nello spirito musicale Bertold Brecht ed i pensieri non allineati della letteratura.
Un disco strano, a due livelli, il rock e il vezzo cantautorale appunto affiliabile al Maestro Gaber, della sua verve oltranzista emancipata e della poetica contro, tracce gravide di sentimenti che però non cedono al sentimentalismo, tracce che espandono similitudini ed interiorità a strani Nick Drake, Cave, per arrivare addirittura a Tenco e che iniettano un senso di instabilità poetica e sociale che si rizza sulla tracklist come una scossa elettrica improvvisa; fuori da logiche commerciali , il disco del rockers trevigiano si vuole riappropriare della vera scrittura musicale per definire e avvertire del tramonto della Società Occidentale e per tornare a far parlare quell’artigianato artistico che oramai non circola più, morto e sepolto da tempo.
Si diceva esigenza, ed eccola qui, intera e forte nei confini delle notti Celiniane “La febbre”, leggiadra nelle aerazioni Gaberiane “La mistificazione”, “Un’ossessione”, “Fine”, profonda nelle ombre di Tenco “Senza direzione” o delicatamente magica nelle rimembranze di un Battiato eccelso in “Magic shop” dove riecheggiano gli Hare Hare a mille lire, Cuccuruccucù Paloma e gli incensi di Dior.
Un disco ripeto, strano, ma la stranezza è la cosa più vera che possa esistere e se ti senti anche te dalla parte del torto ascolta queste canzoni ed il torto sarà la parte più accecante della ragione.
Bentornato Giulio.