Immaginate di camminare in una strada di periferia, una di quelle buie illuminata quel poco che basta da un paio di lampioni e dall’insegna neon di quell’unico bar presente, la meta perfetta per una notte in solitudine tra whiskey e sigarette. Una strada ai piedi di enormi grattacieli equiparabili solo a giganti di pietra, il tutto avvolto da una fitta nebbia. Questo è grossomodo lo scenario che si crea ascoltando Oblivion, il nuovo disco degli Ash Code. La band napoletana propone un sound che miscela il Dark con l’Elettronica; per essere chiari immaginate i Joy Division con un sound Elettronico, otterrete la coraggiosa proposta degli Ash Code. Nel disco c’è la cupezza e l’angoscia di quei gruppi Dark che hanno segnato la New Wave degli anni 70 e 80, il tutto amalgamato con dei synths e degli effetti che tanto piacciono ai Ministry. Oblivion è un disco di un certo livello che mette in evidenza la torbida indole degli Ash Code. La bellezza del disco sta nella sua capacità di coinvolgimento, insomma, ti trascina lievemente in oscure atmosfere. La voce di Alessandro è simile a quella di Ian Curtis, ha la stessa tonalità bassa e oscura. Claudia invece è un portento con i suoi synths, è colei che effettivamente crea la magia intorno alle canzoni. Infine c’è Adriano capace di mantenere ritmi eccezionali. In Oblivion ogni traccia ha una sua particolarità, anche se, personalmente, ritengo che la migliore di tutte sia “Waves With No Shore” con la sua melodia sinistra che ti fa decisamente viaggiare con la mente. La successiva “Dry Your Eyes” mette bene a fuoco il connubio tra Joy Division e Ministry: lo stile dei primi con l’elettronica dei secondi. “Crucified” ed “Empty Room” sono due tracce che danno la possibilità di ballare e muoversi a tempo. La titletrack ha un particolare suono in cui i synth e gli effetti ricordano tanto una di quelle musichette di quei videogiochi del Megadrive o dello Snes; se qualcuno ha giocato ai primi Splatterhouse si renderà conto delle interessanti similitudini. Passiamo direttamente a “Drama”, un altro pezzo da novanta in cui il grosso del lavoro viene svolto dalla talentuosa Claudia: la sua calda voce è accompagnata da plasticose e cupe melodie. La chiusura del disco spetta all’angosciante “North Bahnohf”: tetri synth ed oscuri effetti si accostano ai bassi toni di Alessandro. Con Oblivion parliamo di un album di alta classe che suscita un miscuglio di emozioni; è suonato bene e gli Ash Code sanno il fatto loro. Appena ho ascoltato questo lavoro sono subito rimasto rapito da quel particolare sound costruito su effetti e melodie che, in un modo o nell’ altro, ti riportano a pensieri di ogni tipo. E’ un disco da ascoltare assolutamente.
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Ash Code – Oblivion
Turin Brakes
14 Giugno 2013 @ San Damiano d’Asti
La cornice scelta per l’unica data italiana dei Turin Brakes è la piccolissima cittadina di San Damiano d’Asti, in Piemonte, in occasione del Fuori Luogo Festival, una tre giorni di letteratura, cibo e musica che le Officine Carabà hanno ideato l’anno scorso. L’idea fondante che traspare subito, è quella di avvicinare i giovani al proprio territorio, alla cultura enogastronomica di una regione che su questo aspetto ha molto da offrire, offrendo anche loro show di qualità di ospiti internazionali, per altro gratuiti. Certo, alla sola seconda edizione ci sarà ancora probabilmente molto da apprendere, modificare, progettare, ripensare, ma il progetto è coraggioso e ha buone prospettive di fronte a sé, difendendosi con dignità in un panorama in cui persino i più grossi festival faticano a completare una line up e fanno che annullare tutta la manifestazione. L’edizione del 2013 del Fuori Luogo si è aperta il 14 giugno, proprio con l’esibizione dei Turin Brakes. Un po’ troppo forse per una provincia di hipster per moda e indie snob annoiati. Così snob che sotto il palco ci saranno state sì e no trecento persone, ridotte particolarmente in fretta ad ogni brano eseguito dalla band (e non perché fosse tardi, visto che la band ha suonato un’oretta dalle 23 alle 24 e la piazza adiacente, quella con gli stand di cibo e bevande, per capirci, era gremita di primi vestitini da bancarelle indiane, calzoncini corti e sandali). I Turin Brakes non sono certo dei mattatori da palco, l’estate che ha tardato ad arrivare avrà fatto uscire di casa un sacco di sprovveduti, accorsi per l’occasione festaiola e per la gratuità del concerto e probabilmente ignari di ciò che avrebbero trovato sul palco.
Cosa c’era dunque sul palco? Una band poco calorosa e anzi proprio tendenzialmente freddina, con una grande competenza tecnica e un ottimo gioco dialogico delle linee melodiche, ma pressoché immobile, silenziosa perché probabilmente frenata dalla differenza linguistica, riflessiva, intima ma in modo poco empatico. Il concerto si apre con Time and Money, brano inedito che dovrebbe essere inserito nel nuovo album (la cui uscita è prevista per il prossimo agosto) e prosegue con Stalker, Oblivion ed Emergency 72. Solo la prima fila sembra particolarmente entusiasta di ciò a cui sta assistendo, ma per il resto del pubblico arriva la cover di Wicked Game, che, per lo meno, han già sentito da qualche parte.
Il concerto prosegue, senza troppi momenti di particolare pregio con Rescue Squad, Mind Over Money e la bellissima e freschissima Painkiller. E a questo punto è bene spezzare una lancia a favore del pubblico e fare una seria critica alla band: pulitissimi da disco, perfetti, particolari pur nel loro essere comunque uguali a centomila altri gruppi, i Turin Brakes dal vivo mancano di appeal, di verve, di energia. Persino la vocalità nasale del cantante, elemento che lo distingue per esempio da una formazione come i Kings of Convenience, con cui condividono sensibilità e costruzione della forma-canzone, viene meno. E la delusione in me è tanta che mi perdo persino l’esecuzione di Fishin’ For a Dream. Mi riprendo praticamente solo per Underdog, con momenti improvvisativi in cui finalmente sul palco qualcosa si muove, e la chiusura con Slack. Probabilmente quanto ho scritto non sarà condiviso dai presenti, ma mi aspettavo davvero tutt’altro. L’augurio è che almeno un nome di respiro internazionale come quello dei Turin Brakes porti un po’ di lustro alla manifestazione crescente. Sicuramente, invece, consiglio di continuare ad ascoltare la band da disco, anche se vi suonano praticamente sotto casa e gratis.
M83 – Oblivion OST
L’ultimo disco dei francesi M83, ex-duo (ora più che altro nom de plume del frontman Anthony Gonzalez)di musica elettronica sui generis, è in realtà la colonna sonora del film Oblivion, diretto da Joseph Kosinski (anche co-sceneggiatore e produttore), con Tom Cruise e Morgan Freeman.
Non ho ancora avuto modo di vedere il film, quindi non posso dirvi se la colonna sonora funzioni come accompagnamento drammatico, né quanto sia azzeccata come atmosfere o scelte di mood. È un disco interessante, però: gli M83 creano una colonna sonora “classica”, piena di archi e atmosfere retrò, dove lunghi crescendo elettronici sospesi si aprono in cavalcate orchestrali ritmiche e aperte (il finale di “Tech 49”), in pieno stile hollywoodiano, senza inventare granché ma rendendo epica ogni risoluzione, ogni svolta nel discorso intrapreso. D’altronde lo stesso regista ha commentato la scelta degli M83 in questo modo: “la musica degli M83 mi è sembrata fresca e originale, e grande ed epica, ma allo stesso tempo emotiva, e questo è un film molto emotivo, e mi è sembrata un’ottima scelta”.
Ecco quindi che sintetizzatori e archi si mischiano in soundscapes intriganti (“StarwWaves”), arpeggiatori e ritmiche elettroniche montano cupi qua e là (“Odyssey Rescue”, “Canyon Battle”), misteri s’infittiscono nelle rapide movenze degli alti e nelle esplosioni dei bassi (“Radiation Zone”). E poi terzine d’archi che s’alzano e scorrono incalzanti (“Ashes of Our Fathers”) e cupezze e cori angelici da un altro universo (“Temple of Our Gods”), o firme Ambient in calce, interrotte da poche, parche note di piano (la sospesa “Undimmed by Time, Unbound by Death”).
L’impressione generale è che, come colonna sonora, la musica degli M83 possa funzionare bene, così sospesa tra passato recente e contemporaneità, soprattutto per un film di SF che pare si ispiri ai classici degli anni ’70. Certo, non inventa niente, non c’è un approccio originale al materiale, e nemmeno il gancio che li farà passare alla storia (un tema alla Mission: Impossible, o alla Pirati Dei Caraibi, per fare solo due – piccoli – esempi). Anche la traccia conclusiva, la title track, l’unica cantata (da Susanne Sundfør, che in alcuni momenti pare Florence Welch), non si muove tanto dal già sentito (anche se è decisamente scritta bene per una colonna sonora, e immagino sia servita per i titoli di coda, che scommetto abbia accompagnato alla perfezione). Sono soundscapes che sembrano spacescapes, quando riescono meglio; quando riescono peggio, invece, assomigliano ad una qualsiasi colonna sonora “di mestiere” fatta da un professionista qualunque di un qualche studio di Hollywood.
Come disco a sé stante non regala molto: forse è troppo “colonna sonora” per funzionare da solo, troppo pieno di ambienti sonori, di tappeti svuotati e poi riempiti, ma con una lentezza parsimoniosa, che così bene s’adatta al grande schermo, ma meno ad un ascolto dedicato. Non mi resta che vedere Oblivion e vedere quanto, di tutto questo, rimane durante il film.
Prima anticipazione dalla colonna sonora di Oblivion.
Ecco la prima anticipazione tratta dalla colonna sonora curata dagli M83 in collaborazione con il compositore Joseph Trapanese di Oblivion, film diretto da Joseph Kosinski e che vede protagonisti Tom Cruise e Morgan Freeman. Questo brano si intitola “Starwaves”
https://soundcloud.com/iljin/m83-starwaves