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The National – Trouble Will Find Me
Pubblicare nuovo disco non sempre può confermare all’eccelso una nuova fase o al meglio una nuova direttrice sonora da far poi intendere agli accaniti fan sempre pronti a discreditare il loro beniamini ad ogni passo; il quintetto dell’Ohio, The National, ci provano a rimboccare le identità del loro essere musicisti di tendenza, compongono e solidificano il loro sesto disco per la 4AD e lo mettono al giudizio degli ascolti, e subito si nota che la tendenza generale della tracklist è che tutti gli arzigogoli di contrasto, quei sogni disturbati e visioni troppo farcite da parafrasi sono quasi scomparsi per fare posto ad un groove molto, ma molto più rivolto su sé stesso, che si guarda dai piedi alle ginocchia e che apre forse un nuovo corso degli Americani..
Trouble Will Find Me si avvicenda all’orecchio con un incedere strisciante, che si apre piano piano prima di sfoderare il suo animo scuro, quel bel fangoso che tanto piace alle devozioni di un certo post-rock riletto in chiave indie, una dimensione sgranata che è languida come un tramonto d’amore, come una improvvisazione d’animo dopo una mezzanotte pensierosa; undici tracce volutamente sfocate, nebbiose e tardo romantiche – in certi aspetti – ma che seguono il loro andare fluente, la loro crescente struttura per una volta tanto lontana dai voleri forzati delle aspettative; poche orchestrazioni e nulli gli avvitamenti distorti, la stupenda voce baritonale di Matt Berninger fa da collante tra il sound sempre tenuto sui toni in minore e le atmosfere ricercate delle settime alte “I Should Live In Salt” o nelle incursioni fool che “Don’t Swallow The Cap” semina nel suo passaggio; un disco che distilla tabù personali ed intimità “Demons” come protegge l’ossessione delle illusioni “Graceless” per portarle poi a sospirare in un febbrile ma sedimentato patos di sintetizzatore insinuante “Heavenfaced”.
I The National non sono più ragazzini di quartiere, sono maturi e hanno voglia di sperimentare, andare oltre il consueto costrutto, e questo nuovo lavoro di certo non sbalordisce, ma ha un suono dell’anima che – senza tanto confondersi – è rassicurante e mette in pratica quello che forse non riusciamo più a comprendere, persi e distratti come siamo.